Ankara ed Istanbul come Parigi e Bruxelles sono sotto attacco: l’Europa é alla ricerca dell’unità politica e popolare
di Massimiliano Fanni Canelles
Oggi dopo l’arresto di Salah Abdeslam, il principale ricercato per gli attentati di Parigi del 13 novembre, e dopo gli attentati alla capitale europea Bruxelles è evidente come l’Isis – in difficoltà in Siria per gli attacchi su Raqqa e Mosul e sulle altre sue roccaforti – ora voglia riscattarsi dimostrando la capacità di attaccare a sua volta il centro dell’Europa. Le cellule jihadiste entrate in azione nei recenti attentati contano di molte persone legate da rapporti di amicizia risalenti all’infanzia e garantiti dall’omertà della comunità islamica. “Aldilà del radicalismo, ci sono vecchi amici e solidarietà” che hanno protetto Salah Abdeslam. Esiste “un’affinità tra persone che proporzioni che immaginiamo difficilmente”, ha detto Philippe Moureaux, ministro degli interni belga “Abbiamo 244 inchieste o procedure aperte che riguardano 772 individui”, ha ricordato il procuratore francese Molins.
Da Molenbeek – quartiere multietnico di Bruxelles, cuore del Belgio e anima dell’Europa – sono partiti gli autori degli attentati del 13 novembre a Parigi che sono costati la vita a 130 persone nella capitale francese. E a Molenbeek per quattro mesi si è rifugiato Salah, per alcuni mente degli attentati, per altri esecutore mancato, di certo il presunto terrorista più ricercato dell’intero vecchio continente negli ultimi quattro mesi. Era nascosto in un alloggio del Comune e protetto dagli abitanti del quartiere, che infine hanno inveito contro le forze dell’ordine al momento della cattura. Siamo in Europa, nel cuore dell’Europa, a due passi dagli uffici delle più importanti istituzioni dell’Unione europea. Il terrore non è lontano da noi, si è insinuato così vicino da portarci a sospettare anche del nostro vicino di casa, di chiunque possa apparire anche superficialmente, ma inesorabilmente diverso.
Sarebbe facile cedere alla paura, ma così non ci resterebbe che cadere nella trappola e fare il gioco di chi ci vuole larve paralizzate. Dobbiamo, piuttosto, sviluppare e realizzare confini veramente europei. Dei confini che possiamo difendere con una forza di polizia europea, supportata da un sistema di intelligence continentale capace di mettere in comune forze ed servizi segreti per stanare i terrorismi e smantellare i progetti di stragi di innocenti. Non possiamo far finta che non ci sia il problema dell’estremismo islamico anche in Europa in alcune associazioni islamiche e in alcune moschee, ma è bene unire le forze per dimostrare che questi, che talvolta sono parte della classe media europea nonostante alcune esperienze di microcriminalità, stanno infangando l’Islam, una religione che dice tutto altro. Si tratta gruppi organizzati che nulla hanno di religioso, ma hanno scopi e obiettivi politici e violenti. Solo conoscendo e svelando debolezze e strategie del terrore potremo vincere la paura.
Siamo in Europa e siamo tutti europei. L’attentato all’aeroporto di Bruxelles e alle metropolitane di Maelbeek e Schuman – a due passi dalla Commissione Europea – è un attacco a noi europei in quanto tali e alla capitale della nostra Unione. Qualunque risposta daremo dovremmo darla uniti, non divisi. Uniti dovremmo difendere i nostri confini. Uniti dovremmo coordinare le operazioni di intelligence. Uniti dobbiamo dare una risposta alle migrazioni e all’inclusione dei profughi e dei migranti. Uniti dovremmo decidere che fare e cosa fare in Siria e in Libia, dove lo Stato Islamico sta costruendo i propri avamposti, alle nostre porte.
L’Europa spuria di oggi è un fardello impossibile di cui farci carico. E l’Europa unita – politica estera e attitudine alla cooperazione comprese – è la cosa migliore che possiamo fare per rispondere a chi odia la democrazia che abbiamo costruito in migliaia di anni di guerre e sofferenze. Se non lo capiamo oggi, non lo capiremo mai.
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