La storia si ripete, non è certo una novità. Siamo, però, in grado di riconoscere l’eterno ritorno dell’uguale? Siamo diventati capaci di accorgerci quando qualcosa di terribile o di grandioso si prospetta di fronte a noi?
Siamo capaci di difendere i nostri valori e i diritti umani? Siamo, infine, capaci di imparare dai nostri errori per evitarli in futuro?
La Brexit, l’elezione di Donald Trump, il successo di Marine Le Pen, l’appeal esercitato dal terrorismo islamista sulle giovani generazioni anche in Europa sembrano smentire le nostre capacità di comprensione. Eppure, come sottolinea Giovanni De Mauro su Internazionale, “Tranne poche eccezioni, alla fine degli anni ‘30 quasi tutti i giornalisti statunitensi si erano resi conto del loro errore di valutazione [aver sottovalutato Hitler, ndr]. Dorothy Thompson, che nel 1928 aveva definito Hitler un uomo di “sorprendente insignificanza”, nel 1935 ammise che “nessun popolo può riconoscere un dittatore in anticipo” perché “non si presenta alle elezioni con un programma dittatoriale” e “si definisce uno strumento della volontà
nazionale” e popolare, aggiungo io.
Tutto ciò vale anche quando pensiamo al populismo, piaga del nostro mondo contemporaneo e minaccia concreta alla Democrazia e ai diritti. In questi anni è concretamente cresciuto l’impatto di questo fenomeno su politiche e società e i diritti umani sono i primi a farne le spese, ridotti a mera ideologia e privati della loro capacità cogente. Di fronte alla diffusione della piaga populista, i più deboli non hanno alcuna protezione. Spiegare il populismo, quindi, è diventata una necessità irrinunciabile in un contesto di crisi. L’elemento cruciale è la necessità di prendere in considerazione l’indole umana, condizionata dallo sviluppo sociale, ma che riemerge nelle situazioni di difficoltà e che regola la logica dei grandi gruppi. La maggior parte delle persone, infatti, persegue il proprio interesse personale piuttosto che quello collettivo ed è incline a seguire chi si propone di poterglielo garantire. Situazioni di difficoltà o malessere, povertà, ingiustizie sociali, crisi economiche portano ad un malcontento formato dalla somma delle richieste dei singoli interessi. Chiunque ambisca ad ottenere il potere ha bisogno di individuare le necessità del popolo e di garantire soluzioni immediate, semplici e, spesso, semplicistiche. Ci vuole, poi, quel quid in più. In genere, questo è garantito da notizie improbabili, idonee a provocare paura o umiliazione, oppure da risvolti religiosi o spirituali che, grazie al “dogma”, permettono speranze non verificabili.
La differenza è, quindi, fatta dai soggetti capaci di aggregare i singoli sfruttando le sofferenze ed amplificandole a proprio piacimento, alimentando paure ed esigenze. Si forma, così, il consenso per il raggiungimento di un potere personale che nulla, poi, ha a che vedere con il benessere della popolazione. Il populismo e lo sfruttamento di notizie inventate di sana pianta utili a rafforzare il potere non rappresentano, però, invenzioni contemporanee. Se pensiamo alla Rivoluzione Francese, osserviamo che i suoi ideali erano assolutamente nobili.
Tuttavia, per fare breccia nel cuore del popolo bisognava parlare alla sua “pancia”.
È stato “necessario” che le persone percepissero la presa in giro di un potere autoritario ed opulento. La famosa uscita di Maria Antonietta “Che mangino brioche” (rispondendo a chi la informava che il popolo era privo di pane per sfamarsi)? Un
comprovato caso di fake news in salsa settecentesca. Ha, però, esercitato un forte, fortissimo impatto sulle persone prive della possibilità di verificare se la notizia fosse vera oppure no. Non è, purtroppo, il solo esempio di come l’utilizzo di notizie false abbia influenzato le masse fino a che una figura autoritaria sia stata capace di restituire ordine e sicurezza. Non è andata in maniera troppo differente con il nazismo: di fatto, anche questo si basava su fake news, come quella della superiorità della razza ariana su tutte le altre. Oppure con il modello sovietico, costantemente impegnato ad alimentare il culto dei propri dittatori. Fino ad arrivare alle promesse, negli estremismi religiosi, di paradisi traboccanti di opulenza materiale.
Peccato poi, che populismi ed autoritarismi marginalizzino quello stesso popolo che ha fornito loro gli strumenti per aggregare il potere nelle proprie mani. Questi meccanismi facilitano la reazione delle masse, destituiscono l’élite del momento, ma portano sempre a dittature ed a drammi ancora più grandi e distruttivi. Una rivoluzione non può funzionare se manca il ragionamento, una strategia a medio e lungo termine, una prospettiva che accosti alla pars destruens qualcosa di costruttivo orientato al futuro. La Storia ci insegna che per coinvolgere e manipolare le masse servono motivazioni che le tocchino spiritualmente, che stravolgano le loro vite, che creino problemi urgenti anche se questi non esistono. A noi restano i libri che ci raccontano cos’è successo e l’uso del nostro spirito critico per fare in modo che certe atrocità non accadano più. Mai più.
Massimiliano Fanni Canelles