L’accordo di Ginevra

Luigi Sammartino

Il patto ha un valore più politico che giuridico. Prevede una serie di misure volte a preparare il terreno per la riforma costituzionale insieme alla proposizione di alcune sanzioni in caso di infrazione degli impegni assunti. Il ruolo di osservatore è affidato alla Missione Speciale dell’OSCE

La Dichiarazione Congiunta, firmata a Ginevra il 17 aprile scorso dai rappresentanti delle delegazioni di Ucraina, Russia, Stati Uniti e Unione Europea, sembrerebbe rappresentare un nuovo capitolo nella complessa vicenda che si profila nell’Europa Orientale, per la quale la comunità internazionale ha chiesto a gran voce si arrivasse ad una risoluzione.
Va però sin d’ora precisato quanto segue: questa dichiarazione, da molti vista come un accordo, va forse meglio interpretata come un‘intesa non giuridica o un accordo prevalentemente a carattere politico. Si tratta di uno strumento di soft law, che attesta una volontà prevalentemente politica, un pieno intento di adoperarsi affinché la situazione ucraina possa addivenire ad un esito pacifico.
Venendo all’analisi del documento, si può notare sin da subito che, pur estremamente ridotto (si tratta di sole due pagine di testo), contiene diversi intenti da osservare. Non vanno, però, valutati singolarmente, né sono disposti in ordine casuale. Si tratta di passi da seguire (che molti potrebbero addirittura ritenere procedurali, ossia da seguire in maniera consequenziale) che permettono di giungere ad una risoluzione della vicenda garantendo anche un transizione verso la riforma costituzionale dell’Ucraina, richiesta dalla maggioranza della popolazione. Il secondo paragrafo della Dichiarazione richiede l’immediata cessazione delle ostilità, il terzo il disarmo di tutti i gruppi armati, la restituzione degli edifici illecitamente occupati, lo sgombero dei luoghi pubblici occupati e garantisce l’amnistia a coloro che decideranno di arrendersi immediatamente e di collaborare all’attuazione della Dichiarazione, salvo per coloro i quali siano ritenuti responsabili di crimini capitali (“capital crimes”), come affermato al quarto paragrafo.
Il nucleo centrale è costituito dalle intenzioni programmatiche delineate dalla parte finale del documento. Il quinto paragrafo affida il ruolo di osservatore alla Missione Speciale dell’OSCE, la quale dovrà facilitare l’attuazione delle volontà politiche espresse nel documento nelle diverse zone colpite dall’instabilità. Il sesto paragrafo costituisce la disposizione più interessante, ma anche più ambigua: il processo di riforma costituzionale dell’Ucraina dovrà seguire delle linee guida che lo identificheranno come “inclusivo, trasparente e responsabile”, supportato dal dialogo ampio a livello nazionale e con la possibilità di considerare l’avviso dell’opinione pubblica e gli emendamenti costituzionali che si vorranno proporre. Per quanto sembri delimitare con una certa precisione gli scopi da perseguire, la disposizione rimane di tipo programmatico, considerato che non stabilisce in modo preciso la portata degli obblighi previsti.
Di sicuro rilievo giuridico sono le decisioni assunte dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea a seguito del referendum popolare per l’annessione della Crimea alla Russia e che ora supportano l’attuazione della Dichiarazione Congiunta. Questo tipo di “sanzioni” sono di tipo amministrativo, in quanto si concretano nella predisposizione di misure restrittive nei confronti di soggetti individuali.
Per quanto riguarda l’Unione, i due strumenti principali adottati in materia sono la Decisione 2014/145/PESC del Consiglio dei Ministri UE e il Regolamento di attuazione 269/2014 adottato dallo stesso Consiglio. La Decisione prevede, come prima misura, la restrizione alla libertà di circolazione, transito e soggiorno all’interno del territorio dell’Unione (art. 1, par. 1) di una serie di soggetti elencati nell’allegato alla stessa, salvo il caso in cui la circolazione di tali soggetti sia necessaria per la partecipazione ad incontri o conferenze di carattere internazionale, in particolare finalizzati alla soluzione della questione ucraina (par. 3 e 4), nonché qualora vi siano esigenze a carattere umanitario, come il sostentamento della propria famiglia o la necessità di beneficiare di migliori cure mediche (par. 6). Il secondo tipo di restrizione riguarda i possedimenti, le proprietà, i beni, materiali, economici o finanziari dei soggetti indicati nell’allegato precedente, i quali vengono posti sotto sequestro o per i quali viene disposto il congelamento (che, anche a norma dell’art. 1, par. 1, lett. e) e f), fa riferimento soprattutto al divieto di utilizzo o disposizione delle risorse o dei fondi). Il congelamento è tuttavia escluso in una serie di casi quali la sussistenza di una controversia su tali beni e la necessità di ricorrere agli stessi per l’effettuazione di pagamenti, purché non a favore di soggetti indicati dall’allegato (par. 4). Si tratta di deroghe predisposte in ossequio al generale rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali garantite dall’Unione Europea.
Non del tutto analoghe sono le misure stabilite dal Governo degli Stati Uniti nei confronti di persone fisiche o giuridiche presenti sul suo territorio. L’Executive Order n. 13662 – Blocking Property of Additional Persons Contributing to the Situation in Ukraine, del 17 marzo 2014 (ripreso per intero dal Segretariato del Tesoro americano, con documento n. 56 del 24 marzo) prevede la restrizione all’accesso nel territorio statunitense (secondo i termini previsti dall’Immigration and Nationality Act del 1952) per coloro i quali sono ritenuti responsabili della situazione ucraina e vieta condotte di facilitazione o collaborazione all’ingresso (Sec. 4). Il congelamento od il sequestro dei beni e delle proprietà è affidato al Segretario del Tesoro, il quale prevede in concreto l’adozione di queste misure (Sec. 8 e 9). La portata sanzionatoria delle misure statunitensi è senz’altro più rigida rispetto a quella europea.
Nessuna deroga o esenzione è, infatti, prevista.
Come si evince anche dall’integrazione del 28 aprile 2014, l’intenzione di tutte queste misure è chiara: far cessare la situazione in Ucraina effettuando una pressione continua nei confronti della Russia e dei suoi esponenti governativi affinché gli stessi adottino tutte le misure previste dalla Dichiarazione Congiunta del 17 aprile e facilitino il processo di transizione democratica. Una misura, senza dubbio, ma anche un monito per la Comunità internazionale a fare altrettanto al fine di indurre la Federazione Russa a desistere da pretese di tipo territoriale. Questo è il segnale forte che ci si aspetta anche da altri Stati. Tale pretesa, però, si scontra inevitabilmente con la necessità di assicurare il rispetto dei diritti individuali delle persone direttamente interessate dalle misure restrittive.
Questa la ragione per cui l’Unione Europea ha previsto delle deroghe e la possibilità di rivedere il regime stabilito da parte del Consiglio successivamente.
In conclusione, l’effettività della Dichiarazione Congiunta dipenderà dalla capacità di due dei firmatari della stessa di adottare sanzioni efficaci, ma anche dalla loro abilità ad adottare forme di moral suasion nei confronti degli attori principali coinvolti nella situazione in esame.

Luigi Sammartino
Assistente di ricerca in Diritto internazionale presso l’Università di Firenze

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