
A poche ore dall’appello al deporre le armi e al discioglimento del PKK, nella speranza di portare pace nella regione, la Turchia ha continuato i suoi attacchi nel Kurdistan siriano, dimostrando un disinteresse per il cessate il fuoco
L’appello storico di Ocalan
Il 27 febbraio Abdullah Öcalan ha chiesto la dissoluzione del PKK in un appello storico. Il leader e cofondatore del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), che da mezzo secolo si batte contro la repressione dei curdi in Turchia, ha dichiarato che “Tutti i gruppi devono deporre le armi e il Pkk deve sciogliersi”. Per Ocalan, Lo storico appello sarebbe dovuto avvenire per video- messaggio, ma il governo di Ankara ha impedito che il video circolasse. L’appello è stato quindi letto da una delegazione del partito della sinistra curda e turca DEM a Istambul, davanti a qualche centinaio di persone all’Elit World Hotel. Successivamente, centinaia di migliaia di persone in tutto il Kurdistan si sono riunite per ascoltare l’appello per la pace e la società democratica. Lo storico annuncio, non senza precedenti, è stato accolto dalle piazze con entusiasmo, ma anche con cauta diffidenza. La riuscita di questa svolta verso una pace duratura dipende infatti dalla Turchia, che in precedenza non ha rispettato nessuno degli accordi per il cessate il fuoco, e non sembra avere intenzione di fare questo passo neanche stavolta.
L’incontro tra Ocalan e la delegazione DEM
Lo scorso giovedì, i rappresentanti del partito Dem si sono recati sull’isola-carcere di Imrali, dove Ocalan è detenuto da 26 anni, e si è tenuto l’incontro durato circa 4 ore, filmato da tre telecamere. La delegazione era composta da Sırrı Süreyya Önder, Pervin Buldan, i copresidenti del partito DEM Tülay Hatimoğulları e Tuncer Bakırhan, Ahmet Türk, il deputato delpartito DEM di Istanbul Cengiz Çiçek e l’avvocato Faik Özgür Erol. All’incontro ha partecipato Ocalan e i suoi compagni di prigionia a İmralı: Ömer Hayri Konar, Hamili Yıldırım e Veysi Aktaş. È il terzo incontro con Ocalan concesso dal governo turco alla delegazionenell’ultimo anno, motivate dalla richiesta da parte del Governo turco della deposizione delle armi da parte del PKK. Il leader del partito di estrema destra MHP Devlet Bahçeli, infatti, ha cominciato a suggerire nell’ottobre del 2024 un possibile rilascio di Ocalan, in cambio dello scioglimento del PKK, aprendo un dibattito nel parlamento turco di rilevanza significativa.
La risposta del PKK
Due giorni dopo, il 1° marzo, il PKK ha accolto l’appello del suo leader come il manifesto di una nuova era di pace e democrazia in Medio Oriente, ma anche sottolineato l’importanza di una corretta applicazione delle parole di Ocalan. Il PKK ha quindi annunciato che non condurrà nessuna operazione militare, finché la Turchia non attaccherà, e chiede la liberazione di Ocalan, in modo che il leader del Partito dei lavoratori curdi possa assistere il movimento di liberazione in questo passaggio di transizione verso la pace. Per il PKK, questo appello non segna la fine, né la sconfitta del popolo curdo, ma un nuovo inizio che condurrà a una società democratica. Tuttavia, non sarà possibile a meno che Ankara non prenda altrettanto seriamente il cessato il fuoco e si assuma la responsabilità storica e politica delle sue azioni contro il popolo curdo. In altre parole, l’appello alla pace non può avere seguito se la Turchia non libera Ocalan dalla prigione di massima sicurezza in cui è detenuto da decenni e non depone le armi insieme al PKK. Sono queste le due condizioni necessarie per una ritirata delle milizie curde che non porti a una totale cancellazione del popolo curdo nelle regioni occupate. La minoranza curda è infatti sotto minaccia di pulizia etnica da più di un secolo, e continua ad esserlo, sia in Siria che in Turchia.
La risposta delle milizie curde in Siria
A poche ore dall’annuncio della delegazione a Istanbul, il Comandante Generale delle Forze Democratiche Siriane (FDS) Mazloum Abdi, una milizia curda che opera nel Rojava, regione al nord-est della Siria occupata dai curdi, ha annunciato la loro apertura all’appello, sottolineando però che Ocalan si riferiva esclusivamente ai PKK, e non ad altre forze impiegate nel conflitto per la liberazione del popolo curdo, FDS comprese. Nel suo appello, infatti, Ocalan non menziona in nessun passaggio la Siria. Abdi aggiunge però che le FDS beneficerebbero grandemente dalla deposizione delle armi da parte del PKK in Turchia, in quanto potrebbe porre una fine alla necessità del governo di Ankara di contrastare il movimento di liberazione, e una conseguente fine degli attacchi aerei turchi nella regione siriana. A dieci anni dalla liberazione del Rojava, le FDS si trovano infatti in una situazione di svantaggio senza precedenti. Non a caso, una delle concause dell’appello di Ocalan può essere individuata proprio nello stato del conflitto sul fronte siriano, in cui la caduta del regime ha significato una rinnovata ingerenza militare turca nella nazione.
Il fronte siriano del conflitto post-Assad
Secondo l’OCHA, dalla caduta di Assad più di 100 mila persone, ovvero la maggior parte dei curdi siriani, sono state costrette a trovare rifugio nei territori occupati dall’Amministrazione Autonoma della Siria del Nord-Est (AANES) nel Rojava, al confine tra Turchia e Siria. In questa fase transitoria, però, la Siria si ritrova piegata dall’ingerenza militare turca. Infatti, dalla caduta di Assad la Siria è stata inondata da mercenari turchi, mentre il governo di Erdogan ha proseguito i suoi attacchi aerei nel confine turco-siriano. In particolare, il bersaglio principale degli attacchi turchi è stata la diga di Tishrin, in cui si trovano le centrali idroelettriche fondamentali per l’indipendenza energetica del Rojava. Diversi combattenti del PKK e civili curdi hanno raggiunto il confine tra Siria e Turchia per proteggere Tishrin e protestare contro l’offensiva nel corso degli ultimi mesi, nel tentativo di salvare l’indipendenza energetica della regione autonoma dai bombardamenti giornalieri da parte della Turchia.
Le responsabilità della Turchia
L’appello al cessate il fuoco era sicuramente indirizzato alle milizie curde, ma Ocalan si riferiva anche alle forze turche che negli ultimi decenni hanno posto sotto costante attacco i territori occupati dai curdi. È fondamentale che la Turchia faccia un passo indietro affinché l’appello a deporre le armi abbia l’effetto desiderato. Ciononostante, il governo di Ankara ha continuato i bombardamenti nel nord-est della Siria, ad Ain Issa, nel Rojava. La prima scarica di bombardamenti è avvenuta a neanche quattro ore dall’appello alla pace, dimostrando così di non voler sottostare al cessate il fuoco. Nei giorni successivi, la Turchia ha portato avanti i bombardamenti nelle campagne e nei villaggi circostanti alla diga di Tishrin, oltre a condurre operazioni via terra in numerosi villaggi nel Kurdistan siriano, causando un totale di 8 morti e 5 feriti. Nel frattempo, Erdogan ha dichiarato che le operazioni portate avanti da Ankara continueranno “fino all’eliminazione dell’ultimo terrorista”, il che renderebbe vani i tentativi di pacificazione portati avanti dal movimento di liberazione curdo. Se la Turchia continua sui suoi passi, l’appello di Ocalan non avrà alcun seguito, e la stabilità del Medio Oriente continuerà ad essere un miraggio lontano.