
Ricerca italiana sulle conseguenze della reazione naturale all’infarto
Da La Ragione
Le lipoproteine a bassa densità (Ldi), chiamate in gergo popolare “colesterolo cattivo”, hanno un ruolo di rilievo nelle malattie cardiovascolari che in Italia sono la prima causa di morte. Ma non è soltanto l’accumulo di colesterolo a essere pericoloso: anche l’infiammazione dell’endotelio vascolare gioca un ruolo cruciale in questo processo patologico. L’endotelio è il sottile strato di cellule che riveste l’interno dei vasi sanguigni. Quando subisce un danno si innesca una risposta infiammatoria che può portare a una disfunzione endoteliale che a sua volta stimola l’aterosclerosi: un processo di ispessimento e indurimento delle arterie dovuto ad accumulo di colesterolo, cellule infiammatorie e materiale fibrotico.
Fattori come l’ipertensione, il fumo, il diabete e quindi l’iperglicemia, ma anche l’accumulo di microplastiche, alcune infezioni e malattie autoimmuni sono agenti infiammatori e quindi responsabili della formazione della placca ateriosclerotica tanto quanto il colesterolo. Per fare una metafora possiamo dire che le Ldi sono i mattoni e l’infiammazione è la calce: insieme realizzano l’ostruzio-ne vascolare, impedendo al sangue di scorrere correttamente. Ma non solo. Le Ldl stesse possono provocare l’infiammazione endoteliale. Lo stress ossidativo (un eccesso di radicali liberi nel sangue) dovuto a raggi solari, fumo e altri inquinanti ossida le Ldl, che diventano così ox-Ldl. Queste vengono fagocitate dai macrofagi (cellule del sistema immunitario), che a causa dell’accumulo lipidico non ‘digeribile’ si trasformano in cellule disfunzionali chiamate “schiumose”. Il risultato è un ulteriore peggioramento dell’aterosclerosi e della stessa infiammazione. E per questo motivo che gli sforzi della comunità scientifica si concentrano per abbassare il più possibile il valore delle Ldl. I principali farmaci utilizzati sono le statine, che oltre ad abbassare i valori di colesterolo hanno anche un importante effetto antinfiammatorio. Anche gli antiossidanti sono efficaci perché riducono le ox-Ldl. Di recente si sono aggiunti alcuni anticorpi monoclonali capaci di bloccare l’enzima Pcsk9: la sua inibizione aumenta la degradazione delle Ldi da parte degli epatociti, le cellule del fegato.
Uno studio italiano pubblicato sulla rivista “Euro-pean Journal of Preventive Cardiology” ha evidenziato che abbassare il colesterolo Ldl con l’anti-Pesk9 in modo intensivo subito dopo un infarto riduce significativamente il rischio di recidive. La ricerca è stata realizzata dai ricercatori dell’Università Federico Il di Napoli con la partecipazione del Dipartimento cardiovascolare dell’Azienda ospedaliera Sant’Anna e San Sebastiano di Caserta. Lo studio ha coinvolto 771 soggetti e gli anticorpi monoclonali somministrati hanno permesso di abbassare significativamente le Ldl. Il 68% dei soggetti ha raggiunto l’obiettivo indicato dalle linee guida europee per chi ha subito un evento ischemico: valori al di sotto dei 55 mg/dL. Una terapia così aggressiva è giustificata anche da un altro fattore. Il rischio cardiovascolare non è dovuto soltanto al progressivo aumento dell’aterosclerosi che ostruisce il vaso sanguigno e riduce l’apporto di ossigeno ai tessuti: l’infiammazione generata dalle ox-Ldi aumenta anche l’instabilità delle placche. Le citochine prodotte dal sistema immunitario tentano di degradarle, rendendole più fragili. La loro rottura porta però alla formazione di trombi che staccandosi dalla placca percorrono il circolo sanguigno, innescando a loro volta ancor più gravi eventi ischemici acuti come l’infarto miocardico, l’ictus cerebrale e l’ischemia intestinale.
Il tentativo del sistema immunitario di contrastare l’aterosclerosi porta quindi a un paradossale aumento del rischio cardiovascolare. Per ridurlo bisogna assumere la corretta terapia, eliminare il più possibile l’esposizione ad agenti ossidanti e pro-infiammatori, mantenere pressione arteriosa e glicemia nei limiti di norma, seguire una corretta alimentazione, svolgere attività fisica e ovviamente monitorare i livelli di Ldl.