Basaglia l’aveva previsto, e la Cassazione conferma: “residui di logica manicomiale nella 180”

In un’intervista rilasciata al quotidiano “La Stampa” riguardo il trasferimento delle competenze psichiatriche dai manicomi ai reparti ospedalieri Franco Basaglia ebbe modo di dire:

“Negli ospedali ci sarà sempre il pericolo dei reparti speciali, del perpetuarsi di una visione segregante ed emarginante.

 Nel centenario della sua nascita, la Corte di Cassazione conferma la sua intuizione.

Due recenti ordinanze della Corte di Cassazione concordano con quanto il CCDU sostiene da anni in tema di TSO e Amministrazione di Sostegno. Emesse rispettivamente a maggio e settembre di quest’anno, la prima delle due ordinanze impone severi paletti ai giudici tutelari riguardo l’amministrazione di sostegno, mentre la seconda stabilisce l’incostituzionalità del TSO perché non prevede che diretto interessato possa far valere le sue ragioni davanti al giudice in un normale contraddittorio.

Amministrazione di Sostegno

La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 14689 depositata il 27 maggio 2024, ha accolto il ricorso di una donna contro il Decreto della Corte d’Appello che aveva confermato la nomina di un amministratore di sostegno disposta dal Giudice Tutelare contro la volontà della medesima.

  • condotte di vita apparentemente anomale” non costituiscono necessariamente un elemento valido per ricorrere all’amministrazione di sostegno
  •  “la volontà contraria (della destinataria della misura), ove provenga da persona lucida, non può non essere tenuta in considerazione dal Giudice”
  • “una condotta non collaborativa» e il rifiuto di sottoporsi alle visite mediche prescritte, non sono indizi inequivocabili «di una condizione di salute tale da rendere necessaria la nomina contestata”.

Nel caso in questione, la richiesta di nomina dell’amministratore di sostegno per la donna era stata avanzata dai suoi parenti nel 2019, sostenendo come la medesima fosse: “affetta da un grave stato di alterazione psicofisica, evidenziato da osmofobia [avversione, repulsione o ipersensibilità a profumi o odori, N.d.R.], deliri persecutori e prodigalità, situazione che [a loro dire] ne riduceva notevolmente la capacità di gestire autonomamente il patrimonio”.

Ribaltando il giudizio della Corte d’Appello, la Cassazione ha ritenuto che il rifiuto della donna di sottoporsi alla visita del perito psichiatrico non fosse un indicatore sufficiente a valutare le condizioni di salute della stessa e a disporre la misura di tutela contestata, concludendo che la decisione impugnata si sia fondata su una serie di elementi di natura indiziaria circa lo stato di salute della ricorrente. L’ordinanza ha tenuto anche conto della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, (ratificata dall’Italia e trasformata in legge della Repubblica) secondo la quale l’accertamento dei presupposti di legge per ricorrere all’amministrazione di sostegno: “deve essere compiuto in maniera specifica e circostanziata sia rispetto alle condizioni di menomazione del beneficiario – la cui volontà contraria, ove provenga da persona lucida, non può non essere tenuta in considerazione dal Giudice – sia rispetto all’incidenza delle stesse sulla sua capacità di provvedere ai propri interessi personali e patrimoniali”. La stessa «condotta non collaborativa della ricorrente», segnala la Corte Suprema, non lascia:“presumere una menomazione o difficoltà di vita significativa tale da porla nell’impossibilità di provvedere ai propri interessi. Né tale condotta oppositiva esclude che la ricorrente sia in realtà una persona lucida, per quanto conducente una forma di vita apparentemente inconsueta, non potendosi escludere che tali anomalie siano da considerare la manifestazione di asprezze o forme caratteriali, seppure esacerbate dall’età della ricorrente”.

Occorre equilibrio tra la gravità della situazione e i poteri dell’amministratore di sostegno

Secondo la Cassazione, l’aver sottratto alla donna la possibilità di riscuotere la pensione, mette in luce: “la sproporzione tra il potere conferito all’amministratore di sostegno e le effettive condizioni di salute della ricorrente, come risultanti dalle motivazioni della Corte d’Appello“. In linea con la menzionata Convenzione ONU, precisa la Corte Suprema, l’accertamento dei presupposti di legge va compiuto: “in maniera specifica e focalizzata rispetto alle condizioni di menomazione del beneficiario”, anche valutando l’incidenza di tali condizioni sulla capacità del medesimo di provvedere ai propri interessi, e: “perimetrando i poteri gestori dell’amministratore in termini direttamente proporzionati ad entrambi i menzionati elementi”. Ciò in modo che: “la misura risulti specifica e funzionale agli obiettivi individuali di tutela, altrimenti implicando un’ingiustificata limitazione della capacità di agire della persona“. In tale quadro, l’eventuale opposizione del beneficiario, soprattutto laddove la disabilità si palesi solo di tipo fisico, deve essere opportunamente considerata, “così come il ricorso a possibili strumenti alternativi dallo stesso proposti, ove prospettati con sufficiente specificità e concretezza“.

Il TSO non è solo “sanitario” ma anche “obbligatorio: il giudice tutelare deve entrare nel merito

L’imposizione di un TSO in assenza di notifica al diretto interessato, e senza che le sue ragioni siano ascoltata in un contraddittorio dal giudice tutelare, rappresenta “un ultimo residuo di quella logica manicomiale che la legge Basaglia ha avversato, e di quella convinzione, contrastata dal diritto vivente, secondo cui la persona affetta da patologia psichiatrica, disabilità, immaturità, non debba partecipare, nella misura in cui le circostanze glielo consentono, alle decisioni che la riguardano”.

Con ordinanza n.24124 la Corte di Cassazione ha rinviato alla Corte Costituzionale gli articoli 33, 34 e 35 della legge 23 dicembre 1978 n. 833. Secondo i giudici supremi, l’attuale sistema normativo in materia di TSO, che non prevede la notifica del provvedimento al diretto interessato e non gli consente di poter sostenere le sue ragioni davanti al giudice in un contraddittorio, non è conforme agli articoli 2, 3,13,24, 32 e 111 della Costituzione, nonché agli articoli 6 e 13 della Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo.

La persona soggetta a TSO può impugnare il provvedimento solo a posteriori, dopo la sua esecuzione. Per i giudici di legittimità, ciò è irragionevole. Il diritto all’ascolto deve essere assicurato non solo nella fase medica, ma anche in quella giurisdizionale, “dove, in verità dovrebbe concretarsi in un ben più incisivo diritto al contraddittorio e alla difesa”. Si tratta pur sempre di limitare fortemente non solo la libertà di una persona ma anche il suo diritto a decidere sulle cure che lo riguardano: l’esigenza di tutelare la salute non deve precludere il diritto al contraddittorio e a partecipare alle decisioni sul suo percorso di salute.

In assenza di contraddittorio, secondo la Cassazione, un mero controllo formale sulla procedura e sul rispetto dei termini da parte del giudice tutelare, senza ascoltare le ragioni di chi si oppone al TSO, non costituisce controllo giuridico.

Anche un giudizio d’incapacità: “non potrebbe mai incidere sulla titolarità dei diritti, eliminandoli o ponendoli in stato di temporanea quiescenza, ma solo sulle modalità del loro esercizio”.

La legge n. 833/1978 si occupa dell’aspetto medico, ma: “non si occupa di quell’aspetto della dignità umana che si sostanzia nel diritto a essere informati e a contraddire nel procedimento che conduce ad una decisione restrittiva al tempo stesso della libertà personale e del diritto di autodeterminarsi, e nel diritto di difendersi tempestivamente, prima cioè che venga adottato il provvedimento di convalida e comunque nella sua immediatezza, prima della scadenza del termine del trattamento”.

La legge prevede che il destinatario di una misura di TSO possa chiederne la revoca al sindaco e presentare ricorso: “ma di fatto l’assenza del diritto ad essere tempestivamente informati della decisione, delle ragioni su cui si fonda e della procedura attraverso la quale si perviene alla convalida giurisdizionale, nonché sulle modalità della opposizione, costituiscono un ostacolo rilevante all’esercizio del diritto ad un ricorso effettivo, alla difesa, ed in ultima analisi ad un giusto processo”.

I giudici della Cassazione rilevano come una persona non possa opporsi tempestivamente: “se non viene informata del suo status giuridico delle ragioni per le quali, ex abrupto, le si parano dinnanzi i vigli urbani per prenderla e portarla in ospedale, in esecuzione di una ordinanza di cui non ha conoscenza”. E in ogni caso non potrebbe farlo, “prima di avere recuperato la sua libertà e la collocazione nella società, se della esistenza di un giudice che convalida il provvedimento sindacale non ha notizia”

La sentenza ricorda come la negazione del diritto di difesa in contraddittorio sia incompatibile con l’articolo 13 della Costituzione, tanto da essere da molti anni oggetto di critica da parte del CPT (Comitato per la Prevenzione della Tortura – un istituto del Consiglio di Europa).

Nonostante la leggenda metropolitana della riforma, l’Italia è clamorosamente inadempiente rispetto alle convenzioni internazionali: la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e il rapporto dell’European Disability Forum hanno entrambi sottolineato come la privazione della capacità giuridica nei ricoveri psichiatrici rappresenti una violazione dei diritti umani. Anche il Comitato ONU che verifica l’applicazione della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (CRPD) nell’ agosto 2016 e ancora nel 2022 segnalava al nostro Paese le urgenti riforme funzionali necessarie ad allineare la normativa e le prassi italiane ai diritti riconosciuti alle persone con disabilità psicosociale dalla Convenzione stessa. In particolare, il Comitato ha chiesto all’Italia di:

  • abolire l’interdizione e l’inabilitazione, e di riformare l’amministrazione di sostegno, affinché essa non possa più essere impropriamente intesa come regime decisionale sostitutivo della persona beneficiaria, ma si configuri come un supporto all’espressione delle volontà della persona stessa, e come uno strumento funzionale alla sua autodeterminazione
  • rivedere la disciplina del trattamento sanitario obbligatorio in maniera che il giudice tutelare non si limiti a un esame formale della richiesta di TSO ma entri nel merito ascoltando le ragioni del diretto interessato
  • ridurre significativamente il ricorso allo “Stato di Necessità” nei TSO

Queste due ordinanze sono il segnale di un cambiamento culturale in atto nel Paese a cui hanno contribuito tante voci, pur se poco ascoltate da un establishment psichiatrico impegnato solo a dipingere sé stesso come il migliore del mondo. L’auspicio è che il parlamento ne prenda atto e agisca di conseguenza. Noi vigileremo affinché non si ceda alle pressioni di chi cercherà, come già nel 1978, di cambiare tutto per non cambiare niente.

www.ccdu.org

 Note e riferimenti:

Rispondi