Accoglienza in Calabria tra violazioni dei diritti e inclusione

Nel 2016 i migranti e rifugiati che sono giunti via mare in Italia, secondo Unhcr, sono stati 181.436, mentre dall’inizio dell’anno al 16 giugno 2017 gli arrivi stimati sono 65.342, situazione nella quale la Calabria ospita 13.194 persone.

La situazione dei paesi del Mezzogiorno è mutata in modo evidente negli ultimi decenni, passando da regioni caratterizzate da alti tassi di emigrazione, in particolare dal sud verso il centro – nord, a luoghi di accoglienza. Dal 2011, infatti, i flussi migratori sono notevolmente aumentati e la rotta del Mediterraneo ha accolto, e accoglie, migliaia di persone, provenienti in particolare dal continente africano, che cercano asilo e una vita migliore in Europa, consolidando così il ruolo del sud Italia come «porta» d’ingresso privilegiata per i flussi migratori provenienti dal mare e come luogo di transito verso destinazioni più ambite.

Alla crescita esponenziale dei flussi migratori non corrisponde, però, un’adeguata risposta istituzionale a livello territoriale per quanto riguarda le politiche di accoglienza, determinando così ancora oggi una gestione emergenziale del fenomeno, con politiche che si preoccupano più di “tamponare” le situazioni critiche, piuttosto che a programmare interventi di accoglienza e integrazione a lungo raggio.

Calabria, terra di illeciti

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Nel corso degli anni la regione Calabria è venuta più volte alla ribalta nei media per situazioni di rilevanza completamente opposta: da una parte come portatrice di scandali, oppressioni e violazioni dei diritti umani e dall’altra come esempio di territorio includente e innovativo in materia di accoglienza. Di una “vera e propria tratta degli schiavi che andava avanti da tempo” parlano le autorità di Cosenza che lo scorso maggio hanno messo fine ad una situazione illecita e di sfruttamento nel lavoro. Protagonisti dello scandalo sono due centri di accoglienza del territorio della Sila che invece di accogliere i migranti secondo le normative, li sfruttavano attraverso il lavoro nei campi e incassavano i 35 euro al giorno pro capite che lo Stato stanzia per ognuno di loro. Per la prima volta viene contestato il reato di “intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro” e i responsabili dei centri dovranno rispondere anche della truffa dei fogli di presenza dei rifugiati, che modificavano per ricevere appunto i finanziamenti per il fabbisogno giornaliero di ogni rifugiato.

I rifugiati, principalmente nigeriani, senegalesi e somali, venivano prelevati dai due centri di accoglienza straordinaria e venivano portati a lavorare nei campi della Sila o come pastori, risultando così vittime di un abuso causato dall’inferiorità giuridica nella quale si trovano.

Non è questo, però, l’unico caso di violazione dei diritti di persone che vivono già in condizioni di estrema precarietà, giuridica e personale. Qualche giorno dopo la scoperta del caporalato messo in atto dai due centri di accoglienza, la Direzione Distrettuale antimafia di Catanzaro, nell’ambito della cosiddetta “maxi operazione Jonny” ha portato alla luce un business mafioso che traeva benefici dalle condizioni di migranti e rifugiati.

Il clan mafioso Arena aveva messo da più di dieci anni le mani sul centro di accoglienza di Isola Capo Rizzuto aggiudicandosi gli appalti per le forniture dei servizi di ristorazione, i quali venivano affidati a imprese costruite dagli stessi Arena per dividersi i fondi destinati all’accoglienza dei migranti. Complice dell’operazione mafiosa era anche il parroco locale, don Edoardo Scordio, che percepiva ingenti note di debito intitolate ai “servizi di assistenza spirituale” resi ai profughi ospitati nella struttura.

Gli indagati sono quindi accusati di associazione mafiosa, estorsione e frode in pubbliche forniture. Sono questi esempi di situazioni di “nuova schiavitù” che si riflette sulle persone fragili e prive di diritti, complice una situazione instabile rispetto alle politiche di accoglienza regionali e nazionali, che non permettono di attuare progetti di ospitalità a lungo termine trasparenti gestiti da chi si impegna per la tutela dei diritti e della dignità personale.

Calabria, terra di integrazione e accoglienza

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La Calabria è però una regione a “doppia personalità” nell’ambito dell’accoglienza, dove convivono situazioni estremamente negative e degradanti e contesti, al contrario, positivi e includenti come quello di Riace e di Acquaformosa.

A Riace tutto è iniziato nel 1998 con lo sbarco di duecento profughi curdi, quando l’associazione «Città futura» ha deciso di aiutare i migranti sbarcati mettendo a disposizione le case ormai abbandonate degli ex abitanti del paese. Dal 2004 le politiche di accoglienza del sindaco Domenico Lucano hanno concesso ospitalità a oltre 6mila richiedenti asilo, integrandoli nel tessuto sociale paesano e ripopolando la cittadina ormai fantasma a causa dell’emigrazione italiana. I mediatori culturale del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) fanno da ponte e in città gira una particolare moneta che aiuta a fronteggiare i ritardi dei fondi europei.

Un altro esempio di integrazione calabrese è il comune di Acquaformosa, dove la presenza dei migranti è la soluzione per evitare la sparizione del paesino, anche questo colpito da uno spopolamento di massa. Merito anche in questo caso delle politiche di accoglienza promosse dall’amministrazione comunale, che permettono di accogliere profughi e richiedenti asilo attraverso il progetto Sprar e del senso di accoglienza che contraddistingue i cittadini. Ogni famiglia, in fuga da guerre o povertà, vive nelle case che erano state abbandonate nel cuore del paese, contribuendo a riavviare e tenere vivo un sistema socio – economico che era destinato al declino.

Una situazione, quella della Calabria, estremamente ambigua, che da una parte cede a vecchie e devianti abitudini come quella della mafia, mentre dall’altra si fa spazio nell’umanità con progetti di accoglienza e integrazione. Da che parte stare è una scelta individuale, che va presa con coscienza e consapevolezza: escludere o restare umani?

 

Anna Toniolo

Anna Toniolo, nata a Mirano (VE) il 1/marzo/1994. Studentessa al terzo anno di Scienze Politiche, Relazioni internazionali e Diritti Umani all’Università degli Studi di Padova. Viaggiatrice e curiosa incallita, giornalista in erba per passione, combatto per la verità e la giustizia per vocazione. Su SocialNews alimento la mia passione per il giornalismo e la scrittura, alimentando la mia attitudine verso la giustizia e facendo del mio meglio per trasmetterla a chi legge. Cosa sono per me i diritti umani? Sono il filo rosso che unisce ogni essere umano, sono ciò che ci dovrebbe sempre ricordare che, anche se diversi, siamo tutti uguali. Bandite le discriminazioni. 

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