La medicina nell’emergenza

Massimiliano Fanni Canelles

86622_ebola-oms-contrapapelPer ogni malattia ci dovrebbe essere un medico, un ricercatore, un’équipe pronta a cercare una cura. Dovrebbe andare così per ogni epidemia, ogni morte, ogni emergenza, in qualsiasi parte del mondo.
Le emergenze sanitarie, invece, ci preoccupano solo quando bussano alla nostra porta. È stato così con il recente virus Zika, con l’Ebola e, prima ancora, con l’influenza aviaria e la SARS, solo per citare alcuni esempi di cattura dell’attenzione mediatica. Eppure, si tratta di patologie che hanno causato decine di migliaia di morti e che, soprattutto nel caso dell’Ebola, hanno messo in ginocchio interi Paesi, colpendo in maniera trasversale la popolazione e logorando il tessuto sociale. Tutto ciò è accaduto di fronte ai nostri occhi, ma lontano dalle nostre case (in realtà, neanche troppo). Una distanza comunque sufficiente perché l’epidemia non ci preoccupasse.

Adesso tutto sembra passato (attenzione, però, a definire l’Ebola una malattia debellata). L’attenzione viene rivolta altrove, le priorità cambiano, i riflettori si spostano. Le persone continuano a soffrire mentre un manipolo di coraggiosi si impegna nella ricerca di una cura e nell’assistenza di chi è malato e, magari, non dispone neppure di un ospedale facilmente raggiungibile. Un caso emblematico è rappresentato dal Congo. @uxilia ha scelto di costruire qui un ospedale pediatrico, dedicato a Mirko Mori, per permettere a decine di bambini di accedere alle cure. Vi sono, poi, i volontari del Cuamm: in Mozambico hanno sviluppato dei progetti che coinvolgono direttamente i giovani quali motori del cambiamento, soprattutto in tema di AIDS. Anche Alice for Children ha deciso di non starsene con le mani in mano di fronte alla discarica di Dandora: il mare di rifiuti logora le vite dei bambini che non hanno alternativa a lavorarvici. La scuola edificata dalla Ong italiana non assume solo una valenza educativa e sociale, ma esercita un forte impatto sanitario sul miglioramento della vita delle persone.

Vi è anche chi non smette mai di investire nella ricerca e non si rassegna a considerare le malattie come mostri che ci assalgono a tradimento e da cui non c’è scampo. Mi riferisco a World Extreme Medicine, un progetto internazionale varato nel 2000 che si pone l’obiettivo di formare il personale medico e paramedico. Gli operatori vengono istruiti per agire al meglio nelle situazioni di difficoltà, causate dall’imprevedibilità dell’emergenza o dalla complessità del sito in cui operano.

I corsi di formazione di World Extreme Medicine permettono anche agli altri membri delle missioni umanitarie di acquisire una metodologia d’azione efficace nel fornire supporto sanitario in situazioni difficili e ben lontane dalla realtà alla quale siamo abituati. Il WEM propone anche corsi ed esercitazioni riservati agli operatori umanitari: in questo caso, l’obiettivo è quello di assicurare le abilità pratiche e le conoscenze necessarie richieste da una spedizione in aree remote. In novembre ricercatori, formatori, medici ed operatori sanitari parteciperanno ad una conferenza di quattro giorni ad Edimburgo. Condivideranno il lavoro svolto, le best practices e le principali sfide. Si tratta di un ambito in costante mutamento ed i volontari sono sottoposti a continue forme di stress.

Il motto che guida l’azione di World Extreme Medicine è “Where man goes, medicine must follow”. Di fatto, riassume un approccio condivisibile. Tuttavia, il primo step per seguire l’uomo ovunque vada è maturare la consapevolezza di ciò che accade, dei bisogni concreti, delle priorità. Tutto ciò spogliandoci del punto di vista eurocentrico ed aprendoci al mondo. Anche nel settore sanitario gli elementi necessari a superare le emergenze possono affiorare dall’ascolto, dalla conoscenza, dallo scambio reciproco.

Massimiliano Fanni Canelles

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