‘L’Inconscio è il discorso dell’Altro’ (Jacques Lacan). Questa celebre riflessione di Lacan ci conduce vicini a noi stessi e lontani da un sistema di credenze che per molto tempo ha alterato (e condizionato) il nostro sistema di giudizio. L’Inconscio, forse, non è simile ad un contenitore immaginario e disordinato ma, viceversa, è strutturato come un linguaggio che si esprime attraverso molteplici codici, segni ed indizi che, in qualche modo, rivelano un piano dell’Essere di cui non abbiamo piena consapevolezza.
Potrebbe essere l’autentico portale della nostra Essenza spirituale, ciò che in verità siamo aldilà delle pastoie del linguaggio e delle maschere multiple della personalità (non a caso ‘personalità’ deriva dall’etimo etrusco phersu=maschera). Sono emblematici, a questo proposito, i lapsus della memoria, i ‘tic’, gli ‘incidenti’ ed i guasti del linguaggio o i pensieri ricorrenti apparentemente scollegati dal nostro sentire razionale. Ebbene, se applicassimo questa teoria al corpus pittorico del Milani più enigmatico e simbolista, sarebbe meno difficoltoso trovare delle risposte o, quanto meno, avremmo una mappa da seguire che scongiuri il pregiudizio della casualità o dell’espediente pittorico inserito nel contesto così, tanto per stupire, come è abitudine nell’arte di provocazione. Le scelte di Milani non sono mai casuali, tutt’altro. Non sta giocando una partita a dadi. I suoi ‘significanti’ (ovvero i segni che articolano il concetto mentale del ‘significato’) trovano la perfetta collocazione anche nel disordine apparente, nell’incessante dinamicità espressiva. Quel tipico senso di incompiutezza – motivo molto caro all’artista – contiene in sé ogni elemento, glifo o figura geometrica che sia, a prescindere.
Osserviamo le opere e, da un momento all’altro, potremmo aspettarci l’ingresso in galleria del nostro artista col pennello in mano, magari per modificare qualcosa sulla spinta di una idea migliore giunta in quel momento! Ma, non con poca sorpresa, di certo scopriremmo che questa provvisorietà ci piace, ci mantiene vigili, attenti e curiosi verso una forma d’arte che costringe a riflettere e non prevede punti di conclusione ma solo di perenne sospensione… come è giusto che sia. Ecco l’arte dell’immediatezza, l’arte del presente che ci fa sentire partecipi nel ‘qui ed ora’ senza mistificazioni. Gli specchi dell’Inconscio collettivo
Cosa sarà mai il concetto della contaminazione se non opposizione alla stasi, alla cristallizzazione dogmatica delle comuni convinzioni? Potremmo intenderlo come una prerogativa oppure una scelta. Scelta di abbattere i rigidi confini della forma e dei contenuti, della sintesi e dell’analisi, e desiderio di azzerare ogni condizionamento pernicioso per ripartire con un bagaglio proprio. Non a caso gli antichi Greci – abituati a pensare sempre ‘in grande’, come diremmo oggi – consideravano teoria e pratica, mente e corpo, come la stessa cosa, senza alcuna separazione. Ed ecco che proprio in questo punto ritroviamo il Milani classico e contemporaneo ma, faremmo prima a dire, immerso nel senza-tempo (e la figura del cerchio lo sta a dimostrare), come ideale modello cognitivo e ben noto leitmotiv della sua arte. Qui il tempo è più che mai relativo, letteralmente. I richiami al mondo classico ritornano ma, in realtà, non sono mai partiti nel profondo della sua interiorità particolarissima. E, questo, non è l’atteggiamento del citare ad ogni costo bensì del comprendere, ovvero del prendere con sé, ‘abbracciare’, senza l’intento di disconoscere irrispettosamente il simulacro antico. Distinguiamo il volto degli eroi e dei miti nell’eloquente nudità dei corpi: ad essi, il privilegio dell’identità è concesso. Così come la distinguiamo nei dettagli delle opere rinascimentali, sovente richiamate specie nei ritratti. Essi sono i paradigmi, i modelli primi.
Ma… le sagome contemporanee non hanno il privilegio espressivo del dettaglio. Tutto sfuma. L’umanità nuova pare cercare disperatamente il filo di Arianna che la ricongiunga ai valori di riferimento, alle vestigia amiche. Ed è interessante questa riflessione (intesa in entrambi i sensi) di questi ‘specchi’ dipinti. In queste opere di ‘confronto’ e singolari sovrapposizioni di epoche e figure, l’artista evidenzia il palese smarrimento di un’umanità senza volto e, nel contempo ne evoca la soluzione, ovvero che alcune radicate persuasioni sono solo barriere mentali, null’altro. Tutto è in noi, il tempo è solo misurazione convenzionale. Ecco allora quelle stesse sagome che contengono, inglobano in sé colori, forme, reperti. In altre parole… dimensioni di cui, forse, abbiamo solo pallida conoscenza per un nostro evidente limite sapienziale. Eppure esse sono, eccome! Milani rappresenta ciò che sente senza preoccuparsi troppo di far quadrare tutto per forza. Non si prefigge una meta ma un cammino.
A suo modo, con ricercato stile – e, aggiungiamo, con la lodevole discrezione che lo contraddistingue – segue la sua stella. Una favola antica narra che le stelle brillano affinché ognuno possa riconoscere la sua ed inseguirla con la gioia nel cuore. La passione dell’arte, in fondo, conduce a questo. Ci piace allora ricordare il giovane Milani dell’Accademia di Bologna che, perduto fra le aule ed i lunghi corridoi, sogna di partire alla ricerca di quella famosa stella. Non sappiamo se, in effetti, l’abbia trovata. Ma, di certo, è molto vicino ad essa.