Un documento trapelato dal Consiglio di sicurezza dell’ONU proverebbe la presenza di aiuti militari da parte degli Emirati alle milizie dell’RSF, una delle due fazioni coinvolte nell’attuale guerra in Sudan, mettendo in luce l’importanza dei paesi del Golfo nel conflitto
Da 15 mesi il Sudan è devastato dalla guerra civile, le cui vittime principali sono i civili. Le due parti in conflitto, le milizie delle Rapid Support Forces (RSF), comandate da Mohamed Hamdan Dagalo, noto come Hemeti,e le Forze armate sudanesi (SAF), capeggiate dal Capo di Stato Abdel Fattah al-Burhan, hanno messo in ginocchio il Paese, prendendo di mira i civili, saccheggiando le loro case, distruggendo le infrastrutture, anche sanitarie, sfollando villaggi e compiendo uccisioni di massa. Abdel Fattah al-Burhan ha conquistato il potere dopo la cacciata nel 2019 del dittatore sudanese di lunga data Omar al-Bashir e ha poi consolidato la sua posizione con un colpo di Stato nel 2021. Sotto Bashir, Hemeti ha guidato le RSF a fianco dell’esercito di Burhan in Darfur. Dopo la formazione del cosiddetto Consiglio Sovrano in seguito al colpo di Stato del 2021, Hemeti ha assunto il ruolo di vice di Burhan. Tuttavia, i loro rapporti sono diventati turbolenti dopo la decisione di Burhan di non unire l’RSF all’esercito sudanese, mossa strategica per evitare che Hemeti guadagnasse una maggiore influenza sulle forze armate sudanesi. La guerra è iniziata il 15 aprile 2023, dopo la presa da parte delle RSF dell’aeroporto internazionale di Khartum, diverse basi militari e il palazzo presidenziale.
In questo scenario di guerra, tuttavia, i protagonisti non sono solo l’RSF e il SAF, in quanto gli Emirati Arabi Uniti avrebbero preso parte al conflitto fornendo aiuti militari alle milizie RSF, secondo la giunta al governo del Sudan. Gli Emirati Arabi Uniti hanno precedentemente negato tutte le accuse di fornire armi all’RSF. Alcuni esperti ritengono che, senza il presunto coinvolgimento degli Emirati Arabi Uniti, il conflitto che sta causando la peggiore crisi umanitaria del mondo sarebbe già finito. La fornitura di armi alle RSF ha infatti permesso loro di guadagnare un vantaggio che non avrebbero avuto in altro modo, inserendole in una filiera di forniture militari non solo in Sudan, ma anche in Libia, Ciad e Uganda.
Un documento inviato al Consiglio di sicurezza dell’ONU, trapelato e visionato dal Guardian, contiene immagini di passaporti emiratini presumibilmente trovati in Sudan e collegati a soldati delle Rapid Support Forces (RSF). Il documento, inviato il mese scorso al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, indica anche che gli Emirati hanno fornito all’RSF droni modificati per sganciare le controverse bombe termobariche, anche dette bombe a vuoto, che distruggono tutto ciò che entra nella loro traiettoria, utilizzando l’ossigeno dell’aria circostante per generare un’esplosione ad alta temperatura. Il documento include inoltre delle fotografie di quattro passaporti, che sono stati recuperati a Omdurman, la città al di là del Nilo dalla capitale Khartoum, in un’area che era in mano all’RSF ma che è stata recentemente riconquistata dall’esercito sudanese, appartenenti a cittadini degli Emirati Arabi Uniti, due nati a Dubai, uno nella città di Al Ain e un altro ad Ajman, con un’età compresa tra i ventinove e i quarantanove anni.
L’ipotesi che gli Emirati abbiano dispiegato personale per assistere i combattimenti in Sudan potrebbe causare una grave escalation del conflitto. Gli Emirati Arabi Uniti hanno respinto le accuse affermando che i proprietari dei passaporti si sarebbero recate in Sudan “ben prima del conflitto”, in occasione di una missione umanitaria avvenuta undici mesi prima dello scoppio della guerra nell’aprile 2023, sostenendo che cinque dei sei passaporti appartenevano a una delegazione del maggio 2022 di un gruppo umanitario con sede negli Emirati Arabi Uniti chiamato International Charity Organization. Ciononostante, il comitato delle sanzioni delle Nazioni Unite hanno definito “credibili” le istanze secondo cui gli Emirati Arabi Uniti avrebbero fornito supporto militare alla RSF.
Il Sudan è un ponte che collega il Medio Oriente all’Africa e le sue abbondanti risorse naturali ne accrescono l’importanza strategica per i paesi del Golfo, come l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, che vedono la guerra come un’opportunità per consolidare il loro status egemonico in Medio Oriente. Mentre l’Arabia Saudita sostiene Burhan, gli Emirati Arabi Uniti hanno appoggiato Hemeti, secondo le fonti di The Guardian. Data la legittimità internazionale di Burhan, le possibilità di una vittoria dell’RSF sull’esercito sudanese sono scarse. È più probabile che Burhan e Hemeti stabiliscano sfere di controllo rivali in Sudan. In questo scenario, l’RSF darebbe agli Emirati Arabi Uniti una maggiore influenza sul Paese e contribuirebbe a consolidare Abu Dhabi come potenza emergente e preminente nel Golfo.
Il 23 luglio gli Stati Uniti hanno annunciato che il quattordici agosto in Svizzera si svolgeranno dei colloqui cercare di mettere fine alla guerra che sta devastando il Sudan. L’esercito sudanese e i paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf) sono stati invitati a partecipare a dei colloqui per un cessate il fuoco. Ai negoziati, che si svolgeranno con la mediazione dell’Arabia Saudita, parteciperanno come osservatori i rappresentanti dell’Unione africana, dell’Egitto, degli Emirati Arabi Uniti e delle Nazioni Unite. Dall’esito di questi negoziati dipendono le sorti di milioni di civili sudanesi, che da 15 mesi sono le principali vittime del conflitto.