Per una società che sappia essere femminista

La violenza di genere è qualunque atto di violenza, psicologica e fisica, e discriminazione basato unicamente sul genere. Nello specifico,  minacce, violenze fisiche di tipo sessuale e/o maltrattamenti e attacchi, violenze e pressioni psicologiche atte a determinare e nutrire una debolezza che si concretizza nella devastazione totale dell’individuo, qualora non venga aiutato o non si lasci aiutare. La violenza di genere è qualcosa che riguarda uomini e donne ma, purtroppo, si ha una netta prevalenza per la violenza sulle donne, in quanto “sesso debole”.

Si concretizza in svariati modi e ambienti: c’è la violenza domestica, sul luogo di lavoro, per strada. Ci sono le minacce, le botte, la sottovalutazione e la sottomissione, la differenza di stipendi per le stesse mansioni, le limitazioni. Il marito che picchia, che pretende, che minaccia, che insulta; il capo che fa commenti poco carini, che ti guarda, che non ti considera al pari dei dipendenti maschi, che approfitta di te anche fisicamente; lo sconosciuto per strada che si sente in dovere di farti sapere cosa pensa di te o di seguirti fino a casa. Come si combatte tutto questo? Si deve fare qualcosa, ma cosa?

A questa domanda si risponde con una parola semplice ed efficace, ma che con il tempo è diventata quasi una parolaccia: femminismo.         

femminismo uomini protesta

Il femminismo è un movimento nato alla fine del 1700, per cui sono morte tantissime donne che hanno lottato per diritti e ribaltare le ingiustizie quali l’accesso voto, le condizioni lavorative, le violenze domestiche, gli stupri, le discriminazioni. Queste donne hanno lottato e spesso dato la propria vita affinché noi, giovani donne del futuro, potessimo in qualche modo raccoglierne l’eredità e non soffrire più di pregiudizi e violenze. Come tutti sappiamo, così purtroppo non è. Le notizie di omicidi e maltrattamenti sono all’ordine del giorno, le donne sfregiate dai propri ex ragazzi ed ex mariti non si contano più, così come gli stupri. Tornare a casa la sera da sole è un misto di ansia e angoscia, accompagnato da una camminata velocissima a sguardo basso per non attirare l’attenzione. Gli sguardi indesiderati fanno parte della quotidianità, soprattutto con la bella stagione, quando non c’è più il maglione largo a coprire le forme che, ahimè, non si possono cancellare. Abortire è ancora considerato un abominio quando si tratta di una libertà fondamentale, cancellata da medici obiettori che hanno palesemente sbagliato mestiere. E quindi no, non è cambiato poi chissà quanto.

Per questo bisogna continuare a lottare affinché tutto questo sia solo un brutto ricordo. Sono tantissime le iniziative che ogni anno ricordano che essere donna non è sintomo di debolezza, non è un insulto, non è una sfortuna o un biglietto da visita per le discriminazioni e le prevaricazioni. L’iniziativa “Non una di meno” è la più recente. Ed è giusto così, è giusto combattere e lottare perché non ce ne sia più una di meno, perché non si cancelli più una vita fisicamente e psicologicamente, perché non si calpesti più una scelta di vita. È fondamentale dare il giusto supporto e la giusta importanza ad eventi che mirano alla sensibilizzazione, ed è contemporaneamente ridicolo che ce ne sia ancora bisogno.

Tutto questo è necessario finché non si trapassa la linea sottile che divide la lotta per l’uguaglianza e la parità dei sessi dalla lotta per l’affermazione di un nuovo “sesso forte”, accompagnata dalla demonizzazione della famiglia, del maschio, dei figli, del matrimonio.

Il nuovo femminismo, se così lo si può chiamare, abbatte e supera quelli che sono gli obiettivi del femminismo vero. Ne viene fuori la condanna dell’uomo in quanto maschio (non l’abbiamo già sentita?), della famiglia perché vista come una prigione, dei figli perché la donna diventa una macchina che sforna minuscoli esseri umani. Le casalinghe sono represse nelle loro vite di mogli e madri infelici, sono traditrici del grande sogno femminista. Ma, allora, di cosa stiamo parlando? L’obiettivo non era forse combattere perché la donna avesse finalmente la libertà di scegliere? Scegliere come e con chi vivere la propria vita, scegliere se avere o no figli, se essere o no moglie e compagna di qualcuno, se lavorare o no. E se questa stessa libertà viene cancellata dalle stesse donne, che ruolo ha oggi il femminismo?

Il femminismo è stato talmente deteriorato da uscirne sconfitto. Tanto da spingere le donne a non dichiararsi femministe, quando questo dovrebbe essere insito della donna nel suo significato originale. Essere femminista vuol dire innanzitutto lottare affinché io, donna, non sia considerata inferiore a un uomo, non sia considerata solo una la cui mansione principale sia occuparsi del marito, della casa e dei bambini in quanto donna. C’è una sostanziale differenza. Le donne che scelgono di essere madri e mogli non sono meno donne di quelle che scelgono la propria carriera. Qui non è una gara a chi sceglie meno l’amore, non c’è nessun premio in palio. L’unica vittoria possibile è l’autoaffermazione, e questa può avvenire in tutti i luoghi e gli ambienti che una donna sceglie per se stessa. Dalla casa al posto di lavoro. Niente viene prima di niente. Ci sono solo donne, tutte diverse tra loro, che scelgono la propria vita in base alle loro convinzioni e alla loro volontà. Manager, mamma, astronauta, giornalista, casalinga, moglie, niente può essere sbagliato se è una scelta voluta e desiderata. Non tutti gli uomini sono dei mostri; ci sono padri, fratelli, compagni, amici meravigliosi senza i quali non potremmo pensare di essere ugualmente felici.  Questo è il vero femminismo. Non è affermare di essere meglio di un uomo, di non aver bisogno di nessuno; non è demonizzare la famiglia, le scelte che possono essere non condivise. Essere femministe vuol dire lottare affinché la donna sia finalmente nella posizione di scegliere. Scegliere di avere una carriera, una famiglia, dei figli, oppure di avere solo alcune di queste cose, o nessuna. Scegliere di non avere paura perché non è necessario. Scegliere una carriera senza il pericolo di essere scartata o discriminata perché è una carriera “da maschi”. Scegliere di avere avventure. Scegliere di lasciare il proprio compagno. Scegliere chi amare.

Ma si sa che le principali nemiche delle donne sono le donne. In fondo, spesso sono proprio loro a condannare realtà come l’aborto. Non che avere un’opinione diversa e contraria sia sbagliato, ma la differenza tra esprimere la propria idea e condannare sta proprio nell’imposizione e nel giudizio che ne viene fuori. In questa battaglia, però, le uniche vincitrici possono essere solo coloro che come arma principale scelgono la solidarietà; una solidarietà che nutre la rabbia dell’ingiustizia, senza sfiorare mai la cattiveria infondata in un mondo cucito addosso agli uomini e troppo stretto per le donne.

 

Luana Targia

Luana Targia nasce a Palermo nel 1993. Studia lingue, e nel 2016 si laurea in Scienze della comunicazione per i media e le istituzioni all'Università degli studi di Palermo. L'incertezza per il futuro la porta a Londra per due mesi, dove lavora come ragazza alla pari e vive la Brexit in diretta. Torna a casa consapevole che non ci rimarrà per molto, e infatti pochi mesi dopo si trasferisce a Bologna per intraprendere il percorso di laurea magistrale in Comunicazione pubblica e d'impresa. Ama leggere e scrivere, è appassionata alle cause perse, ai diritti umani, alla lotta alla mafia. Probabilmente scrivere è l'unica arma che possiede. 

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