L’idea che i bambini possano essere coinvolti in qualche modo nel terrorismo estremista dell’IS (Islamic State) è terrificante. Eppure, oltre a subire inermi i bombardamenti da parte di uno schieramento o dell’altro, essi giocano un ruolo propagandistico fondamentale nella guerra ideologica contro l’Occidente. L’IS è, infatti, un’organizzazione terroristica che fa della propaganda la sua arma vincente, anche ‘’più potente della bomba atomica’’. Il governo statunitense ha perfino identificato nella messaggistica istantanea e nella contro-propaganda due delle aree da potenziare nel piano antiterrorismo dell’anno scorso. La propaganda attuata dal Califfato è tradotta in molte lingue e si espande attraverso vari social media e centinaia di account, ed è dunque molto efficace. Oltre a basarsi su una strategia del terrore mediatico, l’immagine della purezza del bambino viene macchiata dalla macchina della radicalizzazione fondamentalista islamica.
I bambini come incitamento alla jihad
Fino a qualche anno fa, la strategia di propaganda dello Stato Islamico si basava soprattutto sulla diffusione di immagini strazianti di piccole creature morte a causa dei bombardamenti delle potenze occidentali. Tuttora, alcune riviste online dell’IS, come Dabiq o Rumiyah, pubblicano quotidianamente immagini di bambini morti. Si intravedono piccoli cadaveri sotto alle macerie della città o ammassati tutti insieme, scene che provocano un certo disdegno.
Gli attacchi statunitensi nelle zone di Mosul e Raqqa sono stati, infatti, frequenti in questi ultimi anni. E sono state anche occasioni per sfruttare l’immagine di innocenza e spensieratezza dei bambini per giustificare il terrorismo islamico e per sollecitare le persone ad unirsi alla propria causa. Queste fotografie, vere o no che siano, servono a suscitare ancora più rabbia e disprezzo verso gli stati occidentali, in modo che chi le guarda sia invogliato a compiere nuovi attacchi terroristici e a unirsi alla causa del Califfato. In questo modo vengono motivati anche gli attacchi terroristici, proprio perché, se non sono al sicuro i bambini arabi, non lo sono neppure quelli dell’Occidente. È proprio per questa ragione che negli ultimi anni i target privilegiati dei kamikaze sono stati centri commerciali, discoteche, e ora anche concerti, tutti luoghi in cui potevano esserci molti bambini e ragazzi.
La sorella di Salman Abedi, il ragazzo che si è fatto esplodere al concerto di Ariana Grande lo scorso 22 maggio, e che ha provocato 22 vittime, tra cui molti bambini, crede che sia stato proprio il desiderio di vendetta scaturito dalle continue immagini dei piccoli musulmani morti a spingerlo a farsi saltare in aria.
Campi di addestramento e lavaggio del cervello per i bambini-soldato
Da qualche anno, c’è stato un ampliamento del repertorio propagandistico dell’IS. Nei video diffusi dal Califfato, i bambini, oltre ad essere rappresentati come vittime innocenti dei bombardamenti occidentali, vengono addestrati a diventare dei piccoli soldati e diventano essi stessi artefici di atrocità. Una delle motivazioni principali di questo cambiamento risiede nella strategia psicologica del Califfato basata su un nuovo metodo di costruzione dello Stato, dove tutti, grandi o piccoli che siano, possono partecipare e sono in grado di combattere. In particolare, nelle zone siriane e irachene conquistate dai fondamentalisti islamici, è in atto un vero e proprio indottrinamento imposto fin dalla tenera età, anche nelle scuole. Un po’ come ai tempi dei totalitarismi europei, l’IS adesca i bambini mediante una graduale socializzazione. Ad esempio, nel corso degli eventi pubblici, vengono offerti giocattoli e caramelle ai ragazzini che si mettono in mostra e compiono atti di adesione nei confronti dello Stato Islamico. Questi gesti possono essere anche molto semplici, azioni apparentemente innocue, come sventolare la bandiera nera del Califfato, ma in realtà si tratta di una specie di “macabro camioncino dei gelati, che attrae la gioventù a imparare di più riguardo a ciò che l’IS ha da offrire”. Molti di questi bambini-soldato sono orfani, a causa della guerra, e si uniscono all’IS proprio perché è il loro unico punto di riferimento. Nella creazione di questo “piccolo” esercito, le milizie del Califfato sfruttano anche il fatto che nell’adolescenza i ragazzi incorporano i valori della società, dunque, vivendo in un ambiente del genere, in cui le decapitazioni sono all’ordine del giorno, crescono con la convinzione che l’uso della violenza sia normale.
Inoltre, come hanno riportato gli attivisti di ‘’Raqqa is being slaughtered silently’’, un gruppo di giornalisti che diffondono le notizie della guerra in Siria e la continua violazione dei diritti umani, l’IS “ha avviato anche un progetto di reclutamento delle giovani leve”, aprendo dei campi di addestramento nei territori conquistati. I genitori sono obbligati a mandarci i figli, convinti con cibo e denaro; in altri casi i bambini vengono perfino rapiti. ‘’Ce ne sono almeno dieci’’ – aggiunge Walid Hamid, attivista politico di Deir Ezzor, città siriana situata ad est – e ‘’le reclute presenti in questi campi hanno tutte meno di 18 anni’’. Dopo qualche settimana di addestramento, ai nuovi piccoli soldati vengono affidate delle missioni di sorveglianza, spionaggio o trasporto dei viveri, mentre quelli più robusti vengono mandati al fronte o usati come kamikaze. In un video diffuso dall’IS nel 2015, viene commessa un’esecuzione di massa a Palmira per mano di alcuni piccoli soldati jihadisti, visibilmente molto giovani. Si intravedono 25 ragazzini a viso scoperto, che entrano sfilando di fronte agli altri militanti tra i pochi resti storici della città rimasti. In fila dietro ai prigionieri, senza esitazione, come se stessero per compiere un gesto normale, estraggono le rivoltelle e gli sparano un colpo in testa.
Nella maggior parte dei casi, una volta entrati nell’esercito dello Stato Islamico, questi piccoli combattenti sono abbandonati a se stessi, proprio perché molte famiglie si arrendono al fatto di aver perso per sempre i propri figli. Quelle che riescono a recuperarli, invece, si scontrano con il difficile reinserimento dei bambini-soldato nella società, dovuto all’indottrinamento religioso e a un lavaggio del cervello troppo ferreo.
I nuovi ‘’leoncini’’ del Califfato
Il reclutamento dei bambini-soldato non è una pratica nuova. Infatti, nella stessa area,era già stata sperimentata da Saddam Hussein verso la fine degli anni Settanta. Il partito Ba’ath, forza politica che controllava l’Iraq in quegli anni, aveva istituito una sorta di movimento per i giovani che mirava a stabilire un’organizzazione paramilitare tra i bambini, tramite l’addestramento militare e l’indottrinamento politico. A distanza di 40 anni, la logica rimane sempre la stessa: indirizzare queste vittime facilmente manipolabili, data la tenera età, ad apparire ed a mostrarsi in pubblico, creando competizione in modo da far emergere il combattente migliore e dunque che potrà essere degno di arruolarsi nell’esercito dello Stato Islamico. I piccoli soldati sono immersi in un ambiente caratterizzato da pratiche brutali, esposti quotidianamente alla violenza in modo da ‘’desensibilizzarli’’. Nel corso dell’addestramento, viene insegnato loro che la pratica dell’esecuzione è un privilegio e un onore, quasi un premio. In uno degli ultimi video pubblicati dall’IS nell’8 gennaio 2017, ‘’He made me alive with my own blood’’, si vede un bambino di circa di circa tre anni sparare a un uomo disarmato in testa, e un altro ragazzino un po’ più grande tagliare la gola a un prigioniero con un coltello.
Tutte queste azioni sono filmate e diffuse tramite i social media, in modo da creare un consenso più ampio verso lo Stato Islamico anche tra gli adulti, vendendo che perfino i bambini lo sostengono. Tramite questo tipo di propaganda, l’IS cerca di ‘’normalizzare’’ le pratiche dell’esecuzione e promuovere l’idea che il pubblico generale supporti le esecuzioni. L’IS punta moltissimo su questo nuovo esercito di ‘’leoncini’’ o ‘’lion clubs’’ – così vengono definiti, quasi ad indicare la trasformazione di piccoli cuccioli in bestie feroci – perché le truppe occidentali sono più restii ad uccidere una rappresaglia di bambini, rendendolo dunque invincibile, l’esercito più agghiacciante mai creato. Il Califfato, ancora una volta, dimostra la fermezza e l’atrocità del suo messaggio, che non lascia scampo neppure ai bambini.