#fiocchettolilla: V Giornata nazionale dedicata alla lotta contro i disturbi del comportamento alimentare (DCA)

I DCA rappresentano l’epifenomeno di una lotta personale il cui dolore pesa nell’anima e sul fisico delle persone: parole, esperienze, trascorsi di vita non digeriti che in questi casi vengono somatizzati attraverso le forme del corpo.

di Ilaria Maria Di Battista

#fiocchettolilla lotta ai DCA

#fiocchettolilla

Il 15 marzo scorso, si è celebrata la V Giornata nazionale del #fiocchettolilla dedicata alla lotta contro i disturbi del comportamento alimentare (DCA). Si tratta di anoressia, bulimia, e del disturbo dell’alimentazione incontrollata, spesso causa dell’obesità. Complessivamente, dalla stima del Ministero della Salute risulta che oggi in Italia questi disturbi colpiscano oltre 3 milioni di persone. Sebbene la percentuale femminile continui a superare quella maschile, i dati più recenti dimostrano, da un lato, l’incremento percentuale di individui di sesso maschile che ne sono colpiti, dall’altro, l’abbassamento della soglia di età in cui compaiono i primi sintomi.

V giornata nazionale fiocchetto lilla

Giornata Nazionale Fiocchetto Lilla

Molteplici sono state in tutto il Paese le iniziative di sensibilizzazione e promozione di sani stili di vita alimentare a garanzia della salute personale: stato di benessere fisico, psichico e sociale, e non solo semplicemente assenza di malattia. In questa occasione sono stati evidenziati i 43 centri regionali che offrono cura e supporto ai pazienti attraverso un’assistenza ospedaliera che può prevedere, a seconda dei casi, un ricovero, un Day Hospital, o percorsi ambulatoriali differenti. In particolare, nella città metropolitana di Bologna, il Quartiere Santo Stefano ha organizzato, presso la sala Biagi, un incontro a cui hanno preso parte vari esperti del settore, i quali sono intervenuti condividendo alcune analisi e prospettive relative al proprio ambito di competenza sul disturbo.

 

È infatti risaputo che il percorso di cura dei DCA preveda l’intervento di una équipe multidisciplinare. Il suo compito risiede nel cercare di comprendere le origini del disturbo connesso all’immagine corporea. Questa, in realtà, rappresenta la sola forma espressiva-comunicativa di quel disagio interiore e relazionale che è invece la vera radice del pensiero ossessivo-compulsivo sul cibo. Se volessimo applicare ai DCA i concetti fondamentali del linguista de Saussure potremmo considerare il cibo unicamente un significante, capace di celare il vero significato, nonché il senso che in-forma il corpo dei pazienti. Parere comune a tutti gli esperti è il fatto che, alla base di qualsiasi forma di disturbo alimentare, esista il pensiero totalizzante sul cibo: realtà onnipresente ed opprimente, tanto da giungere a condizionare o compromettere la vita quotidiana di chi ne soffre.
Le prospettive prese in esame dagli interventi dei singoli esperti hanno spaziato dall’ambito socio-antropologico – affrontato dalla sociologa Annalisa Ferrari – all’aspetto psicoterapico – di cui hanno parlato la psichiatra Emilia Manzato e la psicoterapeuta Romana Schumann – fino a concludere con l’aspetto nutrizionale, analizzato dai due medici nutrizionisti presenti al tavolo della conferenza: la Dott.ssa Ballardini e il Professor Melchionda.

#fiocchettolilla_15marzo2016_Bologna

In questa occasione è stato interessante comprendere il valore del cibo, il cui senso di medium relazionale è tanto personale quanto frutto di legami socio-culturali, nonché affettivi e identitari con cui l’individuo si differenzia e/o si accomuna a diverse comunità di appartenenza. Il cibo in questa accezione può acquisire molteplici significati che vanno dalla cura o accudimento del sé, al godimento o appagamento del gusto, fino al rifiuto, alla privazione, al sacrificio e alla morte.
Da elemento di socializzazione, il cibo si può trasformare dunque in causa di isolamento, di segregazione, di stigmatizzazione o segregazione dal gruppo. L’insorgere dei sintomi, di cui il disturbo è unicamente la cima dell’iceberg, segna però una cesura nel percorso identitario di ciascun paziente. La sofferenza modifica, trasforma, rende consapevoli: tanto delle proprie incapacità di controllo (è questo il caso del disturbo dell’alimentazione incontrollata o binge eating), quanto del proprio ipercontrollo patologico. Quest’ultimo è frutto di un’incredibile forza di volontà distruttiva che, a prima vista, può sembrare irrazionale, ma che trova la propria ragion d’essere nel far emergere un vero e proprio mondo sommerso di emotività e sofferenza che i pazienti, generalmente, mostrano di essere riusciti a nascondere a lungo prima che si accendesse la spia. Spesso i due aspetti (disinibizione e ipercontrollo) non sono altro che due facce della stessa medaglia. Come spiega la Dott.ssa Ballardini: “sono infatti frequenti i casi in cui anoressia e bulimia o binge eating si susseguono vicendevolmente”. Così facendo questi disturbi esprimono l’assestamento di quel “pendolo biologico” il cui equilibrio apparirà tanto più difficile da raggiungere quanto più ci si focalizzerà unicamente sull’aspetto estetico correlato all’alimentazione.

Come già anticipato, infatti, le origini di tali disturbi sono sociali, culturali, famigliari, affettivi… ed è questo il motivo per cui in diversi casi il percorso psicoterapico individuale viene affiancato a quello di gruppo (coppia e/o famigliare). Nonostante tutto, però, è fondamentale che il paziente acquisisca piena consapevolezza che la vera guarigione risiede in sé stessi e che il disturbo rappresenta uno strumento, nonché un’opportunità concessa dalla vita, con cui crescere avendo il coraggio e la forza di analizzarsi ed accettarsi con pregi e difetti, tipici della limitatezza umana.
Dopotutto è necessario ammettere che è alquanto infantile, senonché utopico, auspicare una guarigione che abbia origine dal cambiamento altrui, così come lo è avere la pretesa di essere onnipotenti a tal punto da riuscire a controllare tanto se stessi, quanto la realtà che ci circonda.
In un punto convergono i pareri dei vari stakeholders che si sono seduti e confrontati alla tavola rotonda conclusiva dell’evento: non esistono regole, né pozioni magiche-mediche, né ricette per una più celere guarigione. La storia e la strada per il cambiamento appartiene a ciascun individuo, perché, come esprime chiaramente Marc Wittmann già dal titolo di un suo recente libro: “Il tempo siamo noi”.

Dunque, a parenti o famigliari che condividono con i propri cari questo periodo di “sospensione” è possibile rivolgere un solo consiglio: “non tentate di accelerare la guarigione; ogni malattia ha i suoi tempi di incubazione e di guarigione”. Ciò appare ancor più vero quando a dover essere curata è l’affettività, l’emotività, l’intero mondo interiore di una persona. Questa dovrà infatti tornare a vivere, lottare, soffrire senza volersi più nascondere dal mondo, quanto piuttosto accettando la sfida ed il dono della vita, colta ed affrontata restituendo al mondo la bellezza e la luce apprezzabile veramente e unicamente uscendo da un tunnel senza luce.

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