Giappone: l’altra faccia della Costituzione

“Aspirando sinceramente ad una pace internazionale fondata sulla giustizia e sull’ordine, il popolo giapponese rinunzia per sempre alla guerra, quale diritto sovrano della Nazione ed alla minaccia o all’uso della forza, quale mezzo per risolvere le controversie internazionali. Per conseguire  l’obiettivo proclamato nel comma precedente non saranno mantenute forze di terra, del mare e dell’aria e nemmeno altri mezzi bellici. Il diritto di belligeranza dello Stato non sarà riconosciuto.”  

Così recita l’art. 9 della Costituzione giapponese entrata in vigore nel 1946 durante l’occupazione statunitense, sotto le spinte e l’influenza del governo di Washington e del suo rappresentante il Generale McArtur, Comandante in Capo delle Forze Alleate in Giappone a cui erano stati affidati poteri di controllo militare e giuridico sul paese. Il risultato di questo lavoro è una democrazia liberale che unisce aspetti della tradizione giapponese insieme ai principi importati dagli Stati Uniti. Il Capo dello Stato è l’Imperatore, il quale, tuttavia, esercita i poteri conferitigli limitandosi ad una mera presenza di natura cerimoniale in quanto non possiede la sovranità. Il potere vero e proprio è affidato ai due rami del Parlamento (Dieta) ed alla figura di un Primo Ministro e del suo governo.

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Forze Armate e Costituzione

I due aspetti che sono stati radicalmente modificati rispetto alla Costituzione imperiale anteguerra sono i poteri conferiti all’Imperatore, ma soprattutto la presenza di una Forza Armata operante nel paese. Come recita l’articolo riportato, non è previsto l’uso della guerra per risolvere la controversie internazionali (viene spontaneo il confronto con l’art. 11 della Costituzione italiana) ma soprattutto prevede che non siano mantenute Forze Armate.

Nonostante i dettami della Costituzione ed il principio di pacifismo espressi, lo scenario di guerra fredda che si è prospettato e la necessità di creare uno Stato che potesse difendersi in caso di attacco da parte di uno stato comunista come l’Unione Sovietica, la Cina o la Corea del Nord (in particolare dopo lo scoppio della guerra nella penisola coreana nel 1950) hanno costretto il paese asiatico a dotarsi di una propria forza militare impiegata esclusivamente per la difesa della nazione come riporta la denominazione in inglese: Japan Self  – Defence Forces (JSDF). All’epoca, il dibattito interno riguardo il riarmo del Giappone è stato molto acceso, così come la contrapposizione statica durante il periodo della guerra fredda tra una visione totalmente pacifista come quella propria dei partiti di sinistra in opposizione a quella delle formazioni politiche che invece assecondavano l’idea di ricostituire un proprio esercito, purché di autodifesa, favorevoli quindi ad una forma di pacifismo più blando in concomitanza con la guerra di Corea.  

A partire dal 1955 il Partito Liberal – Democratico ha cominciato a governare il paese in maniera incontrastata, portando avanti  il progetto di riformare l’articolo 9. Un cambiamento che però non si è concretizzato  a causa della forte opposizione esercitata dai partiti di sinistra.

Nuovi scenari per la Costituzione

Dopo la fine della guerra fredda e l’emergere di una realtà internazionale sempre più multipolare, basata sulla crescita esponenziale della Cina e della corsa alle armi, anche nucleari, della Corea del Nord hanno dato ulteriore slancio alla volontà dei Governi di apportare le modifiche all’articolo 9.

La Costituzione giapponese permette di apportare emendamenti alla stessa purché siano votati da entrambi i rami del parlamento con la maggioranza dei due terzi dei membri di ciascuna camera e successivamente la proposta di modifica deve essere sottoposta a referendum alla popolazione. L’Imperatore non può esercitare alcun diritto di veto ma solamente promulgare quanto è stato approvato dalla Dieta.

Già nel 2005 il Primo Ministro Junichiro Koizumi aveva proposto un emendamento all’articolo 9 in concomitanza con il cinquantesimo anniversario del Partito Liberal – Democratico, che non ha avuto seguito.

La svolta di Shinzo Abe

È soprattutto Shinzo Abe, Premier giapponese conservatore in carica del partito citato, che rende concreto il progetto di modifica. Già nel suo primo mandato, dal 2006 al 2007, aveva esposto il suo piano per emendare l’articolo ma solo dopo la sua rielezione nel dicembre del 2012 che si ottengono i risultati veri e propri.

Il Parlamento giapponese nel luglio e successivamente nel settembre del 2015 ha approvato la legge che consente di emendare l’articolo permettendo alle proprie Forze Armate, per la prima volta, di:

  • dare supporto logistico alle Forze alleate impegnate in aree di interesse strategico per il Giappone;
  • garantire la difesa dei paesi alleati, in primis gli USA, abbattendo missili balistici;
  • partecipare ad operazioni marittime per garantire gli interessi del paese;
  • partecipare ad operazioni fuori area anche dove è probabile uno scontro diretto con il nemico (quando non ci  altre opzioni pacifiche) per difendere il Giappone e i suoi alleati;
  • condurre missioni mirate a salvare eventuali ostaggi giapponesi.  

La decisione del governo Abe di rendere più attivo il ruolo del Giappone per la sicurezza dell’area, è stata accolta positivamente dall’amministrazione statunitense, soprattutto in questo momento carico di tensioni e crisi in quel settore del Pacifico.

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La Costituzione giapponese, dopo quasi settant’anni di pacifismo assoluto, di fatto abbandona questa sua caratteristica a favore invece di un cambiamento radicale della strategia militare nazionale che si possono definire come una sorta di “Pacifismo proattivo” permettendo al Governo di Tokyo di aumentare il numero di mezzi militari ma soprattutto di aderire a patti difensivi con gli alleati nella regione.

Reazioni all’emendamento della Costituzione

Questo atto del Governo ha suscitato proteste tra la popolazione (secondo un sondaggio condotto da un’agenzia giapponese, nel 2015, il 60% della popolazione si è dichiarata contraria mentre solo il 32% invece appoggiava l’emendamento). Il Premier giapponese ha affermato, in relazione al referendum: ”Emendare la Costituzione è sempre stato l’obiettivo primario del Partito Liberal – Democratico sin dalla sua nascita” e ha aggiunto: “Ciò di cui abbiamo bisogno è avere dalla nostra parte la maggioranza della popolazione nel referendum. Da questo punto di vista lavorerò per consentire una migliore comprensione del popolo ed ottenere un ampio supporto dal pubblico.”

Oltre alla piena opposizione di alcuni parlamentari della Camera, come si può cogliere dalle dichiarazioni di un rappresentante di un partito di sinistra: ”se la legge passa, noi [giapponesi] saremo coinvolti nelle guerre illegali americane”. Il timore da parte di alcuni politici e della popolazione è che il Giappone venga coinvolto in guerre in aree calde come nel Medio Oriente e che ciò comporti un pericolo per la sicurezza del Giappone (in riferimento al rischio di attentati nel paese).  Interessante si rivela l’analisi di Tsuneo Watanabe, dell’agenzia Tokyo Foundation: ”Il Giappone è intrappolato tra la paura del coinvolgimento e la paura di essere abbandonato: ciò è parzialmente dovuto alla maggiore diffidenza del popolo giapponese nei confronti del proprio governo”.

Il Governo cinese ha espresso la propria preoccupazione attraverso il Ministro degli Affari Esteri che ha consigliato a Tokyo di “agire con prudenza in materia di sicurezza”. Preoccupazione è stata espressa anche dalla Corea del Sud, paese sotto la protezione degli Stati Uniti contro lo Stato comunista di Kim Jong-Un come il Giappone, ma che comunque mantiene rapporti tesi con Tokyo come conseguenza di eventi accaduti durante la Seconda Guerra Mondiale.

Una pace troppo lontana? Le motivazioni

La motivazione che ha portato a velocizzare il processo di emendamento è il rapporto con la Cina. Sebbene lo stesso Abe abbia posto in essere una politica di apertura politica e commerciale nei confronti di Pechino, allo stesso  tempo riconosce che il grande Stato comunista sta crescendo e si sta sviluppando in maniera rapida e che le sue politiche, finalizzate a tutelare i propri interessi, hanno comportato diverse dispute tra i paesi asiatici che condividono quella porzione di oceano Pacifico.

Non si può escludere, del resto, che abbia influito la politica americana del Presidente Obama, definita “incoerente” dal Giappone, nei confronti della nazione comunista. Una prima apertura a cui è seguita una chiusura, in concomitanza con la disputa delle isole Sinkaku (Diaoyu per la Cina e Tiaoyutai per Taiwan) occupate da truppe americane fino al 1972 e poi passate sotto amministrazione giapponese. L’arcipelago è conteso da Tokyo, Pechino e Taipei e gli atti da parte dei tre paesi hanno innescato una serie di atteggiamenti difensivi da parte di ciascuno, il più grave dei quali è la decisione del governo cinese di inglobare le isole all’interno del proprio spazio aereo, decisione che ha suscitato la protesta del Giappone e che ha costretto il Governo statunitense a schierarsi con Tokyo e ad inviare propri bombardieri a dimostrazione della propria presenza a fianco dell’Alleato. Successivamente agli episodi citati, gli USA hanno intrapreso, nuovamente, una politica di apertura verso la Cina, creando scetticismo nel Governo giapponese che ha visto nella modifica dell’articolo come l’unica soluzione per arginare l’inevitabile sviluppo militare del paese di Mao.  

Altro motivo è l’atteggiamento della Corea del Nord, acerrima avversaria del Giappone. Gli atti ostili tra i due paesi non sono mancati negli anni, ma è soprattutto in questi ultimi mesi che i ripetuti test missilistici verso il paese del sol levante, costretto a prendere delle contromisure per garantire la piena difesa propria e degli alleati. Proprio in relazione a quest’ultimo punto, che rappresenta una novità nelle politiche militari nipponiche, è necessario ricordare che durante il dispiegamento delle portaerei statunitensi, unità della Marina giapponese hanno scortato, simbolicamente, le navi di Washington nel loro tragitto verso la Corea del Sud.

Un’ulteriore spiegazione può essere ricercata nelle parole che lo stesso Premier Abe ha pronunciato in occasione della promulgazione della legge che ha permesso la modifica:”L’ambiente che circonda il Giappone diventa sempre più pericoloso e per essere preparati ad ogni evenienza, abbiamo bisogno di sviluppare una normativa che garantisca la sicurezza, che protegga la vita delle persone e consenta la pace“.  

Articolo 9, ultimo atto

Con la riconferma del Premier Abe alle elezioni passate, indette pochi giorni fa (22 ottobre 2017) in seguito allo scioglimento della Camera bassa, ha riconfermato il partito Liberal – Democratico al governo e dato slancio alla volontà del Primo Ministro di continuare per questa strada ed indire un referendum popolare, ultimo atto della procedura richiesta dalla legge per emendare un articolo della Costituzione.

Il cammino verso questo cambiamento così radicale ormai è stata intrapreso. Non resta che osservare la reazione del popolo giapponese e vedere quali implicazioni avrà nei futuri scenari internazionali. Risulta interessante, infine, come il Governo giapponese stia intraprendendo una campagna per vendere propri aerei militari da trasporto e da pattugliamento marittimo alla Nuova Zelanda oltre che garantire un trasferimento di tecnologia al paese anglofono, ulteriore dimostrazione di come Tokyo stia lasciandosi alle spalle il proprio passato a favore di un atteggiamento attivo e presente nella scena internazionale mondiale.     

 





Enrico Malgarotto

Enrico Malgarotto nato il 19/01/93 a Venezia, ho conseguito la maturità classica e la laurea in Scienze Politiche, Relazioni Internazionali e Diritti Umani presso l’Università di Padova. Da sempre ho maturato vivo interesse per l’aviazione, la storia e le relazioni internazionali, perfezionato poi con il percorso di studi. Su SocialNews desidero condividere esperienze e conoscenze, con l’opportunità di approfondire la tematica dei diritti umani, che considero come il fondamento del vivere civile, da altre prospettive. 

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