L’8 novembre gli americani sceglieranno il nuovo Presidente degli Stati Uniti.
Gli statunitensi però non votano direttamente il presidente. Ciascuno dei 50 stati eleggerà un numero di “grandi elettori” pari al numero di senatori e di deputati che manda al Congresso degli Stati Uniti. Questi sono uomini di fiducia dei partiti di appartenenza che si sono impegnati pubblicamente una volta eletti. Tuttavia, da un punto di vista giuridico sono liberi di votare per il candidato che preferiscono. Sono eletti dal popolo secondo le liste elettorali e in numero proporzionale agli abitanti e alle attività dei singoli stati. I 538 grandi elettori eleggeranno quindi il presidente secondo le indicazioni dei loro partiti di appartenenza. Vincerà il candidato presidenziale che avrà ottenuto almeno 270 voti, cioè la maggioranza assoluta.
I candidati dei due principali e dominanti partiti dell’amministrazione americana sono Donald Trump e Hillary Clinton, rispettivamente Repubblicano e i Democratico. La candidata democratica è ora al 47%, Trump al 45,3%, in grande rimonta. Secondo l’ultimo sondaggio della Cnn per la Clinton sono a favore 268 grandi elettori, mentre Trump è a quota 204, con 66 grandi elettori ancora in bilico. La situazione è così incerta che qualcuno comincia ad evocare anche l’ipotesi pareggio.
Ma ci sono anche altri candidati come Gary Johnson del Libertarian Party, già governatore del Nuovo Messico con i repubblicani. E’ l’unico candidato alternativo ad essere presente nelle liste elettorali di tutti gli stati con sondaggi che lo danno intorno al 6%. Propone la liberazione delle droghe, unioni civili per tutti i sessi, totale libertà di mercato, eliminazione del welfare, nessuna restrizione alle armi.
Abbiamo poi Jill Stein, la leader del partito del Green Party, medico e attivista, sostiene le politiche ambientaliste, ma anche Snowden e Assange ed è contraria alle politiche Nato e di Israele. Negli ultimi giorni Evan McMullin sta acquisendo notorietà, piace alla destra americana, è antiabortista e contro le unioni civili, nello Utah i sondaggi lo danno favorito. Darrel Castle, avvocato, è il candidato del partito del Constitution Party. Ha dichiarato che ai musulmani dovrebbe essere impedito l’accesso in attesa di avere delle misure antiterroristiche più sofisticate. Ma ci sono ancora altre 27 persone che concorrono formalmente alla presidenza degli Stati Uniti. Molte in un solo stato.
Però in queste ore sono altre le preoccupazioni delle amministrazioni negli USA: la minaccia di attentati dall’estremismo islamico e quella di attacchi informatici russi per destabilizzare il processo elettorale. Nel mirino di Al Qaeda ci sarebbero Texas e Virginia e New York, in particolare la maratona dove si attendono 50mila sportivi. Obiettivo degli hacker sono invece i software che gestiscono i registri degli elettori e le urne elettroniche utilizzate in gran parte del Paese. In allerta sono la Casa Bianca, il Dipartimento per la sicurezza nazionale, il Pentagono e le principali agenzie di intelligence come Cia e Nsa. Anche i socialnetwork come Twitter e Facebook sono monitorati per bloccare disinformazione e pubblicazioni di documenti falsi.
Ma veniamo ai due candidati realisticamente eleggibili. Hillary Clinton e Donald Trump hanno svelato il loro programma elettorale ad agosto, scegliendo come palcoscenico la città di Detroit, capitale mondiale dell’automobile e oggi simbolo della classe operaia impoverita. Nei loro rispettivi programmi si parla di investimenti per rilanciare l’economia e l’occupazione, commercio, politica estera, guerra, armi, diritti civili e sicurezza nazionale e internazionale.
Trump persegue le idee protezionistiche abbracciate per l’ultima volta dai repubblicani negli anni Venti. Promette agevolazioni fiscali, diminuzione del debito e del deficit; aumento dei posti di lavoro e crescita economica. Le aziende, di qualsiasi dimensione, pagheranno in tasse non più del 15% del reddito. La riforma dell’immigrazione secondo Trump prevede la creazione di un muro per segnare il confine meridionale (quello con il Messico) e l’eliminazione del diritto di cittadinanza per nascita. È proprio sul tema immigrazione che Trump sta puntando per vincere le elezioni, facendo leva sulle problematiche sociali legate alla criminalità e alle spese di alloggio e sanitarie a carico dei contribuenti. Riguardo alle problematiche ambientali, per Trump il riscaldamento globale sarebbe solo una “bufala” e vuole invece puntare alle fonti fossili per lo sviluppo dell’industria e dell’economia del Paese. Una delle promesse fatte da Trump è lo smantellamento dell’EPA (Environmental Protection Agency), che si occupa della tutela dell’ambiente e dello sviluppo delle energie rinnovabili. Trump ha poi attaccato duramente la politica estera di Obama nell’era di Clinton nel ruolo di segretario di Stato, soprattutto per quel che riguarda la guerra in Medio Oriente. Vuole impedire all’Iran di avere l’energia nucleare. Promette di allentare le tensioni con la Russia e la Cina, trovando interessi comuni nonostante le divergenze. Vuole cambiare i capitoli di spesa della NATO per ridurre l’impegno statunitense e mandare truppe all’estero solo se “assolutamente necessario.
Hillary Clinton si è dimostrata principalmente interessata alla classe media, all’equità sociale e ai diritti umani, in particolare i diritti delle donne, persone di colore e bambini, dei quali si è occupata in passato durante la sua carriera prima di avvocato e poi di politico. Il programma dei democratici prevede un mix di interventi pubblici e di incentivi per le imprese e per la ricerca scientifica. Innanzitutto un piano di investimenti federali sulle infrastrutture: strade, ferrovie, aeroporti. Poi una serie di incentivi per le piccole e medie imprese, considerate quelle più in grado di creare posti di lavoro. Si vuole la semplificazione della burocrazia e delle modalità di accesso ai capitali pubblici. Sarà impostata una riforma fiscale che stimoli gli investimenti in America per evitare che le imprese spostino le industrie all’estero. Hillary è intenzionata a produrre massicci investimenti anche per lo sviluppo dell’energia verde, con l’obiettivo di fare degli Stati Uniti la nazione leader nel solare. Si fa promotrice di una riforma complessiva sull’immigrazione volta a proteggere i diritti degli immigrati, utile anche per la crescita economica.
Nel frattempo è sempre in primo piano l’indagine da parte dell’FBI sulle email contenenti documenti riservati, divulgate e mal gestite dalla Clinton. Ma il rischio è che ci possa essere un potenziale allargamento dell’inchiesta sulla Clinton Foundation considerata una macchina da soldi per i coniugi presidenziali. Di sicuro non sarà possibile chiudere l’indagine prima dell’8 novembre e questo pone seri dubbi sull’opportunità e la tempistica di esporre ai media la questione a pochi giorni dall’elezione presidenziale. Risulta evidente che si tratta di un azione politica, esporre le informazioni di un indagine in corso non è lecito e non è abitudne dell’FBI. Anche perchè è possibile che successivamente non possano essere dimostrate responsabilità concrete per Hillary.
Dall’altra parte, come leggiamo su un articolo pubblicato da The Atlantic, l’abilità più famosa di Trump è l’auto-promozione. Secondo il magazine americano, infatti, il magnate sfrutta le paure e le debolezze della popolazione. Inoltre per il New York Times Donald Trump ha usato “manovre” sospette per evitare di pagare le tasse e ci sono numerose dimostrazioni di alcuni suoi pensieri ed azioni soprattutto relativi alla svalutazione del genere femminile.
Nel frattempo c’è un posto in tutti gli Stati Uniti, dove oggi la campagna elettorale non è una priorità, quel posto è in North Dakota, la riserva dei Nativi Americani. Un popolo massacrato da noi occidentali che protestano per difendere il loro ultimo fazzoletto di terra minacciato da nuovi interessi delle multinazionali energetiche : «io spero ancora in Barack Obama, può fermare tutto con un tratto di penna» sospira mentre attizza il fuoco Wayne Carrick, della tribù Chippewa.