di Dr. Eugenio Santoro
Laboratorio di Informatica Medica, Dipartimento di Epidemiologia, Istituto Ricerche Farmacologiche Mario Negri
Sono oltre un milione i follower e oltre 600.000 i fan che seguono, rispettivamente, il proprio profilo di Twitter e la propria pagina pubblica di Facebook per essere informati sulle nuove scoperte scientifiche
I social media e i social network stanno profondamente influenzando il modo di comunicare degli Italiani, soprattutto i più giovani. La comunicazione attraverso questi strumenti non poteva, quindi, non avere ripercussioni sul mondo della salute.
I social media come Facebook e Twitter, grazie alle loro potenzialità comunicative basate sui meccanismi della condivisione e del “mi piace”, sono impiegati da diversi anni da chi produce contenuti in ambito medico/salute. Precursori in quest’area sono state le società scientifiche e le riviste mediche professionali. Ora, anche ospedali, istituzioni sanitarie e associazioni di pazienti (in particolare, nei Paesi anglosassoni) si affidano ai social media per creare una relazione con i cittadini e offrire loro contenuti attraverso nuove modalità di fruizione.
Ad esempio, negli Stati Uniti, la Mayo Clinic (uno dei più importanti gruppi ospedalieri americani) da diversi anni usa tutte le piattaforme di social media disponibili (da Facebook a Twitter, da Pinterest ad Instagram passando per YouTube e Google Plus) per raggiungere centinaia di migliaia di cittadini americani, attivare programmi di promozione della salute e campagne di prevenzione ed informare in modo attivo e partecipativo i cittadini/pazienti.
Sono oltre un milione i follower e oltre 600.000 i fan che seguono, rispettivamente, il proprio profilo di Twitter e la propria pagina pubblica di Facebook per essere informati sulle nuove scoperte scientifiche, le raccomandazioni riguardanti le principali patologie, per raccontare le loro storie o ascoltare quelle di altri pazienti, o, semplicemente, per porre domande alle quali uno staff, adeguatamente preparato, risponde rispettando i tempi (rapidi) e le modalità (informali) dei social media.
Oggi, oltre 1.500 ospedali americani usano i social media (con una certa preferenza per Facebook, Twitter e Foursquare) per comunicare con il pubblico, con una media di 4 strumenti social ciascuno.
Negli Stati Uniti, anche le istituzioni sanitarie occupano un ruolo di primo piano nell’impiego di social media. Li usano per allertare la popolazione su situazioni di emergenza sanitaria o, semplicemente, per informarla sulle novità in ambito medico. Nel recente passato, per esempio, Twitter è stato usato per lanciare allarmi, segnalare emergenze ed aggiornare sullo stato della situazione in occasione di terremoti, inondazioni, tifoni. Addirittura, i Centers for Disease Control and Prevention di Atlanta (l’organizzazione americana preposta alla prevenzione ed al controllo delle malattie) stanno usando i social media fin dal 2009, introdotti nella strategia di comunicazione della nota organizzazione per comunicare le novità sul virus H1/N1 (alla base della cosiddetta “influenza suina”). Ancora oggi li usano per comunicare novità, segnalazioni e raccomandazioni relative al virus Ebola.
In Italia, la situazione è ancora piuttosto eterogenea. Da una recente indagine condotta dall’Università di Sassari, è emerso che un terzo delle aziende sanitarie locali italiane è presente sui social e che il canale maggiormente utilizzato è YouTube, seguito da Facebook.
Dall’analisi si evince un trend crescente di utilizzo dei social rispetto agli anni passati, ma che ancora si caratterizza per contenuti informativi unidirezionali e non di interazione con il cittadino. La situazione non cambia esaminando la presenza sui social delle istituzioni sanitarie. Da un lato, si registra una quasi totale assenza da parte del Ministero della Salute (è presente solo con un canale su YouTube); dall’altro, agenzie governative come AIFA (l’Agenzia Italiana del Farmaco, l’istituzione pubblica competente per l’attività regolatoria dei farmaci in Italia) registrano una forte attività “social”.
Eppure, l’uso dei social media potrebbe avere importati ripercussioni sulla promozione della salute e sulla prevenzione delle malattie. Esistono, infatti, studi che dimostrano come i social network reali (intesi come raggruppamenti di persone attorno ad uno specifico interesse) siano in grado di modificare i comportamenti dei membri che ne fanno parte. Le istituzioni e le organizzazioni sanitarie potrebbero, quindi, approfittare di questi strumenti per modificare il loro modo di comunicare, passando da un modello “one way”, nel quale si limitano a diffondere i contenuti che producono, ad un modello che favorisca il coinvolgimento e l’engagement del cittadino/paziente. Potrebbero usarli per modificare gli stili di vita delle persone, contribuendo, in questo modo, a prevenire malattie croniche come diabete, malattie respiratorie, malattie cardiovascolari, oppure per condurre la lotta al fumo, all’abuso di alcool, alle malattie sessualmente trasmesse, il cui target naturale è proprio il mondo dei giovani, che predilige questa nuova forma di comunicazione.
D’altra parte, iniziano a comparire studi scientifici che dimostrano l’efficacia dei social media e dei social network nel centrare questi obiettivi rispetto alle vie tradizionalmente impiegate per raggiungerli. Ad esempio, un recente studio ha dimostrato che l’uso di Facebook ha contribuito ad aumentare di circa 6 volte il numero di donazioni di organi; un altro ha dimostrato come l’impiego di una community costruita sempre su Facebook aumenti l’attività fisica di giovani pazienti sopravvissuti ad una malattia oncologica. Twitter non è da meno: uno studio ha dimostrato come una community costruita sul noto sistema di microblogging abbia aiutato i pazienti a perdere peso. E’, inoltre, dimostrato che la condivisione di storie attraverso i social network assume un peso sempre più importante nell’affrontare la malattia aiutando i pazienti a ridurre l’incidenza di stress e depressione, a tenere maggiormente sotto controllo la glicemia in pazienti con diabete di tipo 2 e ad aumentare l’aderenza a programmi di esercizio fisico.
Insomma, questi nuovi canali di comunicazione (ma sarebbe più corretto definirli “spazi di relazione sociale” nei quali gli strumenti sono impiegati per costruire e mantenere i rapporti con la persona) ben si prestano a modificare gli stili di vita e nascondono potenzialità ancora poco esplorate nella prevenzione delle malattie. L’auspicio è che, in futuro, possano trovare una maggiore applicazione ed una maggiore integrazione nei programmi di promozione della salute.