Boko Haram, al-Shabaab, al Qaeda: mappa del jihad in Africa

Nella sezione dedicata all’Africa del “Country Reports onTerrorism”, emergono “significativi livelli di attività terroristica” in varie zone del continente

Marco Cochi

cochiBoko Haram: la provincia occidentale africana dello Stato Islamico
Boko Haram è attivo in Nigeria ed è l’organizzazione radicale islamica più grande e numerosa ad aver proclamato la sua sottomissione allo Stato Islamico, ufficializzata con un messaggio audio il 7 marzo 2015.
Da quel giorno, il gruppo islamista nigeriano è diventato una delle dieci wilayat (province) del Califfato e, poco meno di due mesi dopo, ha deciso di cambiare nome in Islamic State’s West Africa Province – ISWAP (Wilayat Gharb Ifriqiya).
Tuttavia, l’adesione allo Stato islamico non ha permesso a Boko Haram di arginare la massiccia offensiva militare della MNJTF, la forza d’intervento congiunta multinazionale composta da Nigeria, Niger, Camerun e Ciad, la quale, negli ultimi mesi, ha ottenuto importanti risultati nella lotta agli islamisti nigeriani.
La forza d’intervento multinazionale ha espugnato le roccaforti dell’organizzazione, liberando migliaia di civili, oltre a tagliare le vie di rifornimento ai militanti, costringendoli alla resa.
Uno scenario in netta controtendenza con i timori che si diffusero dopo l’atto di sottomissione al Califfato, secondo i quali l’insurrezione nel nord-est della Nigeria avrebbe assunto una dimensione internazionale, favorita da un potenziale afflusso di combattenti stranieri verso i quattro Paesi rivieraschi del lago Ciad.
Molti analisti sono concordi nel ritenere che nulla è cambiato da quando Boko Haram si è affiliato a Daesh: nella sostanza, si è trattato solo di un brand che l’organizzazione ha voluto utilizzare per accrescere la sua sinistra fama.
Nondimeno, alcuni consulenti del Governo nigeriano in materia di sicurezza prevedono che entro quest’anno il gruppo affiliato all’IS potrebbe essere ridimensionato a una minaccia in gran parte criminale e regionale, seguendo il modello dell’Esercito di liberazione del Signore, formazione guerrigliera ugandese capeggiata dal criminale di guerra Joseph Kony che vuole instaurare uno Stato teocratico in Uganda.
La bayah al Califfato e il successivo rebranding in ISWAP hanno, inoltre, causato una frattura all’interno dei vertici di Boko Haram, inducendo i dissidenti a stringere legami con altre formazioni jihadiste filo-qaediste che operano nella regione del Sahel.
Tuttavia, i Governi occidentali considerano ancora i Salafiti nigeriani in grado di sferrare nuovi attacchi, anche al di fuori della Nigeria. Le tattiche di guerriglia adottate nel tempo da Boko Haram ne rendono, però, difficile il contrasto e sembrano smentire il presidente Muhammadu Buhari, che da alcuni mesi sostiene che il gruppo sia “tecnicamente” sconfitto.
Per questo, gli Stati Uniti hanno istituito una nuova base segreta a Garoua, Camerun. Qui sono ospitati quattro droni Gray Eagle utilizzati per acquisire informazioni dettagliate sui movimenti e sui campi di addestramento del gruppo estremista, che ancora costituisce una latente minaccia per l’Africa intera.

Il rilancio di al-Shabaab e la formazione di Jahba East Africa
Un altro gruppo che costituisce un serio rischio per la stabilità della regione è Harakat al Shabaab al Mujaahidiin, di base in Somalia e meglio noto come al Shabaab (in lingua somala: la gioventù).
A differenza di Boko Haram, al-Shabaab sembra attraversare una fase di rilancio dopo una lunga stagione di insuccessi e sconfitte da parte dell’AMISOM, la missione dell’Unione africana in Somalia. Quest’ultima, dopo aver inflitto duri colpi alle milizie jihadiste, sta dimostrando di non avere più la forza per fermarne definitivamente l’attività terroristica.
Nei primi giorni di febbraio, gli estremisti somali hanno riconquistato la roccaforte costiera di Merca, con il suo strategico porto; a marzo hanno raggiunto, per la prima volta, la parte settentrionale della costa somala, finora relativamente stabile, assumendo il controllo di Garad, regione del Puntland, nord del Paese.
Gli estremisti somali controllano ancora gran parte delle aree periferiche nel sud e nel centro della Somalia, mantenendo inalterata la capacità di portare a termine attacchi letali su larga scala per alimentare il clima di tensione in vista delle elezioni presidenziali previste per il prossimo agosto.
Nell’ultimo anno, i ribelli islamici hanno colpito tre basi militari dell’AMISOM: il compound di Lego, 100 chilometri a nord-ovest di Mogadiscio, nel quale, il 26 giugno 2015, hanno perso la vita più di trenta militari burundesi; la base di Janale, regione del Basso Scebeli, 80 chilometri da Mogadiscio, dove lo scorso primo settembre sono rimasti uccisi cinquanta caschi verdi; la base di El Ade, nei pressi della città di Ceel Cado, sud-ovest della Somalia, 550 chilometri da Mogadiscio, dove lo scorso 15 gennaio hanno perso la vita almeno cento militari keniani.
Negli ultimi mesi, gli estremisti somali sono tornati a colpire anche obiettivi civili, come dimostra l’attentato di fine febbraio all’hotel Somali Youth League, nel centro di Mogadiscio: qui sono state assassinate venti persone. Un altro sanguinoso attacco è stato sferrato a Baidoa, la seconda città della Somalia, 260 chilometri a nord-ovest di Mogadiscio, dove sono rimaste uccise trenta persone.
Il giorno seguente la carneficina di Baidoa, l’Heritage Institute for Policy Studies di Mogadiscio ha pubblicato un report sulla situazione politico-militare in Somalia. In esso si afferma che l’AMISOM da sola non può sconfiggere i ribelli islamici e non sarà in grado di raggiungere i suoi obiettivi fino a quando le forze somale non aumenteranno la loro efficienza nella lotta al gruppo jihadista.
Secondo i due esperti autori dello studio, è molto improbabile che a breve termine esercito e polizia somali siano in grado di operare in modo inclusivo.
Alcuni analisti sostengono che il movimento jihadista somalo starebbe cercando di mostrare, nel modo più letale, tutta la sua rilevanza nel Corno d’Africa per contrastare il tentativo di fare proseliti al suo interno operato di recente dallo Stato Islamico. Nell’ottobre scorso, l’IS è riuscito a far passare tra le sue fila una piccola fazione di combattenti guidata da Abdul Qadir Mumin, uno dei leader spirituali di al Shabaab.
Nell’aprile scorso, inoltre, una nuova sigla si è aggiunta al panorama jihadista dell’Africa orientale: Jahba East Africa. Questa ha prontamente giurato fedeltà allo Stato Islamico e ha sfidato apertamente al-Shabaab, accusandola di non servire l’Islam secondo le leggi di Allah.

Le ramificazioni di al Qaeda nel Maghreb islamico
La regione del Sahel è una fascia di territorio dell’Africa sub-sahariana che si estende da costa a costa tra l’oceano Atlantico e il Mar Rosso. Nel corso degli ultimi anni, quest’area è diventata un territorio ospitale per molti gruppi armati del franchising qaedista.
Tra di essi, il più radicato è al Qaeda nel Maghreb islamico (AQIM). Sembrava aver perso posizioni e prestigio nel jihad locale, ma di recente si è riaffermato instaurando nuove alleanze con le sue ramificazioni, le quali, nei mesi scorsi, hanno seminato morte e terrore in questa parte dell’Africa.
In ordine di tempo, il primo degli attacchi è stato sferrato a novembre a Bamako, capitale del Mali: i miliziani jihadisti hanno attaccato l’hotel ‘Radisson Blu’ uccidendo 22 civili e prendendone 170 in ostaggio, prima di essere uccisi in un raid condotto dalle forze speciali maliane.
Nel mese di gennaio è stata la volta di Ouagadougou, capitale del Burkina Faso: i fanatici islamisti hanno preso d’assalto il bar-ristorante ‘Le Cappuccino’ e gli hotel ‘Splendid’ e ‘Yibi’. Negli attacchi hanno perso la vita 29 persone di 18 diverse nazionalità.
A metà marzo, i filo-qaedisti hanno colpito Grand Bassam, 25 miglia a est di Abidjan, la capitale economica della Costa D’Avorio. Qui sono caduti tre agenti delle forze speciali ivoriane e 15 civili.
Il primo dei tre attacchi, quello di novembre a Bamako, è stato rivendicato da al Mourabitoun e ha segnato l’integrazione ufficiale del gruppo in AQIM. Il 4 dicembre, quest’ultima ne ha confermato la fusione nei suoi ranghi tramite un messaggio audio del leader Abdelmalek Droukdel.
Successivamente, AQIM ha rivendicato anche gli altri due attentati, attribuendone la responsabilità a Katiba al Morabitoun e ai mujaheddin dell’Emirato del Sahara.
I due gruppi sono guidati, rispettivamente, dal super ricercato terrorista algerino Mokhtar Belmokhtar, che ha fondato al Mourabitoun nell’agosto del 2014, e da Yahya Abu Hamman, anch’egli algerino e ritenuto, dall’intelligence americana, una figura di spicco tra le formazioni jihadiste operative nell’area.
Secondo gli osservatori, tutte queste sigle rappresentano una diretta emanazione delle organizzazioni islamiste che hanno operato nella guerra nel nord del Mali, sebbene adesso non puntino più al controllo di grandi territori e agglomerati urbani, ma ad azioni circoscritte altamente destabilizzanti operate da piccoli commando di kamikaze.
La nuova strategia del terrorismo islamista in Africa saheliana e nord-occidentale è foriera di altri segnali, primo tra i quali che gli Occidentali costituiscono il bersaglio privilegiato dei qaedisti africani. Con i loro attacchi ravvicinati, inoltre, i nuovi gruppi jihadisti marcano il territorio, dimostrando di essere in aperta competizione con lo Stato Islamico.

Marco Cochi, giornalista freelance e docente presso la Link Campus University

 

 

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