Dopo la partenza delle truppe britanniche dallo Yemen nel 1967, nella parte meridionale dello Stato arabo venne creata, da parte dell’ala più estremista del Fronte di Liberazione Nazionale, la Repubblica Democratica Popolare dello Yemen, con capitale Aden, governata da un regime di stampo marxista. Nella parte settentrionale del Paese, nel 1978, sale al potere invece il presidente Ali Abdullah Saleh. Dopo vari e negoziati e trattative , il 22 maggio del 1990 i due Stati vengono unificati con capitale Sana’a. Il Capo dello Stato del nuovo Paese unito è Saleh descritto come “un uomo burbero con un cipiglio arrogante stampato costantemente sul volto”.
A partire dalla fine degli anni ’90 nel Paese scoppiano diversi scontri tra le forze regolari e le milizie antigovernative note con la denominazione di Houthi – prevalentemente Sciite Zaydite – che tentano di rovesciare il governo in carica. Questi conflitti vengono risolti attraverso speciali accordi tra le parti oppure mediante la repressione da parte del governo.
Nel 2011 come conseguenza delle Primavere Arabe e delle continue manifestazioni contro Saleh, cui parteciparono anche gli Houthi, il Presidente si dimette. Al suo posto, nel 2012, viene insediato Abd Rabbih Mansur Hadi, vice presidente di Saleh, con un mandato di due anni. Tuttavia, nel settembre 2014, come ritorsione rispetto alla proposta di estendere il mandato presidenziale di un altro anno e di limitare il finanziamento destinato alle milizie sciite, gli Houthi attaccano Sana’a, difesa dall’esercito regolare del Paese, conquistandola. In seguito alla presa dell’edificio presidenziale, gli Houthi sciolgono il parlamento, istituiscono un Comitato Rivoluzionario e costringono alle dimissioni il presidente il quale si rifugia nella città di Aden. Da qui Hadi denuncia il colpo di stato di cui è stato vittima e dichiara di essere l’unico presidente costituzionalmente legittimato a governare lo Yemen. Inoltre proclama Aden nuova capitale del Paese.
La guerra che si sta combattendo in Yemen in questo momento vede perciò coinvolte prevalentemente le forze degli Houthi, che controllano la capitale Sana’a e fedeli all’ex presidente Ali Abdullah Saleh, dall’altra le truppe – basate ad Aden – facenti capo a Abd Rabbih Mansur Hadi, il quale gode del sostegno dell’Unione Europea, degli Stati Uniti e dei Paesi arabi. A questo quadro si aggiungono le milizie di Al Qaeda nella Penisola Arabica (sigla in inglese AQAP) e le forze dell’ISIS.
A sostegno delle due maggiori formazioni presenti in Yemen troviamo una serie di attori internazionali e nello specifico l’Iran, che appoggia, ancorché non palesemente, le forze Houthi e una coalizione guidata dall’Arabia Saudita, che sostiene il presidente Hadi.
La coalizione e l’intervento saudita in Yemen
La coalizione risulta composta dai paesi membri del Gulf Cooperation Council (GCC): Emirati Arabi Uniti, Qatar, Bahrein, Kuwait, Marocco, Giordania, Sudan, Egitto e Stati Uniti già da tempo presenti in Yemen per contrastare i terroristi di AQAP.
Questa guerra è a tutti gli effetti un confronto a distanza tra l’Arabia Saudita e l’Iran, eterni rivali per il controllo del Golfo Persico, nonché rappresentanti dei due grandi rami dell’Islam, Sciiti e Sunniti*.
Il 21 marzo del 2015, il governo saudita lancia l’operazione “Tempesta Decisiva” (ora “Restore Hope” – Riportare la Speranza) bombardando le postazioni Houthi come i depositi di armi e neutralizzando le difese anti aeree.
Pochi giorni dopo, Hadi raggiunge Riyahd e poi l’Egitto per partecipare al summit della Lega Araba la quale dà il proprio sostegno all’operazione militare, considerata come l’unica soluzione dal momento che tutti i tentativi di mediazione sono falliti.
L’Arabia Saudita è lo Stato maggiormente impegnato in questo conflitto e proprio per questo motivo negli ultimi anni si è assistito a un flusso di armi e tecnologie così grande verso il Paese arabo. Gli Stati fornitori sono gli USA (il 21 Maggio il presidente Trump, durante la sua visita a Riyahd, ha firmato un accordo con il governo saudita per una ulteriore vendita di armi pari a 110 miliardi di dollari ), Regno Unito, Francia (con cui è stato siglato un accordo per un totale di 455 milioni di dollari) e la Cina. L’Italia risulta anch’essa impegnata dal momento che le bombe utilizzate dall’Arabia Saudita sono fabbricate in Sardegna dalla multinazionale RWM Italia S.p.A e imbarcate su aerei cargo della Silk Way all’aeroporto di Cagliari.
Grazie alla sua grande disponibilità economica, Riyahd ha potuto finanziare il riarmo di Paesi alleati come l’Egitto il quale ha potuto intraprendere una campagna di acquisti di nuove armi sia dagli USA che dalla Francia, e che gli ha permesso di avere un ruolo attivo sia nella campagna contro gli Houthi sia in Libia contro le milizie di Alba Libica. Anche il Marocco ha preso parte alle operazioni con i propri jet registrando, nel maggio del 2015, la perdita di uno di questi al confine con lo Yemen.
Oltre il Mar Rosso: il Corno d’Africa nella guerra in Yemen
I finanziamenti – erogati anche dagli altri membri del GCC – hanno anche riguardato alcuni Paesi del corno d’Africa: il Sudan che ha inviato in Yemen proprie truppe di terra e aerei dopo che Arabia Saudita e Qatar hanno versato alla sua banca centrale, rispettivamente, le somme di 1 e 1,22 miliardi di dollari considerate come una boccata d’ossigeno per la stremata economia del Paese; la Somalia che ha garantito la disponibilità del proprio territorio come base di partenza per le operazioni contro gli Houthi; l’Eritrea che ha messo a disposizione agli Emirati Arabi Uniti la base aerea e il porto di Assab, e che ha dato il via libera per l’invio di 400 militari nelle file dell’esercito di Dubai; il Senegal che ha inviato in Yemen 2100 militari e il Djibouti che ha garantito il pieno supporto.
Yemen: un dejà-vu?
Tuttavia, nonostante le cifre facciano pensare a una coalizione altamente preparata è necessario precisare che quella dello Yemen è una guerra tutt’altro che facile. Le perdite da parte degli Stati del GCC sono significativamente elevate al punto tale da definire questo conflitto – da parte di alcuni media americani – “L’Afghanistan dell’Arabia Saudita” come sinonimo di guerra destinata a durare nel tempo e difficile da vincere.
Gli Houthi infatti stanno impiegando armi molto più avanzate rispetto a quelle di cui le milizie ribelli normalmente sono dotate, come missili in grado di colpire dal confine città e basi militari saudite o barchini esplosivi (in alcune fonti si parla anche di barchini controllati a distanza) in grado di infliggere gravissimi danni alle navi della coalizione. Inoltre le forze fedeli a Saleh hanno posizionato diverse mine che l’esercito regolare yemenita non riesce a individuare o bonificare a causa della mancanza di equipaggiamento e che impediscono ai civili in fuga dal conflitto di ritornare nelle proprie città o case.
Purtroppo le vere vittime di questa guerra sono i civili. Le stime, fino ad ora, parlano di oltre 10.000 morti e 40.000 i feriti. La maggior parte delle battaglie viene combattuta nelle città e i bersagli, spesso, sono scuole e ospedali. A tutto questo si aggiungono le violenze perpetrate dagli Houthi nei confronti della popolazione e dei loro oppositori. Come afferma Jamie McGoldrick, Coordinatore Umanitario per questo Stato “Enough is Enough for the people of Yemen”.
* Dopo la morte del Profeta Maometto, nel 632 d.C., le tribù che lo seguivano si divisero riguardo alla questione di individuare il suo successore. La maggior parte dei seguaci, coloro che successivamente sarebbe stati chiamati Sunniti, individuarono Abu Bakr, padre della moglie del Profeta, come legittimo erede, mentre gli altri, che appoggiavano Alì , si chiamarono Shiaat Alì (Partigiani di Alì) da cui Sciiti.
2 comments for “Yemen, una guerra sulle sponde del Mar Rosso”