L’UE dichiara guerra al cambiamento climatico, ma i Governi disertano il campo di battaglia

Lo scorso novembre, il Parlamento Europeo ha votato una storica risoluzione che apre ad una battaglia su più fronti contro il cambiamento climatico.

Una maggioranza trasversale di 429 parlamentari guidata da Socialisti, Verdi e Liberali, ha richiesto la fine di politiche di incentivi per l’utilizzo dei combustibili fossili.

alba, chimico, cielo

Invece, come suggerito anche dal Fondo Monetario Internazionale, si vuole promuovere l’implementazione delle cosiddette carbon-tax, ovvero imposte sulle emissioni di gas inquinanti. E tuttavia, a parte pochi casi degni di nota, gli Stati Membri sono reticenti nell’adottare misure in tal senso. Questo a causa del potere politico di alcuni attori economici e del timore di scontentare l’opinione pubblica con un aggravio fiscale. Osserviamo il panorama attuale delle politiche in merito, concentrandoci sui principali Paesi UE

Per carbon-tax si intende un’imposta che si applica a tutte le attività che producono emissioni inquinanti. La logica economica è di andare a compensare le esternalità negative che le emissioni di Co2 producono: infatti, i proventi della tassa sarebbero da redistribuire verso azioni che stimolino le attività eco-friendly. Un esempio efficace è il seguente: si tassano i trasporti via gomma (altamente inquinanti) per incentivare i trasporti via ferrovia (meno inquinanti). Pur essendo misure che non generano un impatto economico negativo, se opportunamente controbilanciate da incentivi, molti sono gli ostacoli ad un’effettiva implementazione. Infatti, in molti Stati europei, il potere negoziale di portatori di interessi come lobby dei trasporti, industrie manifatturiere inquinanti etc., è elevato. Essi riescono a bloccare provvedimenti che sfavoriscono le proprie attività produttive, inserendosi nel dibattito politico.

A farne le spese sono gli attori economici che utilizzano tecnologie meno inquinanti, con meno potere negoziale. Non solo, anche l’opinione pubblica gioca un ruolo fondamentale, la protesta francese dei gilet gialli dello scorso anno ne è un esempio lampante. Infatti, l’introduzione di una carbon-tax sui carburanti senza opportune misure di redistribuzione generò le rimostranze delle fasce più deboli della popolazione.  È per questi motivi che pochi politici europei hanno il coraggio di introdurre una tassa del genere.

Fra i paesi più virtuosi troviamo gli Stati scandinavi. La Finlandia adotta provvedimenti del genere già dal 1990, la Svezia dal 1991 e la Danimarca dal 1992. La particolarità del caso danese è la previsione di sgravi fiscali per riconversioni energetiche: si tratta di un ciclo virtuoso nel quale le risorse generate grazie alla carbon-tax (inizialmente circa 10€ per tonnellata di CO2 emessa) vengono immediatamente ed efficacemente impiegate per stimolare il cambiamento delle abitudini dei cittadini e del comparto produttivo. Anche la Germania, pur essendo largamente dipendente dall’industria automobilistica, ha recentemente previsto l’introduzione di una carbon-tax sotto impulso della compagine socialista della coalizione di governo. Un discorso a parte riguarda il caso francese, emblematico nell’evidenziare come idee buone possano rivelarsi deleterie se mal implementate.

La tassa sui gas inquinanti fu introdotta già dal 2014 a 7€ a tonnellata, con un aumento continuo negli anni sino ai 45€ per tonnellata del 2018. Una crescita quasi esponenziale. In più, non erano presenti elementi di redistribuzione efficaci né verso le frange più povere della società né verso la riconversione energetica. Dunque, non sorprende che il Presidente francese Macron abbia dovuto fronteggiare una protesta di massa durata svariati mesi e che sia stato costretto a bloccare lo scaglione di aumento della tassa previsto per il 2019. 

Vi sono poi Paesi, come l’Italia, nei quali non sono presenti tasse sulle emissioni di CO2 – o sono trascurabili. In questi casi, spesso manca il coraggio politico per proporre iniziative del genere. A dimostrazione di questo vi è il subitaneo dietrofront del nostro governo sulla plastic-tax – imposta simile per concezione che va ad agire sulle esternalità negative generate dalla filiera di produzione della plastica. È bastato che alcuni attori economici di peso (come l’industria del packaging) si mettessero di traverso, per ridimensionare immediatamente la misura prevista. È evidente che in un contesto del genere è quasi impensabile ipotizzare l’adozione di una carbon-tax. 

Come risolvere l’impasse? Alcuni osservatori ritengono l’UE dovrebbe avere un ruolo di primo piano nell’implementare una tassazione comune fra i vari Stati membri, intervenendo direttamente. Purtroppo è difficile che si giunga ad un accordo unanime all’interno del Consiglio – l’organo formato dai capi di Stato e di Governo con maggior potere decisionale. Di conseguenza, si potrebbe ipotizzare solo l’intervento della Commissione. Tuttavia, ad oggi i poteri dell’esecutivo a guida della neo designata Von der Leyen sono limitati e possono concentrarsi principalmente solo sulla politica commerciale, non su quella fiscale, delegata ai singoli Stati. Su questo aspetto, il commissario socialista Timmermans ha proposto di introdurre una sorta di dazio all’entrata per prodotti per la cui produzione sono state generate emissioni inquinanti. Azione positiva e di alto impatto mediatico, che però potrà avere molti meno effetti di una vera e propria carbon-tax europea. 

Ma se proprio non è pensabile l’imposizione di misure simili alla carbon-tax per i motivi sopra descritti (interessi economici, rimostranze dell’opinione pubblica, disomogeneità a livello europeo), si dovrebbero quantomeno eliminare i sussidi alle attività che producono emissioni inquinanti. Se si pensa che in Italia solo oggi si tenta di porre un freno a incentivi del genere attraverso il Decreto Clima recentemente proposto dal Governo, è evidente che di strada da fare ve n’è ancora molta. Infatti, in tutta l’Unione Europea, nel corso dei decenni si sono accumulati sgravi fiscali e sussidi per attività dannose per l’ambiente. È necessario scovarli, mapparli ed infine dismetterli. Ciò aumenterebbe le risorse a disposizione delle amministrazioni pubbliche da destinarsi a politiche green.

In conclusione, il voto del Parlamento Europeo è un segnale molto forte di indirizzo politico. L’Unione Europea è il primo attore internazionale promotore della lotta contro le emissioni di Co2 responsabili del cambiamento climatico. Fra le varie azioni proposte vi sono l’adozione della carbon-tax e la dismissione dei sussidi per attività inquinanti. Tuttavia, l’UE da sola può fare obiettivamente poco e, seppur vi sono certamente esempi di Stati virtuosi nell’implementazione di politiche che vanno verso questa direzione (Svezia, Danimarca, Germania), molti Paesi membri sono meno efficaci (Francia) o hanno meno volontà politica (Italia). I politici europei dovrebbero sfruttare questo impulso sorto in seno al Parlamento UE e iniziare ad agire al più presto.

Piero Lorenzini

Mi sono laureato in Affari Internazionali presso l’Università di Bologna e presso la Johns Hopkins University, con focus in Affari Europei ed Economia Internazionale. Appassionato di politica, economia, giornalismo e di sport; nel tempo libero sono infatti un ciclista agonista che compete a livello nazionale ed internazionale. 

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