Trattativa Stato-Mafia: sentenza di I grado ribaltata

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Con una sentenza clamorosa la Corte d’Assise di Palermo ha ribaltato la sentenza di I grado, assolvendo l’ex senatore Marcello Dell’Utri e i tre ex ufficiali del ROS Mario Mori, Giuseppe De Donno e Antonio Subranni, riducendo la pena carceraria a 27 anni per il boss Leoluca Bagarella, mentre è stata confermata la condanna per Antonino Cinà, medico di Totò Riina. Prescritte le accuse al pentito Giovanni Brusca.


La sentenza dei giudici d’Appello, riuniti in Camera di Consiglio Lunedì 23 Settembre, demolisce il verdetto del 2019, che aveva condannato a 28 anni Bagarella e a 12 anni Dell’Utri, Cinà, Mori, Subranni e De Donno.


L’accusa aveva chiesto di confermare le condanne, ma la Corte d’Assise ha preferito diversamente,
demolendo l’impianto accusatorio verso gli ex ufficiali del ROS ”perché il fatto non costituisce reato”,
mentre per Dell’Utri ha optato per l’assoluzione piena, in quanto per i giudici l’ex senatore ”non ha
commesso il fatto”, nonostante fosse ritenuto dai PM il ”tramite” tra lo Stato e Cosa Nostra, e finisce per lui il divieto di espatrio impostogli in precedenza.


Il processo di II grado era iniziato il 29 Aprile del 2019, con la tesi della procura che affermava
espressamente che uomini delle Istituzioni o degli apparati istituzionali avessero intavolato un illecito
dialogo con Cosa Nostra, allo scopo di fermare le stragi che nei primi anni ’90 hanno colpito il nostro Paese.
Finirono sotto processo anche l’ex Ministro dell’Interno Nicola Mancino e l’ex esponente dell’UDC Calogero Mannino, entrambi assolti.


I giudici di primo grado avevano scritto: “Non può ritenersi lecita una trattativa da parte di rappresentanti
delle istituzioni con soggetti che si pongano in rappresentanza dell’intera associazione mafiosa”. La Corte
d’Assise aveva ricordato un’altra stagione drammatica per il Paese, quella dei giorni del rapimento di Aldo
Moro, durante il quale ” lo Stato scelse la via dell’assoluta fermezza”.


Nel caso del fondatore di Forza Italia, Marcello Dell’Utri, si parla di una tentata trattativa, dice il collegio,
che ha riqualificato l’accusa a Bagarella in “tentata minaccia pluriaggravata a corpo politico dello Stato”. I
mafiosi, infatti, puntavano all’alleggerimento del carcere duro e alla revisione dei processi, cercando di
riattivare i contatti con Dell’Utri tramite l’ex stalliere di Arcore, Vittorio Mangano, secondo quanto detto dal pentito Giovanni Brusca. Ma non c’è alcuna prova, dice la Corte d’Appello, che quel contatto sia stato
effettivamente riattivato. E dunque nessuna prova del dialogo, che in I grado era stato dato per certo.
Come il favore offerto ai mafiosi, per fermare le stragi: per i giudici di primo grado era il decreto che
escludeva l’arresto obbligatorio per i mafiosi, in assenza di “esigenze cautelari”. Norma poi saltata dopo
un’intervista dell’allora Ministro dell’Interno Roberto Maroni.


I giudici di I grado si erano anche spinti oltre, scrivendo in sentenza: “Soltanto Silvio Berlusconi, quale
presidente del Consiglio, avrebbe potuto autorizzare un intervento legislativo quale quello che fu tentato e quindi riferirne a Dell’Utri, per tranquillizzare i suoi interlocutori”. I giudici d’appello spazzano via tutta la
ricostruzione e assolvono Dell’Utri. “Non è stato il trait d’union fra la mafia e la politica“, dice l’avvocato
Francesco Centonze, che ha assistito l’ex senatore con i colleghi Francesco Bertorotta e Tullio Padovani.

La sentenza emessa dai giudici d’Appello è preoccupante per diverse ragioni. Dal dispositivo risulta che una trattativa fu intavolata, ma risulta anche che se alcuni uomini di Stato hanno trattato con la mafia, tale fatto non costituisce reato. scopriamo che è reato per una parte (Cosa Nostra) ma non è reato per l’altra (Stato).
E cioè è confermato che furono uomini del Ros dei Carabinieri ad andare da Vito Ciancimino per chiedergli di mettersi in contatto per il tramite del figlio Massimo con il medico personale di Riina, Antonio Cinà, per sondare se vi fossero margini per trattare. “Mi hanno cercato loro”, disse Riina in un’intercettazione ambientale in carcere.


Il principio di diritto affermato dai giudici d’Appello potrebbe avere delle ricadute. Se lo Stato tratta con la
mafia, considerata l’Anti-Stato, anziché contrastarla, ed è addirittura giuridicamente legittimato a farlo,
potrebbero perdere di valore i sacrifici di quei uomini dello Stato e comuni cittadini che si sono prodigati
per la lotta contro Cosa Nostra e le altre mafie che hanno inciso storicamente sul nostro Paese. Perché
combattere la mafia se si può trattare? Bisognerà attendere le motivazioni della sentenza, che verranno
depositate fra 90 giorni, per avere il quadro chiaro del ragionamento fatto dai giudici della Corte di
Palermo.

Simone Cartarasa

Simone Cartarasa è studente dell'Università ''Alma Mater Studiorum'' di Bologna, dove frequenta Giurisprudenza. Nasce a Caltanissetta l'11 Giugno 1999, ha vissuto sino all'età di 8 anni a Nuoro, dove coltiva la sua passione per il calcio, per poi fare ritorno alla sua città natale con la sua famiglia. Si forma presso il Liceo Scientifico ''A. Volta'' e, successivamente, si trasferisce a Bologna per gli studi giuridici. Nel 2017 viene selezionato tra i candidati per una visita formativa al Parlamento Europeo di Bruxelles guidata dall'On. Ignazio Corrao, membro della Commissione per lo Sviluppo e dell'Agricoltura. Nel 2019 viene altresì selezionato per partecipare all'udienza pubblica della Corte Costituzionale del 23 Ottobre relativa al Caso Cappato. 

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