È il sentimento di rifiuto quello che prevale e che si diffonde in tutta la società, fratturata dalle diseguaglianze
Davide Giacalone
Con il termine “populismo” si pretende di identificare troppe cose, spesso opposte fra loro. La radice storica di questo movimento, ad esempio, non ha nulla a che vedere con il modo in cui il concetto è utilizzato oggi. Né ha molto senso usare “populista” al posto di “demagogo”, come vedo che si fa: demagoghi, come populisti, in questo modo, sono sempre gli altri che la pensano diversamente da me. Quando si usano le parole in modo confuso è segno che si hanno le idee confuse. Sicché ho deciso di non usare mai la definizione di “populista”. Non definisce nulla, mi è inutile.
Eppure, quel sentimento esiste, come ne esistono gli interpreti.
È diffuso nel mondo, sembra essere crescente. Con quale concetto si può definire? Propongo: rifiuto. C’è un fronte del rifiuto, con cui si devono fare i conti. Una moltitudine in fuga dalla realtà e dalla modernità. Un rifiuto che colpisce la globalizzazione, ma, al tempo stesso, ne è uno dei prodotti culturali: quel rifiuto è globalizzato.
Il fronte del rifiuto non è né di destra, né di sinistra. È reazionario. Nel senso letterale: si fonda su una reazione. Non importa se le varie reazioni sono coerenti fra loro, importa che si sorreggano a vicenda. Il minimo comun denominatore è la convinzione che fosse migliore il tempo di prima. Serve a nulla scodellare i numeri che dimostrano l’ovvio: il mondo è più ricco, più aperto, viviamo più a lungo e in maggiore salute. Serve a niente, perché quel mondo mi ha messo paura. Reagisco rifiutandolo. Vedo arrivare molti immigrati? Ricordo con rimpianto quando le frontiere erano chiuse. Ma quando erano chiuse?
È possibile avere una data, un’epoca, qualche punto di riferimento? Se scavi, scopri che erano chiuse quando eravamo in guerra, quando crepavamo di nostro facendola fame. O lo erano quando erano in guerra gli altri e crepavano di fame, consentendomi di sentirmi buono nel commuovermi per la loro sorte, vivente e morente lontano da me.
Vedo in giro molti disoccupati? Penso che una volta non era così. Una volta quando? Il disoccupato odierno, nel nostro mondo, è un re dei consumi, rispetto non solo ad un disoccupato, ma anche ad un occupato di qualche tempo addietro. L’economia contadina sapeva che il lavoro aumenta il prodotto e placa la fame, l’economia postindustriale pensa che il lavoro sia un bene predefinito e che forze malvage ne amministrino la distribuzione. Solo in un’economia che ha divorziato dal prodotto si possonosentire affermazioni del tipo: lavorare meno per lavorare tutti. Nell’economia contadina ti avrebbero suggerito di non eccedere con il fiasco. Fatto è, comunque, che l’industrializzazione ha portato con sé la piena occupazione, mentre il tempo ha cancellato dalla memoria quanto quella condizione fosse considerata tipica degli sfruttati e dei costretti a lavori ripetitivi e, come si diceva, “alienanti”.
Ora si vuole il coinvolgimento di allora senza il lavoro di allora e senza i salari di allora. Soprattutto, senza il mondo di allora, ma con il mondo di oggi. La globalizzazione rende ciò ridicolmente impossibile? E allora sono contro la globalizzazione. Reagisco, rifiuto. Il resto, realismo e realtà compresi, non sono affar mio. Allo stesso modo si recuperano i miti delle forze occulte che guidano e dominano le nostre vite, pronti ad usare questo schema anche quando si parla di vaccini. Dimostri che i vaccini hanno salvato la vita a immense moltitudini?
Ti rispondono che sei venduto e vuoi negare l’esistenza della morte.
Gli interpreti di questi sentimenti si sono sempre trovati e sempre si troveranno. Prima che esistesse google maps, vi sarà capitato di trovarvi in viaggio con altri e arrivare al momento in cui non è più chiaro dove ci si trova e da che parte si deve andare: due o tre si concentrano sulla mappa, gli altri sono impegnati a dire che ci siamo persi, che non saremmo dovuti arrivare fin lì, che loro l’avevano detto. Inutili sarebbe niente: nocivi. Ma esistono. Ed esisteranno. Il fatto è che non solo sono capaci di farsi del male, ma anche di farlo.
Per questa ragione ritengo che serva a niente bollare tali sentimenti di “populismo” per irriderli o inorridirne. Il problema è un altro: la globalizzazione è cresciuta, è un bene, ma ha covato squilibri con i quali fare i conti. Ci siamo un po’ persi, insomma, sicché ci si deve concentrare sulla mappa, sperando che i malmostosi inutili non si distraggano con trastulli troppo pericolosi.
Davide Giacalone, editorialista di RTL 102.5 e Libero