Le perplessità dei giovani sulla riforma

di Marta Regattin

Il riordino delle forme contrattuali viene considerato uno degli aspetti più favorevoli, ma molti dubitano che questi provvedimenti possano far ripartire l’economia italiana

Il Jobs Act, la riforma del lavoro del Governo Renzi, ha introdotto numerose novità, finalizzate – al momento solo sul piano teorico – alla ripresa dell’economia e dell’occupazione. La riforma, dal nome astutamente riconducibile agli American Jobs Act, presentati con successo al Congresso nel 2011 dal Presidente Barack Obama, introduce un nuovo tipo di contratto, il “contratto a tutele crescenti” (in relazione all’anzianità di servizio), modifica (non senza creare polemiche) l’articolo 18 sui licenziamenti, estende la tutela della maternità anche alle lavoratrici con contratto di lavoro a tempo non indeterminato, introduce la riforma Aspi (sussidi di disoccupazione) e Cig (cassa integrazione) e costituisce un’agenzia nazionale per il lavoro ispirandosi al modello tedesco.
Il Jobs Act ha scatenato numerose polemiche, ma che risonanza ha avuto tra i giovani, in particolare tra gli studenti e i neolaureati di Economia e Giurisprudenza?
Le perplessità sono molte. Alcuni aspetti convincono, altri meno.
Così, almeno, la pensano i futuri economisti e giuristi delle Università di Bologna e di quelle venete, che non si sono sottratti alle nostre domande.
“La mia impressione è che la riforma sia condivisibile nello spirito: attraverso la diminuzione degli ostacoli al licenziamento, dovrebbe incentivare le imprese ad assumere lavoratori, creando un maggiore dinamismo del mercato del lavoro” – sostiene Matteo Sato, da poco laureato in Giurisprudenza. Trova interessante an- che l’estensione delle tutele per la disoccupazione, in particolare la sostituzione della tutela reintegratoria con quella risarcitoria nel caso di licenziamenti dovuti a ragioni economiche.
“I principali aspetti positivi di questa riforma – secondo Joseph Pothen, laureatosi nel marzo scorso in “Business&Economics” all’Università di Bologna – riguardano il riordino delle forme contrattuali, il beneficio del contratto a tempo indeterminato per assumere alcune categorie di lavoratori (giovani under 35 e donne) ed il cuneo fiscale offerto alle imprese per abbassare il costo del lavoro”. Joseph ritiene che la drastica riduzione delle tipologie contrattuali, convergenti verso la forma del contratto a tutele crescenti, potrebbe “assicurare un maggior margine di manovra nell’assunzione dei giovani grazie anche al cuneo fiscale. Ma chi ne pagherà i costi? I lavoratori over 35 in fuoriuscita: le modifiche all’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori potrebbero minare i loro interessi a causa della flessibilità in uscita garantita alle aziende”.
In generale, gli studenti considerano positivo anche il solo fatto che il Governo abbia voluto affrontare temi così importanti e delicati come i contratti di lavoro e l’inserimento dei giovani nel mercato del lavoro. I giovani, infatti, oggi non godono delle prospettive e delle garanzie di stabilità proprie delle generazioni precedenti.
Ben maggiori sono, però, gli aspetti che creano perplessità. Nel corso del 2015 le aziende opereranno molte assunzioni con il nuovo contratto a tempo indeterminato “unico a tutele crescenti”, ma solamente perché è la legge di stabilità di quest’anno a incentivarne l’utilizzo con la decontribuzione. Cosa accadrà se la legge di stabilità non verrà confermata? E anche se le aziende fruiranno di questo nuovo tipo di contratto, perché dovrebbero assumere di più? Non è detto si creino nuovi posti di lavoro. La disoccupazione giovanile non è risolvibile solo modificando i tipi di contratti, presenta radici più profonde, in una situazione di crisi che affligge il Paese da anni. Per incentivare le imprese ad assumere occorre, innanzitutto, rilanciare l’economia e sostenere le imprese perché possano rinnovarsi ed essere competitive.
“Con il nuovo contratto – sostiene Carlo Alberto Lentola, laureatosi in Economia a Venezia da poco più di un anno – sarà senz’altro positiva la stabilizzazione di molti precari, ma non è scontato che questo divenga un effetto permanente, né che la qualità dell’occupazione migliori in termini di tutele e di reddito. Per creare veramente nuovi posti di lavoro, oltre a riformare il mercato del lavoro, occorrerebbero gli investimenti, ma questo è un altro discorso”.
Anche l’indennità di licenziamento genera perplessità: disponiamo delle risorse e degli ammortizzatori sociali necessari a sostituire per un periodo transitorio la perdita del posto di lavoro?
Sembra di no. Tra l’altro, attualmente non ci sono nemmeno le condizioni e gli strumenti per assicurare il reimpiego del lavoratore in tempi utili. Coloro i quali perdono il posto, perdono ogni sussidio: si parla di flessibilità di licenziamento, ma non di diritti garantiti ai licenziati.
Secondo alcuni, infine, il fatto che la riforma non tocchi minimamente i dipendenti pubblici, che, quindi, restano, di fatto, inamovibili e deresponsabilizzati, non è accettabile ed è ulteriore motivo di disuguaglianza rispetto ai lavoratori del settore privato. Alcuni hanno fatto presente che, se prima non si creano le condizioni economiche generali che consentano ai lavoratori di reinserirsi nel mercato in caso di licenziamento, sussiste il rischio reale che la flessibilità diventi precarietà.
Al momento, la riforma ha creato tra i giovani più dubbi che fiducia in un mercato del lavoro in futuro più disponibile ad accoglierli. Vedremo cosa sarà cambiato alla fine di quest’anno, quando il provvedimento sarà concretamente applicato dopo l’emanazione dei decreti attuativi.

di Marta Regattin
collaboratrice di SocialNews.

Marta Regattin

Nata a Udine il 14/03/1995 e residente a Padova, dopo la maturità scientificasi è iscritta al corso “Scienze Politiche, Relazioni Internazionali e Diritti Umani” all’Università degli Studi di Padova che sta attualmente frequentando. Collabora con SocialNews da marzo 2015, contribuendo alla realizzazione della rivista cartacea. 

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