A macchia di leopardo

di Emanuel Mian

Sebbene nei Tribunali si cerchi sempre di favorire l’interesse del minore, l’applicazione dell’affido condiviso per alcuni giudici è ancora motivo di perplessità, a differenza di altri, che, invece, sono fermamente convinti della validità di questo Istituto

La legge 8 febbraio 2006, n.54 – “Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli” applica il principio della cosiddetta “bi genitorialità”. In sostanza, ciò sta a significare che padri e madri separati hanno entrambi, ed in egual misura, voce in capitolo sulle decisioni riguardanti le scelte di vita dei propri figli, che devono essere prese sempre di comune accordo. Inoltre, come i genitori hanno ambedue allo stesso modo il diritto di godere della presenza dei figli, così questi hanno il diritto ad un rapporto completo e stabile con loro, anche laddove essi giungano ad una separazione definitiva.
Tuttavia, in particolar modo se tra gli ex coniugi c’è accordo, alcuni Tribunali sono inclini ad affidare il minore ad un solo genitore, che risulta essere quasi sempre la madre. L’istituto dell’affido condiviso ad oggi ha trovato maggior applicazione nelle città più grandi, mentre si riscontra ancora una certa riluttanza nelle piccole realtà: secondo i dati forniti dai Tribunali, nei provvedimenti presidenziali adottati nella prima fase dei divorzi e delle separazioni conflittuali, i magistrati di Trieste, Torino, Genova e Firenze hanno applicato l’affido condiviso nel 90% dei casi. Per quanto riguarda Roma, invece, si è riscontrato che i giudici sono ancora propensi a rispettare il volere dei coniugi, ed è per questo motivo che i casi definiti con l’affido condiviso si riducono al 20%. La capitale è seguita da Campobasso, L’Aquila, Ancona, Perugia e Bari, con percentuali quotate tra il 5 e il 19%. L’Italia quindi non è ancora omogenea da questo punto di vista e sebbene nei Tribunali si cerchi sempre di favorire l’interesse del minore, l’applicazione della norma per alcuni giudici è ancora motivo di perplessità, a differenza di altri che, invece, sono fermamente convinti della validità di questo istituto. Maria Ponzetto, presidente della settima sezione del Tribunale di Torino, afferma con decisione: “Il legislatore pone come interesse prioritario del minore il suo affidamento ad entrambi i genitori. Perciò, l’affido condiviso va applicato, a meno che non ci siano motivi plausibili per rifiutarlo”.
Della stessa opinione Isabella Marini, magistrato a Firenze, che afferma: “Concediamo l’affido esclusivo solo in rari casi. L’ordinaria conflittualità tra genitori o la residenza in comuni diversi non sono motivo valido per ottenere il vecchio istituto”.
Il presidente della prima sezione di Roma, Alberto Bucci, ritiene che l’applicazione dell’affido condiviso differisca di poco dall’affidamento esclusivo e sottolinea che: “La legge non vieta l’affido esclusivo e, anzi, prevede un’apertura verso l’accordo tra le parti. Quasi sempre i coniugi chiedono l’affido esclusivo unito all’esercizio congiunto della potestà. Nella sostanza cambia poco rispetto al nuovo istituto e l’interesse del minore è comunque tutelato”.
Probabilmente dovrà passare del tempo prima di giungere ad un’unanimità di opinione, ma, al di là di questo, ciò che è fondamentale è che, indipendentemente dai giudici, siano madri e padri a mettere dinnanzi a tutto il bene del loro bambino.
Il piccolo, già certamente scosso per la situazione in cui si è trovato a vivere prima della separazione, non può e non deve in alcun caso diventare l’oggetto del contendere dei genitori, nemmeno se ciò avviene o si pensa stia avvenendo, per una questione d’“amore”. L’amore verso un figlio, infatti, non deve mai essere legato ad un concetto egoistico, perché compito del genitore è proprio quello di pensare in primis a quanto è giusto per il bambino e, soltanto dopo, a quanto è vantaggioso per sé.
La continuità di un legame perlomeno civile tra madre e padre non è perciò rinunciabile e non va sottovalutata, proprio perché rappresenta il punto di partenza per quello che si spera sarà il superamento dello shock subìto dal figlio che, ricordiamolo, non ha nessuna responsabilità di quanto accaduto all’interno della sua famiglia.
Anche se molto problematico per due persone che hanno deciso di non condividere più lo stesso cammino, non andrebbe perso di vista il fatto che qualsiasi interesse che esuli da quelli del minore è da ritenersi secondario, se non addirittura fuori luogo. I genitori dovrebbero “lavorare” assieme, confrontarsi ed al contempo appoggiarsi ad altre figure importanti come, ad esempio, i nonni, che in situazioni simili possono dare un apporto significativo e rivelarsi utili nell’attesa che la tempesta emozionale data dalla separazione si plachi. Il bambino non è un pacco postale ed ogni azione degli adulti deve essere concertata e finalizzata a garantirne il massimo sostegno affinché egli non corra mai il rischio di sentirsi abbandonato o, peggio, in balia di sé stesso.
Soprattutto, il minore non può far da tramite tra mamma e papà che non sono più in grado di comunicare: va sottolineato, infatti, che non esiste nulla di più deleterio di farlo sentire in colpa quando tentativi di questo genere non vanno a buon fine.

di Emanuel Mian
Psicologo, presidente dell’Istituto internazionale sul disagio e la salute nell’adolescenza. Giudice Onorario Corte d’Appello Tribunale di Trieste.

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