di Mauro Rizzi
Ci sono romanzi che si leggono. Anche con grande piacere. E altri che, invece, “si vivono”, dalla prima parola all’ultima. Quelli che ti fanno dimenticare di essere dall’altra parte della pagina. Che ti proiettano in un nuovo universo di sensazioni, sentimenti, suoni, colori, profumi. Capaci di farti provare il bello e il terribile. Ridere e inorridire. Mostrarti meraviglie e piaghe. Di costringerti a vivere altre vite, fino a non farti essere più la stessa persona che ha iniziato a sfogliare quel libro.
Così è “Requiem sull’ottava nota” (Avagliano Editore), il secondo giallo che Giovanni Taranto dedica alle indagini del Capitano Giulio Mariani. Il giornalista originario di Vico Equense, specializzato in cronaca nera e giudiziaria, ci catapulta ancora una volta ai piedi del Vesuvio, al fianco dell’ufficiale romano dell’Arma, inviato al comando della Compagnia Carabinieri di San Gioacchino.
Con “La fiamma spezzata”, nel 2021, l’autore ci aveva messi di fronte a un intricato cold-case, imperniato sulla morte sospetta di un giovane militare: sullo sfondo inquietanti interrogativi e il possibile coinvolgimento di servizi segreti e criminalità organizzata.
Stavolta Taranto – che per diversi anni ha presieduto l’Osservatorio anticamorra di Torre Annunziata, dove vive – ci tuffa nel mondo delle cosche mafiose del Vesuviano, con una storia che svela i meccanismi che regolano la vita e il funzionamento dei clan, senza indulgere in stereotipi e spettacolarismi, ma attingendo in maniera estremamente realistica al bagaglio professionale accumulato in quasi quattro decenni di inchieste sul campo.
Ne emerge un quadro del tutto differente dalle iperboli cinematografiche e delle fiction, che tratteggia in modo fotografico, e allo stesso tempo “radiografico”, caratteri e personaggi, fenomeni e problematiche.
Quello di “Requiem sull’ottava nota”, spiega nella prefazione l’ex Procuratore Nazionale Antimafia, Franco Roberti, è “…un modo nuovo di raccontare la lotta per la legalità e la giustizia, guardandola in faccia, dall’interno. Fuori dal paralizzante giudizio sui mali di Napoli e della sua area metropolitana, che oscilla da sempre tra rassegnazione autoassolutoria all’ineluttabilità della camorra e ottimismo consolatorio di chi spera che, prima o poi, il bene prevarrà sul male”.
Appassionante la trama, che si sviluppa a metà degli anni ’90, nel periodo di Pasqua. Camorra, mafia, estorsioni, droga e microcriminalità sono gli avversari quotidiani del capitano Giulio Mariani. Pochi gli spiragli per la vita familiare. L’attività del racket si intensifica. Uno showroom viene devastato per costringere il titolare a pagare il pizzo. Gli scontri fra cosche per il controllo dello spaccio si inaspriscono. Un sedicenne, usato come sentinella da una delle “famiglie” rivali, viene ferito gravemente in un raid. Mariani indaga, affiancato dal Nucleo Operativo, dalla Pm napoletana Clara Di Fiore, e dall’amico Gianluigi Alfano, nerista. Ai due casi si intrecciano omicidi irrisolti e nuovi scontri a fuoco. Ma un mistero complica le indagini. Mariani riceve dei pizzini anonimi, inizialmente incomprensibili. Il mittente sembra voler indicare ai Carabinieri i responsabili di episodi estorsivi, traffici di stupefacenti, boss e killer delle fazioni in guerra. C’è da fidarsi? Chi c’è dietro quelle soffiate? Qual è il suo vero interesse? Al capitano Mariani, l’onere di decifrare le criptiche indicazioni dell’enigmatico informatore e trovare prove concrete che le confermino. Per farlo, dovrà scavare nel ventre della città vecchia e confrontarsi con personaggi particolari, spesso inquietanti. Il tutto tentando di strappare il minorenne ferito e il suo fratellino a un destino segnato, al soldo della camorra. Sullo sfondo, la vita di caserma, le tradizioni pasquali, il folclore e la filosofia del Vesuviano.
Un libro, questo secondo giallo di Taranto, che il Procuratore Roberti, per anni massimo responsabile della lotta alle mafie in Italia, considera utile “…per comprendere le cause storiche, economiche e sociali che hanno reso la camorra parte integrante del tessuto sociale Vesuviano, di Napoli e della sua area metropolitana. E come liberarsene per sempre”.