Nei precedenti articoli abbiamo visto le caratteristiche tecniche della blockchain e la funzione dei registri nei protocolli di comunicazione, ma esiste un solo modello di registro gestito tramite blockchain o i modelli sono più di uno? Quali sono le conseguenze del fatto che si tratta di un registro distribuito?
Permissioned blockchain o permissionless blockchain?
Un prima classificazione relativa alla modalità di gestione di una blockchain è quella che fa riferimento alla sua accessibilità o meno, in lettura e scrittura, da parte di chiunque o solo di soggetti predeterminati (permissioneless blockchain o permissioned blockchain).
Inoltre è necessario distinguere tra:
- i premessi in accesso o in sola lettura (ad es. da parte dei cittadini che usano il servizio e desiderano effettuare una transazione, ma non gestiscono il nodo)
- i permessi in scrittura che consistono nella possibilità di incidere sulla blockchain con la scrittura di un nuovo blocco e che normalmente competono a chi gestisce un nodo della rete (i miners).
È evidente come tra i due tipi di permessi è sicuramente il secondo quello più importante e delicato per la sicurezza delle transazioni che si vogliono documentare.
Una permissionless blockchain da vita ad un registro a cui si accede previa identificazione, sia in lettura che in scrittura, ma che non richiede l’esistenza di soggetti qualificati che la gestiscono (teoricamente la blockchain può “girare” sui computer di chiunque e chiunque può essere un miner).
Una permissioned blockchain, invece, è tale poiché si avvale esclusivamente di soggetti qualificati, e gira solo sui computer a loro appartenenti, inseriti in una certa rete chiusa e conosciuta.
Fatte queste premesse, passando ad analizzare la tecnologia blockchain dal punto di vista del “lavoro computazionale” necessario per renderla sicura – si possono identificare tre varianti:
- La blockchain che potremmo chiamare “PURA” – che è quella totalmente aperta “in stile bitcoin”, nella quale chiunque può essere un miner – e si basa sulla proof of work che è un sistema energivoro: i miners (e di conseguenza i costi del sistema) vengono pagati in bitcoin con una percentuale sulla quantità di valore trasferito con roof of work, trattandosi di un registro “distribuito” giuridicamente la transazione è accettata se viene confermata dal 51% dei nodi appartenenti alla catena
- La block chain che potremmo chiamare “LIGHT” – che si fonda sulla Proof of Stake – che si differenzia rispetto al PoW in quanto i miners vengono scelti con un sistema che si fonda su una certa “reputazione” che un nodo si è conquistato all’interno della rete. In pratica una scelta “random” ma al tempo stesso “ragionata”. Il sistema è molto meno energivoro ma, pare, ragionevolmente sicuro, va comunque remunerato come sopra, si tratta comunque di un sistema distribuito ed anche in questo caso giuridicamente la transazione è accettata se viene confermata dal 51% dei nodi appartenenti alla catena
- La block chain che potremmo chiamare “ULTRA LIGHT” – che si basa sul fatto che i “miners” sono solo nodi noti (appartenenti ad una stessa organizzazione). In tal caso non serve alcuna “prova”; basta solo che il nodo venga realizzato, di fatto la gestione del registro è accentrata in capo all’organizzazione che lo gestisce e non è necessaria alcuna conferma di tipo “referendario” della transazione
Se queste sono le tre tipologie documentate di blockchain viene da chiedersi in cosa, quest’ultimo tipo di BC, differisca da un registro pubblico vero e proprio come ad esempio un registro Immobiliare
– i registri immobiliari informatici esistenti conservano nel tempo, in forma strutturata, dati sicuri inseriti da soggetti qualificati
– i registri immobiliari sono conservati e protetti dal sistema pubblico, perché è improbabile che qualcuno si faccia carico di tale ruolo in assenza di un corrispettivo specifico che vada a sostenere l’intero sistema;
– i pubblici ufficiali (tra cui i notai), unici abilitati a modificare il registro, hanno una funzione assimilabile ai miners perché verificano la correttezza del collegamento tra i singoli blocchi e la certificano, creando poi il nuovo blocco che viene inserito nel registro;
– il consenso di un solo pubblico ufficiale è sufficiente perché la transazione sia approvata.
Inoltre bisogna tener presente che i sistemi decentrati basati sulla blockchain memorizzano un numero molto ridotto di informazioni, altrimenti la potenza di calcolo necessaria per la loro gestione diventa inimmaginabile ed anti-economica, questa è la motivazione per la quale attualmente nei sistemi basati su tale tecnologia che vogliano tracciare non semplicemente l’operazione (passaggio di proprietà da A a B di denaro o altri beni) ma anche il contratto che lo giustifica o comunque l’esistenza di un documento (il codice sorgente di un sw), viene conservata solo l’impronta del documento, ma ciò non preserva dal rischio di perdere il documento in se ed in tal caso la conservazione della sua sola impronta sarebbe totalmente inutile.
Pertanto un sistema che voglia effettivamente garantire la tracciabilità dell’intera operazione, oltre ad una blockchain che memorizzi l’hash, deve prevedere anche un sistema di conservazione per il documento.
A questo punto bisogna attentamente valutare quali siano i risparmi effettivi dell’intero processo.
Infine la tecnologia blockchain, risulta per definizione immutabile, potrà sembrare strano ma proprio questa caratteristica mal si concilia con un’esigenza tipica dei pubblici registri aventi valore legale e relativi a transazioni complesse come quelle immobiliari, ovvero con la necessità che lo Stato conservi il potere/dovere di “dire l’ultima parola” cioè il potere di agire d’imperio sulle risultanze del registro anche in difformità ed in modifica ad esso (si pensi alla necessità di esercizio del potere del giudice che in taluni casi deve poter modificare le risultanza del registro).
Questo appare impossibile in sistemi rigidi come quelli totalmente informatici, i quali (per definizione) si basano sul principio contrario della “immodificabilità del dato”.
Il registro distribuito: democrazia o ologopolio?
Abbiamo sottolineato prima come nei registri “distribuiti” mancando un’autorità centrale che li gestrice e ne garantisce il contenuto, le transazioni devono essere approvate dal 51% dei nodi i quali confrontano i dati in loro possesso e procedono alla creazione di un nuovo blocco inglobando la nuova transazione solo se ciò con contrasta con le transazioni precedenti.
Questo sistema si basa su due pilastri:
- la decentralizzazione della rete, ovvero il suo essere effettivamente distribuita tra molti soggetti che gestiscono ciascuno una replica integrale del registro e cui agganciare le nuove transazioni,
- la correttezza dei miners, fin ora supportato dal meccanismo mutuato dalla teoria dei giochi alla base del Bitcoin
Uno dei pericoli maggiori è proprio l’accentramento della potenza di calcolo nelle mani di pochi: solo qualche anno fa (2012) Deepbit da sola controllava il 45% circa dell’hash power e con la sola BTC Guild avrebbe potuto coalizzare la maggioranza assoluta dei voti; la mining distribution è oggi migliorata rispetto ad anni fa ma ciò non toglie che questo sia uno dei punti di vulnerabilità del sistema, tenuto conto che comunque la maggior parte della potenza computazionale è attualmente allocata in Cina e India e solo in minima parte in America del nord ed in Europa.
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