L’ambrosia, elisir di lunga vita

L’etimologia del termine ambrosia è complessa, ma di sicuro ha a che fare con il divino

Anna Barbariol, con la collaborazione di Matteo Gialleonardo (1B)

Ambrosia è un termine traslitterato dal greco ed è comunemente definito “cibo degli dei”.

Il termine presenta un’etimologia piuttosto controversa, ma in questa sede privilegiamo quella che la collega al termine brotòs, mortale, preceduto dalla lettera alfa, spesso usata per negare il concetto che segue. In questo caso, fornirebbe la spiegazione più logica alla funzione di un alimento per non-mortali o che, come vedremo, conferisce l’immortalità (*m(b)rotos rad. *mrot, cfr. latino mors, mortis).

Certo è che il termine ha a che fare con il divino: lo troviamo, infatti, utilizzato anche per definire le festività in onore di Dioniso, fatto, forse, da ricondursi ad una leggenda che voleva far nascere l’ambrosia da una ninfa dallo stesso nome, trasformata in vite dopo essere stata violentata da Licurgo.

L’ambrosia è strettamente legata al nettare, tanto che, spesso, i termini vengono confusi o usati in maniera equivalente.

Già nei poemi omerici, però, il nettare risulta essere una bevanda, mentre l’ambrosia una sorta di cibo (nell’Odissea assume anche il compito di detergere le impurità, medicare ferite e preservare i cadaveri).

Diversa visione ne hanno, invece, i lirici: per Alcmane è il nettare ad essere cibo, per Saffo e Anassandride l’ambrosia è una bevanda.

Nella commedia “I cavalieri” di Aristofane, ci si riferisce all’ambrosia addirittura come ad una zuppa.

Secondo alcuni studiosi, l’ambrosia e il nettare identificavano, però, dei tipi di miele. In questo caso, il loro potere di conferire l’immortalità sarebbe da collegare al supposto potere curativo del miele e anche dell’idromele. Quest’ultimo era miele fermentato e precedette il vino come enteogeno, sostanza psicoattiva usata in un contesto religioso-sciamanico, nell’Egeo.

Ma particolari congruenze si riscontrano, a questo proposito, anche in altre aree geografiche.

Nella mitologia norrena, l’idromele è la bevanda degli dei, consumata, però, anche dai re.

Su alcune statue del dio egizio Anubi si legge “Io sono morte, mangio ambrosia e bevo sangue”, lasciando, dunque, intendere che l’ambrosia sia un cibo.

Di ambrosia, quindi, si nutrivano solo le divinità: una delle empietà attribuite a Tantalo, che gli costarono una punizione esemplare, sembra essere proprio l’offerta ai suoi ospiti di ambrosia, un furto che ricorda molto quello di Prometeo.

Nettare e ambrosia possono essere usati come unguenti e profumi, soprattutto nelle ritualità funebri, quasi come se consentissero al corpo di raggiungere la vita eterna.

Alcuni miti raccontano che ambrosia e nettare vennero dati agli dei da rondini o colombe o da un’aquila, l’animale sacro a Zeus. Per questo motivo potrebbero essere interpretati come una sorta di esalazione della Terra.

Ambrosia e nettare furono il cibo con cui Zeus crebbe. Prima dell’avvento dell’ambrosia, gli dei si cibavano annusando il fumo delle pire dei loro nemici morti.

In epoca più tarda, il termine viene usato anche in contesti di cucina, medicina e botanica (cfr Ateneo, Paolo e Dioscoride). Plinio lo usa per classificare diverse piante.

Secondo lo studioso Arthur Woollgar Verrall, invece, l’aggettivo ambrosios non deve necessariamente significare immortale. A suo parere, risulta più appropriato il significato “fragrante” in quanto deriverebbe dal semitico *MBR (“ambra“). Si allude al fatto che, quando viene bruciata, produce una resina profumata alla quale le popolazioni d’Oriente attribuivano poteri miracolosi.

In Europa l’ambra color miele era un dono tombale già nel Neolitico e veniva indossata come talismano nel VII secolo a.C. dai sacerdoti di Frisia. Ma poteri particolari dovevano esserle attribuiti ancora in epoca cristiana, se Sant’Eligio dice: “Nessuna donna dovrebbe avere la presunzione di far ciondolare ambra al proprio collo”.

Dunque, il potere che risiede nell’ambrosia potrebbe essere assimilato a quello dell’elisir della lunga vita o a quello della pietra filosofale: oltre a donare immortalità ed eterna giovinezza, poteva anche creare la vita.

L’acqua della vita menzionata nel Nuovo Testamento corrisponde al termine greco μβροσία (Giovanni 4.14; Rev 21.6).

L’ambrosia si trovava, inoltre, nel giardino delle Esperidi, le ninfe che abitavano il giardino sacro. Questo non può non richiamare alla nostra mente il giardino dell’Eden, nel quale l’uomo non poteva mangiare i frutti dell’albero della vita (Genesi 3:22).

Anche nello Zoroastrismo troviamo un liquido consumato solo dagli dei: il Soma. Il deva Indra e il dio Agni hanno entrambi bevuto questo liquido (Rig Veda 8.48.3: a ápāma sómam amŕtā abhūmâganma jyótir ávidāma devân c kíṃ nūnám asmân kṛṇavad árātiḥ kím u dhūrtír amṛta mártyasya / abbiamo bevuto il Soma e siamo diventati immortali; abbiamo ottenuto la luce, abbiamo scoperto gli Dei. Adesso cosa potrebbe fare la malizia del nemico per ferirci? Quale, oh Immortale, l’inganno dell’uomo mortale?)

Thoth ed Ermete Trismegisto hanno entrambi bevuto “oro liquido”, ricevendo così l’immortalità (Nag Hammadi).

Dai testi sumeri veniamo a sapere che gli dei e i re bevevano il latte di Ninhursag, la dea della fertilità. Essa aveva le sembianze di una capra, mito che presenta indiscutibili somiglianze con la capra Amaltea, che nutrì, per l’appunto, Giove di ambrosia.

Dal poema di Gilgamesh apprendiamo di una pianta nei fondali dell’oceano che dona l’immortalità.

Nella religione hindu gli dei si nutrono di un latte, chiamato Amrita, che dona l’immortalità. E’ vietato agli uomini e circonda la Terra.

Nella religione cinese troviamo le “pesche dell’immortalità” come cibo degli immortali.

Nella mitologia giapponese, per raggiungere l’immortalità bisognerebbe mangiare una ningyo, una sirena.

Nel taoismo, l’elisir dell’immortalità è donato dallo huadan.

Per la religione cristiana l’immortalità può essere raggiunta attraverso il Sacro Graal.

A prescindere, dunque, dalle epoche e dall’area geografica, si può concludere che l’uomo è sempre andato alla ricerca dell’immortalità e che questa, fin dai tempi più antichi, è stata vista come non appartenente all’ambito dell’essere umano, che mangia e deve procacciarsi il cibo per esistere, ma a quello non-umano, che ci piace trovare sintetizzato nel termine “ambrosia”.

Angela Caporale

Giornalista pubblicista dal 2015, ha vissuto (e studiato) a Udine, Padova, Bologna e Parigi. Collabora con @uxilia e Socialnews dall’autunno 2011, è caporedattrice della rivista dal 2014. Giornalista, social media manager, addetta stampa freelance, si occupa prevalentemente di sociale e diritti umani. È caporedattore della rivista SocialNews in formato sia cartaceo che online, e Social media manager. 

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