Informazione, consenso e sostegno ai Kurdi

Dal 1999, UIKI Onlus si impegna direttamente per raccontare la storia e il presente di un popolo storicamente represso.

UIKI Onlus

ImmagineNel novero delle organizzazioni del movimento kurdo, l’Ufficio d’Informazione del Kurdistan in Italia (UIKI) fu fondato nel maggio del 1999: è il più recente in Europa. L’apertura, in forma di Onlus, nacque dalla necessità di fornire informazioni e ricevere consenso e sostegno, da parte dell’opinione pubblica italiana, verso il movimento kurdo, la questione kurda, il Kurdistan.
Il 12 novembre 1998 Abdullah Ocalan, leader del PKK, giunse in Italia chiedendo asilo politico. Dopo alcuni mesi, la vicenda ebbe un epilogo tragico, conseguenza di una congiura internazionale contro la lotta di liberazione nazionale curda. Fu la risposta della Repubblica Turca al cessate il fuoco, proclamato dal PKK e reso esecutivo il 1° settembre di quell’anno, giornata mondiale per la pace. L’arrivo di Ocalan in Italia aveva suscitato grandi speranze.
Dopo 15 anni di sanguinosi scontri sulle montagne tra guerriglia e militari, atroci torture e morti nelle carceri, violente evacuazioni di migliaia di villaggi (dei quali l’Europa e il mondo non si accorgevano), la questione kurda, insoluta da secoli, finalmente campeggiava sulle prime pagine dei quotidiani e in primo piano nei telegiornali. Si ponevano le basi per iniziare ad affrontarla non più all’insegna del nazionalismo sciovinista, ma in base a criteri di convivenza pacifica. Da anni la leadership kurda cercava di aprire spiragli al dialogo, anche con tregue unilaterali. Cercava, altresì, interlocutori nel mondo politico occidentale. L’arrivo del leader curdo Abdullah Ocalan in Italia non faceva altro che portare ‘alla ribalta’ quanto stava già da tempo maturando.
La diplomazia italiana si piegò sotto il peso di pressioni statunitensi e interessi economici in Turchia (esportazione di armi, in larga parte). L’Europa svolse il ruolo di amplificatore degli interessi statunitensi in Medio Oriente, confermando, in sostanza, alla Turchia un ruolo di unica potenza regionale legittimata a decidere delle sorti dei Kurdi.
Ocalan fu consegnato alla Turchia da quell’Europa in cui aveva cercato rifugio e nella quale aveva riposto fiducia per un ruolo di mediazione, al fine di una pace giusta e dignitosa per il suo popolo.
Il 15 febbraio 1999 venne rapito e poi imprigionato nell’isola carcere di Imrali, allestita per essere il luogo di un durissimo regime di isolamento, che dura tuttora. In aperto spregio di ogni norma internazionale di tutela dei diritti umani, venne allontanato da un Paese nel quale avrebbe dovuto trovare asilo, come dimostra la sentenza del Tribunale di Roma del 1° ottobre 1999: essa gli concedeva tardivamente il diritto d’asilo in base all’art.10, comma 3, della Costituzione.
Migliaia di uomini, donne e bambini kurdi, giunti da tutta Italia e dal Nord-Europa, manifestarono giorno e notte a Piazza Celimontana, poi ribattezzata “piazza Kurdistan”, davanti al policlinico militare romano del Celio, per chiedere libertà e asilo per il loro leader. Sin dal primo giorno, decine di compagni/e italiani/e fornirono appoggio ai manifestanti.
A chi si trovava a piazza Kurdistan a sostenere i Kurdi in sciopero della fame, Ocalan scrisse un messaggio: “Cari compagni, complimenti per la ‘sacra’ solidarietà dimostrata verso la storica manifestazione a Roma del popolo kurdo e del suo Presidente. Credo che questa forte solidarietà internazionale aumenterà e svolgerà un ruolo storico, come ponte fra la sacra Roma e la sacra area geografica mediorientale, il Kurdistan. Per questo sono venuto qui. Il mio desiderio più grande è uscirne con successo. Speriamo di rivederci. Salute e affetto. Abdullah Ocalan”.
L’uomo che appese la targa che ribattezzava la piazza era stato battistrada e animatore: Dino Frisullo, segretario dell’associazione “Senzaconfine” e portavoce della rete antirazzista, nel marzo del 1998 si era recato in Turchia insieme a delegazioni di vari Paesi europei per partecipare ai festeggiamenti del Newroz, il capodanno kurdo, da sempre oggetto di divieti e repressione da parte dello Stato. Il 21 marzo la delegazione italiana si trovava a Diyarbakir. La festa fu funestata da un attacco della polizia. Vi furono molti feriti tra i manifestanti, donne e bambini compresi. Tre cittadini italiani furono fermati e trattenuti in una caserma. Poi, due furono rilasciati. Frisullo, invece, fu tradotto nel carcere di massima sicurezza e posto in isolamento, accusato d’aver violato l’articolo 312 c.p. (propaganda contro l’integrità dello Stato turco). Era considerato pericoloso per la sua attività di denuncia condotta in Italia. L’anno precedente aveva preso parte al “treno della pace”, un’iniziativa che aveva condotto in Kurdistan una folta delegazione di pacifisti da tutta l’Europa, insieme a diplomatici di vari Paesi, trattenuti e poi espulsi dalla polizia turca. In quell’occasione, a Frisullo fu imputata la resistenza all’arresto.
Dal carcere, Dino scrisse: “Comunque vada, siamo stati utili.
Eravamo insieme in piazza e veniamo ora a sapere che saranno processati con noi 26 Kurdi. Dalla solidarietà alla partecipazione e alla condivisione, c’è un doppio salto. Lo abbiamo fatto”.
L’arresto e il processo a carico di Dino a Diyarbakir, con la risonanza avvertita dall’opinione pubblica italiana e le reazioni di solidarietà suscitate, rappresentarono il primo importante spiraglio apertosi nel muro di silenzio e disinformazione sulla questione kurda fino ad allora imperante in Italia.
La decisione di non liberare Dino, da parte turca, rappresentava una gravissima volontà di colpire la mobilitazione solidale internazionale. Dino continuò, fino alla sua morte prematura, avvenuta nel 2003, una tenace ed instancabile azione promotrice, organizzativa e di testimonianza (in particolare con i suoi scritti: giornalista, saggista e anche poeta!).
Dopo il rapimento di Ocalan, i Kurdi avviarono aspre manifestazioni di protesta nel mondo intero. La tensione divenne altissima e solo l’appello dello stesso Ocalan riuscì a sedare gli animi evitando il peggio.
Il 20 febbraio 1999, a Roma vi fu una manifestazione in segno di solidarietà con Ocalan ed il popolo kurdo. I partecipanti scelsero di colpire gli uffici della compagnia aerea turca per protestare contro il regime turco e il Governo italiano, corresponsabile della consegna di Apo alle autorità di Ankara. L’operazione “girasole”, scattata dieci giorni dopo l’assalto alla compagnia, portò all’arresto di sei compagni romani e ad un numero imprecisato di perquisizioni.
L’epilogo deludente non cancellò, però, il clima di entusiasmo ed il significato positivo di quei giorni: in tutta Europa, e soprattutto in Italia, proprio a partire da allora consistenti aree dell’associazionismo “si sono accorte” del popolo kurdo ed hanno trasformato tale “scoperta” in impegno attivo di collaborazione.
Questo si è poi concretizzato in una fitta rete di iniziative sui più svariati terreni. Una crescita continua di esperienze proseguita ininterrottamente per anni, tuttora in corso. Ne sono scaturite tante delegazioni che hanno raggiunto il Kurdistan, tanti progetti di cooperazione economica e sociale a fini di sviluppo, tante iniziative di cultura ed informazione, numerose azioni politiche di solidarietà. La costellazione di esperienze e di associazioni in cui ha preso forma questo flusso partecipativo e collaborativo continuo è oggi sintetizzata nella “Rete italiana di Solidarietà con il popolo kurdo” (ReteKurdistan), che riunisce diverse associazioni, gruppi informali e anche singoli individui di numerose città italiane. Vi sono anche centri culturali kurdi (a Roma, Torino).
Le giornate di “piazza Kurdistan” del 1998 accesero una scintilla. Le questioni portate alla ribalta in quei giorni hanno visto un grande percorso di crescita politica e di mobilitazione di popolo, ma sono ancora irrisolte.
L’intensificazione della ricerca teoretica da parte di Abdullah Öcalan, dalla metà degli anni ‘90, portò ad un cambiamento paradigmatico nel 2003: non si richiedeva più uno Stato-Nazione indipendente, con gestione centralizzata e confini, inadatto a
costituire una soluzione a problemi concernenti la libertà. Si proponeva un modello di Nazione democratica, con  un’amministrazione del popolo a partire dal basso. Il modello è oggi noto come Confederalismo Democratico e si basa sull’autonomia, una proposta di soluzione che può adattarsi a tutte le questioni nazionali, religiose, identitarie e che pone come condizione previa e fondamentale la liberazione delle donne. Negli ultimi tre anni i Kurdi hanno cercato di attuare questa linea nel Rojava (Kurdistan occidentale, in territorio siriano). Anche questo ha reso i Kurdi “un’invincibile avanguardia” contro gli attacchi dell’ISIS. Se si guarda con attenzione, si può notare come l’unica zona che abbia apportato delle soluzioni al profondo stallo interno alla Siria sia il Rojava.
La storica resistenza di Kobane, insieme alle manifestazioni di protesta dei Kurdi in tutta l’Europa e nel Kurdistan settentrionale (in Turchia), hanno di nuovo squarciato il silenzio calato sulla questione kurda. Una grande mobilitazione internazionale ha avuto luogo il 1° novembre 2014, quando l’assalto dell’ISIS ha toccato apici cruenti. A Roma sono affluite, per manifestare “per Kobanê”, migliaia di persone da tutta l’Italia. In Italia, UIKI e ReteKurdistan hanno risposto a chi, risvegliato dal grido proveniente da Kobane assediata, chiedeva come sostenerne la resistenza, coordinando partenze di staffette verso il confine turco-siriano. Non sono mancate iniziative di controinformazione.
La società civile ha intuito che la proposta del movimento kurdo rappresenta l’unica alternativa all’oppressione patriarcale e capitalista. Veder realizzato in concreto, nel Rojava, il modello del Confederalismo Democratico ha infuso nuova speranza in chi si opponeva da sempre al sistema, ma faticava a proporre un’alternativa che coinvolgesse tutti.
Ora i Kurdi desiderano mettere in atto questa stessa forza positiva e creativa per trovare una soluzione nel Kurdistan settentrionale.
È della massima importanza resistere e fare in modo che idee geniali e lotta eroica del popolo kurdo, finalizzate a sviluppare la Democrazia, non siano schiacciate dagli attuali attacchi dello Stato turco. Il popolo kurdo vanta una coscienza sviluppata e una volontà organizzata. Soprattutto le donne e i giovani hanno dimostrato d’essere pronti a guidare la resistenza di un popolo democratico.
Questa volontà deve essere sostenuta, a Silopi e in ogni altra città del Kurdistan settentrionale, proprio come è avvenuto a Kobanê. I Kurdi si aspettano il sostegno del mondo democratico e dell’umanità democratica. Quel che i Kurdi desiderano è un’amministrazione eletta dal basso, un prerequisito per lo sviluppo della Democrazia. La posizione assunta in ordine alla rivoluzione di autonomia democratica nel Kurdistan settentrionale rappresenta, pertanto, una cartina di tornasole per identificare i veri democratici.
Far emerge il colore giusto significherà vittoria per l’intera umanità democratica. Ancora una volta, i Kurdi resistono, non solo per se stessi, ma per l’intera umanità, per affermare principi e valori democratici. Sarà responsabilità di chiunque sostenga la Democrazia appoggiare e difendere tale resistenza.
Il Kurdistan si ripropone come avanguardia del movimento internazionale per un “mondo diverso”: una Resistenza che sa essere nel contempo impregnata di un’identità radicata in proprie antichissime tradizioni culturali, nonché aperta alla modernità e all’ampio dialogo inter-culturale e sa proporre al mondo intero un modello di autodeterminazione democratica e partecipazione sociale dal basso sensibili alle esigenze più avanzate dell’epoca contemporanea.
L’attacco statale turco contro un intero popolo, reso aspro con arresti, processi di massa ed intensificazione di operazioni militari, manifesta la più totale sordità verso la proposta kurda di un dialogo di pace. Ciò ci induce a riproporre quel medesimo clima di mobilitazione democratica, ma anche quel tessuto di solidarietà attiva – composto da mille iniziative di cooperazione ed interscambio – che qualche anno fa consentì di costruire un ponte tra il popolo italiano ed il popolo kurdo.

di UIKI Onlus,

Ufficio d’Informazione del Kurdistan in Italia

Rispondi