Di che colore è la mia bandiera?

Daniela Di Rado

Per molti Rom giunti in Italia dopo la dissoluzione dell’ex Jugoslavia, è tuttora molto complicato regolarizzare il proprio status, per fattori non solo giuridici, ma anche sociali e culturali. A pagare le conseguenze sono i figli degli apolidi non riconosciuti nati in Italia, privi della possibilità di ottenere la cittadinanza

Secondo quanto sancito dalla Convenzione di New York del 28 settembre 1954 relativa allo status degli apolidi, con il termine apolidia si indica: “…una persona che nessuno Stato considera come suo cittadino per l’applicazione della sua legislazione”.
In Italia ci confrontiamo con un numero imprecisato di persone a rischio di apolidia, specialmente all’interno delle comunità rom. Tuttavia, nonostante il numero delle persone di origine rom apolidi residenti in Italia sia incerto e, probabilmente, sottostimato, si può ritenere che il gruppo maggiore sia costituito da coloro che provengono dalla ex Jugoslavia, considerando sia coloro i quali erano già apolidi nel loro Paese di origine, sia quelli che lo sono divenuti in seguito.
Per comprendere meglio questo fenomeno, il Consiglio Italiano per i Rifugiati, attraverso un progetto finanziato dalla Open Society Foundations, ha realizzato una ricerca dal titolo “In the Sun – alla luce del sole. Ricerca sul fenomeno dell’apolidia tra le comunità rom in Italia”.1
I risultati e le raccomandazioni del rapporto si basano su uno studio volto a comprendere – attraverso interviste con i diretti interessati – non solo le motivazioni giuridiche alla base della loro condizione di apolidia, ma anche i fattori sociali e culturali ad essa collegati.
Le radici del problema possono essere rintracciate nella dissoluzione dell’ex Jugoslavia, che ha comportato la difficoltà o, in alcuni casi, l’impossibilità, per gli “ex-cittadini” della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, di ottenere la cittadinanza dei nuovi Stati sorti a seguito dell’aspro conflitto. Molte di queste problematiche hanno interessato le comunità rom, il cui flusso migratorio dagli Stati dell’ex Jugoslavia è iniziato già dagli anni ‘60-’70, con una crescita importante negli anni ’90 a causa, appunto, del conflitto nei Balcani, di sfollati di guerra, renitenti alla leva e rifugiati. Dopo la guerra è risultato difficile, se non impossibile, il ritorno degli sfollati, determinandosi problemi in relazione alla situazione giuridica (incluso il rischio di apolidia) di singoli, intere famiglie ormai stabilmente insediate in Italia, nonché dei loro figli e nipoti2.
Per le persone di origine rom giunte in Italia prima della dissoluzione dell’ex Jugoslavia o successivamente – spesso prive di passaporto ed impossibilitate a richiederne uno “nuovo”, le quali incontrano notevoli difficoltà a ricostruire il proprio status civitatis e devono affrontare una serie di ostacoli per regolarizzare la propria posizione per questioni non solo giuridiche, ma anche per fattori sociali e culturali
– il problema appare rilevante poiché esse sono divenute, o rischiano di divenire, apolidi.
Il timore, in tale condizione, è che un ampio numero di Rom passi la propria vita in una sorta di limbo con difficoltà di accesso ad un riconoscimento ufficiale del proprio status.
La condizione delle persone che si trovano in questa situazione è esacerbata da alcuni fattori:
– La legislazione italiana in materia di procedura per il riconoscimento dello status di apolidia è quasi inaccessibile sotto il profilo dei requisiti richiesti, con la conseguenza che il procedimento amministrativo è, in concreto, poco fruibile. Il procedimento giudiziale è altrettanto difficile da intraprendere, a causa della mancata regolamentazione della materia nonché della necessità di farsi assistere, nei fatti, da un legale. Problematica è anche la fruizione dei diritti nelle more del procedimento, in quanto non vi è un rilascio automatico del permesso di soggiorno in tale fase o, comunque, non vi è una procedura che regolamenti in modo chiaro lo status giuridico del richiedente lo status di apolidia.
– Dall’analisi – non certamente esaustiva, ma sicuramente utile – delle leggi di cittadinanza di alcuni dei Paesi di origine degli intervistati3, sono emerse le difficoltà incontrate dalle persone che hanno lasciato il loro Paese di origine prima del dissolvimento e dai loro figli nati in Italia nell’ottenere la cittadinanza delle nuove Repubbliche sorte a seguito del dissolvimento della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia negli anni ‘90.
– Emerge, inoltre, una complessità oggettiva nell’acquisizione della cittadinanza del Paese di origine sia (talvolta) a causa dei requisiti richiesti dalla normativa di questi Paesi, sia per le denunciate difficoltà, nella prassi, ad interagire con le proprie rappresentanze diplomatiche in Italia e ad ottenere i documenti necessari.
– È possibile che i consolati si rifiutino di accettare l’identità dei minori rom dotati soltanto di certificato di nascita italiano senza iscrizione anagrafica nel Paese di origine dei genitori o dei nonni e privi, quindi, di propri documenti di identificazione.
– Si registra la frequente richiesta, da parte dei consolati, di recarsi, per l’iscrizione anagrafica, nel Paese di origine senza che però sia possibile disporre di un documento di viaggio per espatriare e, d’altra parte, l’impossibilità per molti a rientrare in Italia, data l’assenza di un permesso di soggiorno.
– La perdita della cittadinanza è avvenuta a seguito ed a causa dei cambiamenti di configurazione statuale nell’ex Jugoslavia e, più esattamente, di una cancellazione dei registri anagrafici.
– L’essere discendenti da genitori o avi di status incerto persino all’origine: sono state raccolte testimonianze di famiglie rom che già nel territorio dell’ex Jugoslavia non possedevano una regolare registrazione. Dalla ricerca è emerso che esiste la volontà, almeno di una parte degli intervistati, di uscire da una condizione di limbo.
Risalta, inoltre, l’esigenza di essere maggiormente informati sui procedimenti per la certificazione della condizione di apolidia. Su 239 intervistati nel corso della ricerca, infatti, 139 sono risultati privi di cittadinanza. Tra questi ultimi, 105 hanno dichiarato la propria intenzione di chiedere la cittadinanza, mentre 23 hanno dichiarato di voler intraprendere il procedimento per il riconoscimento dello status di apolide e solo 6 hanno effettivamente intrapreso tale procedimento. Questo dato non deve essere letto come mancanza di interesse nel voler ottenere il riconoscimento dello status di apolide, ma come monito delle difficoltà ad intraprendere tale procedimento, data la sua scarsa fruibilità. Molti hanno manifestato il desiderio di ottenere la cittadinanza italiana, essendo l’Italia il Paese in cui molti degli intervistati sono nati e cresciuti e da cui, spesso, non sono mai usciti.
Purtroppo, a pagare le conseguenze dei vari fattori descritti sono soprattutto i figli degli apolidi non riconosciuti nati in Italia.
Nati da famiglie sfollate dalla ex Jugoslavia, hanno vissuto in Italia per una vita intera. Spesso, essi dichiarano di amare il Paese nel quale sono nati, ma non hanno avuto accesso ad uno status riconosciuto e, per via della loro posizione irregolare, non possono neppure ottenere la cittadinanza italiana. Molti dei problemi affliggono in particolar modo le seconde e terze generazioni: la loro esclusione dai diritti di cittadinanza appare come un dramma sociale ed un problema giuridico gravissimo.

Come andare avanti?
Il rapporto finale del progetto “In the Sun” contiene specifiche raccomandazioni alle autorità italiane4 e conferma quello che, inizialmente, ci si era ripromessi di comprendere meglio: un numero rilevante di famiglie e bambini rom sono esclusi dal diritto di avere una cittadinanza in Italia.
Da un lato, questa conclusione rinforza il dibattito pubblico sulla necessità di riformare la legge sulla cittadinanza in Italia in direzione di una prevalenza dello jus soli, ancorché temperato; dall’altro, è fondamentale una regolamentazione chiara dell’apolidia che sia in linea con gli standard internazionali di tutela per quanto riguarda la procedura per il riconoscimento dello status di apolide e l’effettiva garanzia dei diritti di cui alla Convenzione di New York del 1954; inoltre, nelle more di una riforma legislativa più completa, sarebbe fondamentale snellire i procedimenti amministrativi attualmente previsti per renderli concretamente fruibili.
In questo specifico contesto, sembra particolarmente importante richiamare il parere dell’Avvocatura dello Stato CS 33149/09 – Sez IV Borgo5, che, adottando un approccio realistico, raccomandava la possibilità di rilasciare permessi di soggiorno ai sensi dell’art. 5 co 6 del TU 286/98 nei casi in cui sia impossibile ricostruire lo status civitatis ovvero, qualora sia possibile tale ricostruzione, ma il rimpatrio verso il Paese di appartenenza sia reso “oltremodo difficoltoso dalla indisponibilità, manifestata in tal senso dalle autorità diplomatiche dei propri Paesi di origine”.
Indispensabile è poi evidenziare che il modo più efficace per ridurre l’apolidia e proteggere gli apolidi è prevenire l’insorgere stesso del fenomeno prevedendo strumenti volti a tutelare le persone a rischio di apolidia, come l’acquisizione della nazionalità italiana per i bambini nati in Italia che sarebbero, altrimenti, apolidi, così come stabilito dalla legge italiana (art. 1 co. 1 della legge 91/92) in analogia con quanto previsto dalla Convenzione del 1961 sulla riduzione dell’apolidia, non ancora ratificata dal nostro Paese. Si auspica che tale passaggio avvenga in tempi brevi.
Per consolidare i risultati del progetto “In the Sun”, il CIR sta gestendo un altro progetto, focalizzato maggiormente su attività di advocacy e finanziato dalla Open Society Foundations.
Il progetto, dal titolo “Staring at the sun”, prevede, inter alia, l’elaborazione di un leaflet di sintesi dei principali temi relativi ai procedimenti di determinazione dello status di apolidia. Prende in esame le situazioni di Francia, Spagna e Moldavia che presentano, per un verso o per l’altro, buone prassi utili agli Stati per definire o perfezionare procedure e meccanismi di protezione in materia di apolidia. Il progetto terminerà il 31 dicembre 2014.

1 Il rapporto è stato presentato in occasione di un workshop tenutosi il 7 febbraio 2013 presso l’UNAR. Testo completo in: http://www.cir-onlus.org/images/pdf/In%20sun_apolidia_CIR_rapporto%20finale_italiano.pdf.

2 Nonostante sia molto difficile disporre di dati statistici attendibili, in base ad un’indagine conoscitiva realizzata dalla Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, si stima la presenza di almeno 15.000 giovani figli di Rom provenienti dalla ex Jugoslavia nati e cresciuti in Italia senza avere la cittadinanza e a rischio di apolidia. Cfr “Rapporto conclusivo dell’indagine sulla condizione di Rom, Sinti e Camminanti in Italia” approvata dalla Commissione il 9 febbraio 2011, pag 23.

3 Capitolo II (par. II.4) del Rapporto CIR “In the sun”. Macedonia, Serbia, Kosovo, Montenegro, Bosnia-Erzegovina

4 Per una più puntuale lettura delle raccomandazioni, si veda il rapporto, pag. 50-52

5 Parere dell’Avvocatura dello Stato avente ad oggetto “Emergenza Nomadi nelle regioni Lazio, Lombardia e Campania – Richiesta di parere”

Daniela Di Rado
Coordinamento Centrale, Consiglio Italiano per i Rifugiati

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