Friulani nel Belice Asiatico

«Questo non è il Friuli, questo è il Belice», ci dice il toscano Lorenzo. E sa di cosa parla. In Sri Lanka la ricostruzione post-tsunami si scontra con i tempi “elastici” e i mille paletti delle autorità locali, aspramente criticati dalle ong nella riunione a Colombo del 3 febbraio con i ministri degli Affari esteri e delle Finanze («Se dessero una mano, invece di metterci il bastone tra le ruote!», sbottava Andrea Cernuschi dei salesiani del Vis di Bergamo), con la miseria endemica della gente, capace di vendersi una tenda per mezza bottiglia di arrack, e con le imposizioni mal digerite, come la norma che vieta la ricostruzione di case a meno di cento metri dalla costa. Una misura precauzionale che si scontra con la quotidianità dei pescatori e che, lo ricorda l’ambasciatore italiano Salvatore Zotta, «lo stesso ministro del turismo dello Sri Lanka ha definito una proposta “stupida”». Perché «il pane dei pescatori è dentro il mare. – dice Giovanni Gioppo di Chiuppano, Vicenza, che da 12 anni vive in Sri Lanka – Se gli costruiranno una casa a 20 chilometri, loro vicino al mare ci torneranno. Magari in una capanna di foglie di cocco, ma ci torneranno». E proprio in questo «Belice» asiatico i friulani hanno cercato di importare il “modello Friuli” della ricostruzione. Nel distretto di Galle, assieme a Claudio Devidè di Trieste e Vittorio Andriola di Spilimbergo dell’Anc, i volontari della Protezione civile regionale Roberto Toldo, di Pordenone, Ennio Medeot di Ronchi dei Legionari, Bruno Tribuson di Trieste e Gianfranco Mauri di Cividale (rimpatriato ai primi di febbraio per un infortunio), coordinati da Giorgio Visintini di Udine, hanno montato 314 tende in sette campi diversi, insegnando a 15 vigili del fuoco di Galle e a 12 ragazzi locali come gestire un campo.

Camilla De Mori

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