Sudan diviso dalla guerra civile: governo tecnocratico a Khartoum e governo parallelo delle RSF

L’avanzata verso la capitale dell’esercito governativo del Sudan ha portato il Consiglio Sovrano a modificare la Costituzione al fine di permettere l’instaurazione di un governo tecnocratico, mentre le Rapid Support Forces annunciano un governo parallelo nei territori sotto il loro controllo.

Dopo la formazione del Consiglio Sovrano in seguito al colpo di Stato del 2021, e la successiva decisione del capo di Stato al-Burhan di non integrare le milizie RSF nell’esercito sudanese, il paese si ritrova stravolto da una truculenta guerra civile tra le forze armate sudanesi (SAF) e le RSF. Da allora, le milizie sono riuscite a conquistare quasi tutta la regione del Darfur, così come la regione del Sudan centrale e il confine a ovest, mentre all’esercito sudanese sono rimasti le regioni a nord e a est del Paese. Le tattiche di guerriglia delle milizie RSF sono brutali: uccisioni di massa e saccheggi di interi villaggi sono diventati parte della quotidianità nei territori sotto la loro occupazione, alle quali si aggiungono i bombardamenti a tappeto da parte dell’esercito sudanese, e la popolazione civile inerme ne è la vittima principale.


Nel corso dei 19 mesi di conflitto che hanno portato il Sudan alla peggior crisi umanitaria al mondo, sia le SAF, sia le milizie RSF hanno negato di aver commesso crimini di guerra. Ammontano ormai a quattordici milioni i profughi all’intterno del Paese, il sistema delle infrastrutture è in frantumi, e gli operatori sanitari e umanitari costantemente in pericolo di vita non sono in grado di fornire assistenza. Eppure, nessuno sembra essere colpevole, almeno secondo le dichiarazioni di esercito e milizie. Entrambe le parti si sono dimostrate completamente refrattarie alla prospettiva dell’adozione di una soluzione diplomatica al conflitto, e si accusano a vicenda di aver commesso le atrocità che hanno colpito i civili sudanesi nel corso di questi mesi.


All’inizio del febbraio del 2025, l’esercito sudanese ha chiesto supporto alla comunità internazionale per la formazione di un nuovo governo tecnocratico provvisorio, che dovrebbe amministrare i territori controllati dalle SAF fino alla fine della guerra. L’avanzata delle forze armate sudanesi gli ha permesso negli ultimi mesi di riconquistare le periferie della capitale, Khartoum, che in questo momento si trova sotto la sfera d’influenza dei ribelli. Secondo le fonti di Al-Jazeera, parte della popolazione civile sudanese acclama l’arrivo dell’esercito, e pianifica di tornare nella capitale, ma diversi quartieri sono stati rasi al suolo dai bombardamenti delle SAF, e per molti non ci sarà una casa a cui tornare.


Se l’esercito riuscisse a impossessarsi della capitale, instaurerebbe un governo tecnocratico a Khartoum con a capo il Primo Ministro, nominato dal capo di Stato, ovvero il Generale Abdel Fattah al-Burhan. Il governo tecnocratico sarebbe provvisorio, a detta del Concilio Supremo, e manterrebbe i suoi poteri fino al termine del conflitto armato. Per rendere possibile la creazione di un governo tecnocratico, il Concilio Sovrano ha emendato la Costituzione provvisoria del Sudan del 2019.
Secondo le fonti del Sudan Tribune, non è chiaro quali siano le modifiche apportate alla Costituzione, ma sembra che il loro scopo sia quello di permettere ad al-Burhan di nominare e destituire il PM a proprio piacimento, ed aggiungere membri al Concilio Supremo. I membri del Concilio Sovrano del nuovo governo per il momento sarebbero nove, di cui sei nominati da al-Burhan e i restanti tre sarebbero i rappresentanti dei partiti del Trattato di Pace di Juba del 2020.  

Il governo non ha intenzione di negoziare in alcun modo con le milizie RSF, che in risposta alle dichiarazioni del governo hanno annunciato la creazione di un governo parallelo, forti dell’alleanza con altre milizie operative sul territorio sudanese. I appresentanti delle RSF si sono riuniti a Nairobi, in Kenya, dove si è tenuta la sessione inaugurale della Founding Allience of Sudan (Alleanza per la Fondazione del Sudan). La nuova coalizione è costituita da gruppi armati, partiti politici e capi di amministrazioni civili, sindacali e professionali, personalità della società civile, imprenditori ed ex membri del governo sudanese, insieme alla RSF, e il suo intento è quello di creare un governo parallelo per il Sudan.

Tra gli alleati delle RSF presenti a Nairobi per la firma della Carta politica che renderebbe ufficiale il nuovo Governo spiccano Fadlallah Barma Nasser, Presidente del Partito Umma, Fadlallah Burma Nasir, i leader del Fronte rivoluzionario sudanese, e Abdel Aziz Al-Hilu, capo del SPLM-N (Movimento Popolare di Liberazione del Popolo Sudanese-Nord), il quale controlla la regione del Kordofan del Sud, al confine con il Sud Sudan. Le fondamenta su cui si basa questa coalizione non sono affatto solide, in quanto si tratta di gruppi armati e forze politiche che fino a qualche mese fa sitrovavano in conflitto tra di loro, la loro alleanza motivata da un nemico comune è quindi estremamente precaria e difficilmente condurrà a una situazione di stabilità a lungo termine.

La Founding alliance of Sudan sostiene di voler cominciare i lavori per la costruzione e di una pace duratura che possa favorire una transizione ad un potere civile e il ripristino della democrazia. Tuttavia, nel governo parallelo la sovranità non apparterrà al popolo, continuerà ad essere uno stato militare sotto il controllo delle RSF, e i civili continueranno ad essere bersaglio della violenza e dello sfruttamento dei gruppi ex-janjawid, così come dei bombardamenti aerei da parte del governo di al-Burhan. Al contempo, il governo tecnocratico provvisorio assicurerebbe ad al-Burhan potere assoluto a tempo indeterminato sulle regioni controllate dal SAF. Lo scenario che ci si presenta rende evidente che nessuno degli attori coinvolti militarmente è interessato a un’interruzione della guerra, quanto piuttosto a prolungare il conflitto. In altre parole, la pace in Sudan continua a essere un miraggio lontano, ostacolata dagli interessi privati dei militari che mantengono il controllo sul territorio. Il popolo sudanese rimane l’unico attore a non aver voce in capitolo sul proprio futuro politico ed istituzionale, pur essendo il più colpito dalle conseguenze del conflitto.

Chiara Caria

Chiara Caria è una laureanda in Global Cultures (laurea magistrale, Università di Bologna) e Comunicazione Giornalistica, Pubblica e D’Impresa (laurea magistrale, Università di Bologna), laureata in Mediazione Linguistica Interculturale per Interpreti e Traduttori (laurea triennale, Università di Bologna). Interessata a questioni di geopolitica, conflitti globali e diritti umani, collabora con Social News e altre riviste. 

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