La vitamina del sole

Circa l’80% della popolazione italiana ha una carenza di vitamina D, ormai tutti gli studi lo confermano, e questa condizione può comportare conseguenze sulla comparsa di moltissime patologie e sulla mortalità in generale.

I livelli di vitamina D nel sangue sono il risultato del suo apporto con l’alimentazione e con l’esposizione al sole. I cibi più ricchi di questa vitamina comprendono il riso, i cereali, le uova, i prodotti caseari, il pesce (in particolare sgombro, trota, anguilla, sardina), la carne (fegato, pollo, tacchino). L’apporto dietetico è ridotto dal fatto che oggi in Italia si tende a mangiare meno grassi animali rispetto ad altri paesi, ma anche dalla mancata aggiunta della vitamina agli alimenti, come invece viene fatto in molti paesi del Nord Europa. Infatti, l’assorbimento da esposizione solare incide solo per il 30% sul fabbisogno complessivo della vitamina. I livelli plasmatici, secondo le più recenti linee guida (LG SIOMMS), non dovrebbero essere inferiori a 30 ng/ml di 25OH D, la forma più facilmente dosabile di questa vitamina.

vitamina D

Quali sono le conseguenze di una carenza di vitamina D?

La grave carenza di vitamina D nell’organismo conduce principalmente allo sviluppo di due patologie: il rachitismo nell’età infantile e l’osteomalacia nell’età adulta, entrambe responsabili di una particolare fragilità ossea, dovuta alla scarsa mineralizzazione. Ma la carenza di questa vitamina è stata più di recente messa in rapporto con la comparsa e l’aggravamento di tutta una serie di malattie che vanno dalle patologie cardiovascolari al diabete, dalle malattie immunologiche all’Alzheimer, dalla depressione alla schizofrenia, dal cancro alle malattie intestinali croniche.

La vitamina D è, prima di tutto, una protagonista fondamentale nella cura dell’osteoporosi, soprattutto per il suo effetto sul riassorbimento di calcio da parte del rene e dell’intestino e per la sua azione di regolazione sui livelli del paratormone. Tranne i casi gravi di patologia ossea conclamata, la carenza è asintomatica e va accertata attraverso controlli periodici dei livelli nel sangue.

E i rimedi? Questi variano a seconda dell’età e dello stato generale del soggetto e partono da un cambiamento dello stile di vita e da una dieta adeguata. Esporre viso e braccia al sole senza filtri di protezione per 15 minuti al giorno in un soggetto di pelle chiara riesce a produrre da 10.000 a 20.000 UI di vitamina D. Somministrare precursori della vitamina D attiva come il colecalciferolo è altrettanto importante: il fabbisogno giornaliero in fase di mantenimento è stato stimato mediamente in circa 600 UI nei bambini e negli adulti fino a 70 anni e in 800 UI nei soggetti di età superiore a 70 anni.

Attività fisica per prevenire le patologie

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Di recente sono maturate prove inconfutabili che la salute del cuore e la riduzione significativa del rischio di malattie cardiovascolari passa anche dal binomio vitamina D e attività fisica. Uno studio della John Hopkins School of Medicine ha dimostrato che l’esercizio fisico combinato con livelli elevati di vitamina D può realmente ridurre il rischio di infarto e ictus e di malattie cardiovascolari in genere.

Sono stati analizzati i sondaggi e le cartelle cliniche di oltre 10.000 adulti americani nel corso di circa 20 anni. È stato individuato un vero legame sinergico tra esercizio fisico e vitamina D. I partecipanti avevano un’età media di 54 anni all’inizio dello studio, il 57% erano donne; i soggetti più attivi e con più alti livelli di vitamina D avevano il rischio più basso per malattie cardiovascolari future, circa il 23% in meno rispetto a quelli con bassa attività fisica e carenza della vitamina.

Sono stati indubbiamente dimostrati benefici anche per gli atleti: elevati livelli plasmatici della vitamina contribuiscono ad una ottimale funzione muscolare, riducono l’infiammazione, il dolore, aumentano la forza, la potenza, le prestazioni fisiche. I supplementi orali della vitamina che si danno agli atleti hanno come obiettivo il raggiungimento di livelli di circa 40 ng/ml, ciò per mantenere una riserva costante nei muscoli e nel tessuto adiposo. E ancora, tra le tante acquisizioni sulle attività della vitamina D, può essere interessante soffermarsi sul suo coinvolgimento nella patogenesi e nella prevenzione dei disturbi depressivi. Attraverso uno studio su due gruppi di pazienti affetti da un disturbo depressivo maggiore, già in terapia con farmaci specifici (fluoxetina), è stato dimostrato che l’aggiunta di una quantità giornaliera di 1500 U di vit.D provocava miglioramento nel controllo dei sintomi. Questi benefici sarebbero in relazione all’aumento dei livelli di serotonina, il neurotrasmettitore su cui agiscono principalmente gli antidepressivi.

La vitamina D non è certamente l’ormone della felicità, ma tutti i suoi effetti positivi sul benessere psicofisico dell’organismo potrebbero sicuramente concorrere ad una vita più serena.

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