Le radici degli stereotipi

di Carlo Berini

Le “immagini dure”, gli stereotipi, hanno caratterizzato la rappresentazione di Rom e Sinti fin dalle origini. Positive o negative, si sono diffuse incoraggiando forme di razzismo e intolleranza

04Le immagini dure, gli stereotipi con i quali la cultura maggioritaria qualifica le comunità e le persone appartenenti alle minoranze linguistiche rom e sinte, sono negative e/o positive, limitate, ripetitive. Permeano la società occidentale e, in alcuni casi, sono da considerarsi virali. Nei Paesi Occidentali, le immagini (dal greco “typos”) dure (dal greco “stereos”) assumono caratteristiche differenti, pur nella loro equivalenza, perché elaborate e trasmesse attraverso strumenti culturali diversi, influenzati dalle correnti culturali nazionali durante i secoli.
Il cinema e la musica popolare rappresentano gli strumenti culturali che hanno permesso, nel secolo scorso, in Occidente, la globalizzazione delle immagini dure, sostituendo, in parte, altri strumenti, quali la letteratura e il teatro. I mezzi di comunicazione di massa hanno avuto effetti amplificanti che hanno stratificato e massificato le immagini dure create a partire dal 1400. Da secoli, in particolare in Italia, attorno alle comunità e alle persone appartenenti alle minoranze linguistiche rom e sinte si sono diffusi e ripetuti pregiudizi che ne hanno alimentato un’immagine dura, negativa e positiva, nell’opinione pubblica.
Il meccanismo è tanto semplice quanto perverso. Il singolo comportamento, o il presunto singolo comportamento, viene ascritto a tutte le persone appartenenti ad uno specifico gruppo, diventando un’immagine dura. Si tratta di un giudizio immotivato, positivo o negativo, associato ad un determinato gruppo di persone. Le immagini dure, seppur ripetute e apparentemente immutabili, non devono essere intese come fenomeni impermeabili al cambiamento, ma sono presenti in forme varie e complesse con qualità sfuggenti in situazioni particolari. L’insieme degli stereotipi che colpiscono le comunità e i singoli appartenenti alle minoranze linguistiche rom e sinte creano un’immagine dura virtuale che esprime prevalentemente un’accezione negativa. Non mancano, però, quelle positive.
L’immagine dura virtuale nella cultura maggioritaria è un’entità definita attraverso i termini prodotti dalla stessa per indicare il diverso. “zingaro”, “gitano” e “nomade”, sono termini eteronimi, altresì definiti «parole sporche». Creano un’immagine dura virtuale che racchiude tutti i pregiudizi, negativi e positivi, che qualificano le comunità e i singoli appartenenti alle minoranze linguistiche rom e sinte.
In Europa, le immagini dure compaiono a partire dal Medioevo. Immediatamente dopo l’arrivo in Europa di Rom e Sinti (XII secolo), la cultura maggioritaria ha iniziato a creare e sedimentare una serie di stereotipi che, nel loro complesso, ne formano ancora oggi l’immagine dura virtuale.
La letteratura, il teatro, la pittura e la musica sono gli strumenti culturali utilizzati per creare e sedimentare le immagini dure, le quali, positive e negative, hanno condotto, in tre secoli, all’immagine dura virtuale su cui si sono fondate le forme collettive e istituzionali di razzismo e intolleranza.
Non bisogna, però, pensare che le immagini positive siano innocenti. Tutt’altro. Esse sono corresponsabili, insieme alle immagini dure negative, della creazione di quella che abbiamo definito l’immagine dura virtuale dello “zingaro”, del “gitano”, del “nomade”. Per esistere, questa immagine non può contenere solo aspetti negativi, pena l’irrilevanza, ma anche aspetti positivi che suscitino curiosità, oltre che paura.
La letteratura è lo strumento principale utilizzato in Europa per creare le immagini dure. Utilizza la meraviglia e la curiosità da una parte, la paura e l’odio dall’altra. La letteratura della meraviglia e della curiosità crea le immagini dure positive inneggianti alla vita libera, alla sensualità fiera delle donne “gitane”, figure romantiche di “bohémiens” e danzatrici, ai suonatori ed ai poeti avvolti da un alone di seducente mistero.
La letteratura della paura e dell’odio, invece, crea le immagini dure negative in cui le figure sono ladri e accattoni, fannulloni, rapitori di bambini, persone sporche e senza legge morale.
È durante il Romanticismo che il tema dell’amore risulta indissolubilmente connesso alla morte e va a costituire, secondo quanto affermato dall’antropologo Leonardo Piasere, l’humus originario all’interno del quale si colloca e si sviluppa l’immagine dura della “zingara” ammaliatrice e romantica.
Analizzando la letteratura, affiancata da teatro, pittura e musica, in poco meno di 300 anni si possono tracciare la nascita e la stratificazione nelle società europee dell’immagine dura virtuale che perdura tuttora in Occidente, anche nella musica e nel cinema.
Solo quando artisti rom e sinti hanno avuto spazio nella cultura occidentale si sono aperte delle brecce nella musica popolare e nel cinema capaci di de-costruire l’immagine dura virtuale. Al riguardo, esistono numerosi esempi virtuosi: la nascita del jazz manouche, così come raccontato in un’intervista da Enrico Comaschi; la creazione del flamenco anche nella sua variante pop e, ultimamente, la nascita del cosiddetto gypsy rock. Anche nel cinema, alcuni cineasti, come Charlie Chaplin e Toni Gatlif, hanno apportato il loro contributo fondamentale.
Nella stragrande maggioranza dei casi, le minoranze sono state derubate della loro arte per creare l’immagine dura virtuale dello “zingaro”, del “gitano”, del “nomade”. A volte, in artisti rom e sinti osserviamo un fenomeno poco studiato e analizzato, la «sudditanza culturale»: si manifesta quando è lo stesso artista ad alimentare l’immagine dura virtuale per essere accettato dalla cultura ufficiale.
Le limitate immagini dure già presenti nell’800 che descrivono Rom e Sinti come sensuali, truffaldini, animaleschi e utilitaristi si sono trasformate in virali e hanno permeato in maniera totalizzante la cultura occidentale fino ai giorni nostri, con un forte incremento negli ultimi dieci anni. Sopratutto in Italia, la sfera pubblica e quella legata alla cultura popolare sono piene di immagini dure virali.
Fino a qualche decina di anni fa, le immagini dure virali erano ascritte a Rom e Sinti per razza. Da alcuni decenni, non essendo più accettabile l’utilizzo dell’accezione razziale, le identiche immagini dure virali sono ascritte alla cultura. Avendo una valenza sociale e politica, queste portano inevitabilmente a rendere le politiche pubbliche discriminatorie, in quanto basate su un concetto di razza.
Mentre, per gli Ebrei, la fine della Seconda Guerra Mondiale ha rappresentato uno spartiacque per demolire le immagini dure e virali a loro associate, attraverso l’elaborazione del lutto della Shoah, ciò non è avvenuto per Rom e Sinti con il Porrajmos. Tant’è che, ancora oggi, è comune sentire una madre italiana apostrofare la propria figlia disobbediente con la frase: «Se non fai la brava gli “zingari” vengono a rapirti».
Difficile trovare oggi, in Italia, una persona che non abbia sentito questa frase.
Nel cinema e nella musica, in molti casi vengono alimentate le immagini dure positive, mentre sono i media e la politica ad insistere su quelle negative. In Italia, la televisione alimenta sia gli stereotipi negativi, sia quelli positivi con le serie tv, rappresentando le minoranze solo in situazioni di cronaca nera, sopratutto negli ultimi dieci anni.
Le immagini dure e virali che colpiscono Rom e Sinti, alimentate da cinema, musica popolare e media, determinano politiche discriminatorie e, in molti casi, esplicitamente razziste.
L’immagine dura virtuale viene de-costruita nel cinema e nella musica popolare solo quando Rom e Sinti sono protagonisti, come nel caso di Tony Gatlif, e/o coprotagonisti, come nel caso di Django Reinhardt con Stephane Grappelli e Eugene Hütz con Madonna. Diversamente, è evidente il reiterarsi dell’immagine dura virtuale con l’utilizzo di quelle virali, positive e negative.
Questo dato dovrebbe aiutare i decisori pubblici dell’Unione Europea e dell’Italia a sostenere politiche di partecipazione diretta delle persone appartenenti alle minoranze linguistiche rom e sinte, valorizzando le espressioni musicali, artistiche e culturali presenti nelle comunità, in Italia e in Europa.
De-costruire l’immagine dura virtuale dello “zingaro”, del “nomade”, del “gitano” è essenziale per creare un approccio diverso alle problematiche vissute dalle comunità e dai singoli da parte dei decisori pubblici degli enti locali in Italia, oggi fortemente condizionati da uno spettro culturale che va dalla mera tolleranza alla discriminazione. Va, invece, perseguito un approccio diverso, che ponga il suo fondamento sui concetti di interazione e di rapporto paritario: Rom e Sinti protagonisti e/o coprotagonisti, non semplici spettatori.
In questa prospettiva di Rom e Sinti protagonisti si inserisce, in Italia, nel 2007, il lavoro della giovane regista rom bosniaca Laura Halilovic “Io, la mia famiglia rom e Woody Allen”. Si tratta del primo film italiano diretto da un’appartenente alla minoranza linguistica rom, per giunta giovane e di sesso femminile. La Halilovic racconta il percorso di uscita dalle logiche dei “campi nomadi” della sua famiglia e il conseguente inserimento in un condominio della Torino operaia.
“Io, la mia famiglia rom e Woody Allen” è un docu-film che gioca con ironia e umorismo sul rapporto con la famiglia e l’ambizione di fare cinema. L’opera ha avuto successo, garantendo alla regista la possibilità di lavorare su un secondo lavoro, provvisoriamente intitolato “Profumo di pesche”. Il lungometraggio affronta gli stereotipi all’interno della cultura dei Rom bosniaci, sempre con ironia e umorismo. Nel corso di un’intervista, Dijana Pavolovic fa esplicito riferimento al nuovo lavoro di Laura Halilovic, del quale è protagonista. Afferma che, per la prima volta, non le è stato chiesto di interpretare l’immagine dura virale della “zingara” licenziosa e ammaliatrice.
Il dato sconfortante in Italia è che i decisori pubblici e privati (le fondazioni) sono raramente propensi a finanziare progetti come quelli di Laura Halilovic. La stessa Unione Europea, in particolare la Commissione Europea nelle sue comunicazioni, non ha mai promosso politiche a sostegno di artisti appartenenti alle minoranze linguistiche rom e sinte. Non vi è nessuna linea di finanziamento europea dedicata a promuovere le loro espressioni culturali.
Il documento “Strategia nazionale d’inclusione dei Rom, dei Sinti e dei Camminanti – Comunicazione della Commissione Europea n. 173/2011”, adottato dal Governo italiano, non contempla la cultura. In nessuna parte del documento ci si pone l’obiettivo di sostenere le espressioni culturali proprie delle persone appartenenti alle minoranze linguistiche rom e sinte.
Italia e Unione Europea sono sempre molto attente sul tema delle discriminazioni, ma sono assenti nel lavoro di de-costruzione dello stereotipo attraverso la produzione culturale di massa. Non stupisce che Alessandro della Casa, decisore privato, dichiari in un’intervista di non aver mai pensato di mettere in cantiere una serie televisiva con l’obiettivo di de-costruire le immagini dure che colpiscono Rom e Sinti.
Gli stessi artisti hanno difficilmente coscienza della questione.
I casi come quello della pop star Madonna sono estremamente rari e solitamente relegati all’attivismo militante. Moltissimi artisti, rom e sinti, ma anche appartenenti alla cultura maggioritaria, associano difficilmente la loro arte ad una coscienza civile che aiuti l’opinione pubblica a superare l’immagine dura virtuale che colpisce questa etnia.
La consapevolezza, nel pubblico e nel privato, della necessità di supportare le espressioni culturali per de-costruire le immagini dure è molto flebile. Vi è impegno politico nel contrasto alle discriminazioni, dichiarato e promosso in tutti i documenti, i pronunciamenti e le azioni progettuali, in Italia e in Europa. Ma difficilmente si de-costruiscono le immagini dure attraverso il sostegno garantito a favore delle espressioni culturali proprie delle comunità e dei singoli appartenenti alla minoranza. Quand’anche vi sia un impegno, questo è residuale in confronto ad altri temi.
I meccanismi di de-costruzione delle immagini dure positive e negative passano inevitabilmente dalla produzione culturale in cui Rom e Sinti sono protagonisti o coprotagonisti. Il fatto che non vi siano spazi reali per poter offrire all’opinione pubblica un’offerta culturale che aggredisca le immagini dure limita qualsiasi altra azione a contrasto delle discriminazioni e tesa alla costruzione di percorsi di interazione tra persone, comunità e culture.

Carlo Berini
Presidente dell’associazione Sucar Drom, Mantova

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