Il contrasto con il diritto internazionale

Giuseppe Paccione

Esiste il rischio di secessione: la Crimea diverrebbe una nuova entità statale, anche se pare difficile che ciò possa ottenere il riconoscimento della comunità internazionale. La divisione sarebbe causata dall’esterno e ottenuta attraverso l’intervento armato di uno Stato straniero, in palese violazione del diritto internazionale

Il presidente Vladimir Putin, con l’avallo del Parlamento della Russia, a porre in essere l’azione di genere militare e dinanzi alle perplessità dei Paesi occidentali che hanno risposto solo verbalmente, è passato nell’immediato all’azione di una vera e propria occupazione del territorio della Crimea.
Sia ben chiaro che tale autorizzazione rilasciata dalla Duma non è solo circoscritta all’area della Crimea, ma include l’intera Nazione dell’Ucraina, il che rende più ardue la vicenda e la possibilità di giungere, nel tempo più rapido possibile, ad una soluzione negoziale. A livello giuridico, l’invasione delle truppe russe costituisce una netta violazione delle norme di diritto internazionale generale, come pure della Carta dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e, ovviamente, anche dei principi basilari dell’OCSE
– l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa
– che inibiscono la minaccia e l’azione coercitiva armata, cioè a dire l’uso della forza. Mosca ha invocato il proprio diritto d’intervento al fine di proteggere i suoi connazionali che sono presenti nelle basi militari russe in Crimea, ma questo diritto, una volta rivendicato solo da Nazioni dell’Occidente, non è stato esercitato nel caso concreto, ovvero ha percorso una via non percorribile.
La dottrina, infatti, dell’intervento a tutela dei cittadini che si trovino all’estero determina che si possa intervenire nel lembo territoriale di un altro Stato nel momento in cui i suoi cittadini siano davvero in pericolo di vita e lo Stato di residenza non sia intenzionato a difenderli. Si menzioni, in aggiunta, che questo genere d’intervento stabilisce che si possono trarre in salvo i propri cittadini per poi riportarli in patria e tale azione militare non cagiona, oppure non produce, una vera e propria occupazione del territorio dello Stato di residenza. Non solo, ma neppure potrebbe farsi appello all’esimente dell’assenso delle autorità locali a favore dell’intervento.
Va menzionato che la Crimea è una mera provincia che gode di quella larga autonomia e non un vero e proprio Stato; essa, nell’anno 1954, venne trasferita alla Repubblica dell’Ucraina attraverso un decreto emesso dall’URSS. Con la caduta del muro di Berlino e, quindi, lo sfaldamento dell’Unione sovietica nel 1991, lo Stato ucraino, che, nello stesso tempo, diveniva indipendente e sovrano, includeva pure la Crimea. Nel 1997, sia Kiev, sia Mosca avviarono dei negoziati che si tramutarono in un accordo per lo stazionamento della flotta battente bandiera russa nel mar Nero.
Da questo mio discorso si evince che non è possibile discutere circa l’appropriarsi nuovamente di un lembo territoriale della Federazione russa, ipotesi che non è stata mai posta in risalto. Il grosso rischio è che si vada verso la secessione della stessa Crimea sino a dover divenire una nuova entità statale, anche se pare difficile che possa avere il riconoscimento dalla comunità internazionale, sebbene la secessione sia cagionata dall’esterno e ottenuta attraverso l’intervento armato di uno Stato straniero, andando così contro lo stesso diritto internazionale generale. Si tenga, inoltre, presente che, in questi casi, si fa prevalere l’istituto dell’integrità del territorio.
Lo Stato dell’Ucraina, vedendosi violate la propria indipendenza e la propria sovranità, ha il totale diritto di esercitare l’istituto della legittima difesa – poiché esso è determinato dalla stessa Carta dell’ONU – diritto che è connaturato alla presenza stessa dello Stato e che non necessita di una domanda d’autorizzazione, per il suo diritto ad esercitare la tutela del suo territorio, al Consiglio di Sicurezza, organo responsabile del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Con ciò si vogliono rammentare i diritti dello Stato leso da un’aggressione, che può rispondere con la forza armata, a prescindere che le forze militari possano essere incommensurabili. Alle autorità di Kiev spetta non solo il diritto di legittima difesa individuale, ma pure quella della comunità internazionale, nel senso che Stati terzi possono intervenire accanto all’Ucraina che subisce un’invasione esterna.
L’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, la NATO, ha il c.d. meccanismo di difesa collettiva a tutela degli Stati membri, cioè a dire che, nel caso in cui uno Stato dell’alleanza atlantica subisce un attacco, gli altri Stati membri hanno il dovere d’intervenire a suo favore. Ovviamente, tale punto non concerne lo Stato ucraino, poiché non è membro dell’Organizzazione atlantica. Pur non essendo vincolata, quest’organizzazione militare potrebbe intervenire a favore dello Stato ucraino attraverso una missione voluta dal Consiglio atlantico, poiché, in teoria, si vuole
evitare un vero e proprio coinvolgimento. Tale Organizzazione ha solo ritenuto deplorevole l’intervento di Mosca come atto incontrasto con le norme del diritto  internazionale.
L’intervento del Consiglio di Sicurezza potrebbe subire una limitazione perché la Russia è membro permanente e dispone del diritto di veto. Qualsiasi azione incisiva sarebbe bloccata dal veto russo, come qualsiasi bozza di risoluzione che riguardi la crisi ucraina. Un grattacapo vero e proprio! In ambito UE si sprecano solo parole. Sovente si è assistito al disinteresse dei suo Stati membri, che procedono in ordine sparso. Solo quando si tratta di chiedere soldi ai popoli europei sono d’accordo. L’unica cosa che è stata detta in ambito europeo è il diritto alla legittima difesa quando si subisce un’aggressione.
Infine, è stato spesso menzionato un Memorandum del 1994 – il famoso Memorandum di Budapest – che venne concluso da Gran Bretagna, Russia, Stati Uniti e, ovviamente, Ucraina, quando quest’ultima aderì al Trattato di non-proliferazione nucleare – accordo internazionale sulle armi nucleari, del 1968 che si fonda su tre principi: disarmo, non proliferazione e utilizzo pacifico del nucleare – come Nazione non nucleare, dopo che la presenza sul proprio territorio di arsenale atomico, durante la Guerra fredda, venne trasferito in Russia. Questo Memorandum concerne le garanzie di sicurezza, nel senso che gli Stati sopra citati non devono usare tali armi nei riguardi dell’Ucraina e, di fronte all’aggressione o alla sua minaccia con armi del genere, devono portare subito la problematica a conoscenza del Consiglio di Sicurezza per provvedere all’adeguata assistenza. Si aggiunga il vincolo che deve esserci tra gli Stati parti del Memorandum che è quello della consultazione quando si è in presenza di una minaccia nucleare. Vi è, in quest’accordo, una rilevanza indiretta, nel senso che si pronuncia a favore della tutela dell’integrità del territorio ucraino nel contesto delle demarcazioni o frontiere esistenti.
Pertanto, anche la Russia riconosce l’appartenenza della Crimea all’Ucraina, di cui era parte nell’anno 1994.
Ritornando all’intervento del Consiglio di Sicurezza, a parere di chi scrive non credo che sia d’uopo l’adozione di una risoluzione contenente una raccomandazione oppure di adottare azioni vincolanti dinanzi a uno Stato resosi responsabile di gravi violazioni del diritto internazionale generale. Le sanzioni possono riguardare l’inibizione di beni, il congelamento di risorse finanziarie e via discorrendo.

Tratto da diritto.net

Giuseppe Paccione
Avvocato specializzato in Diritto Internazionale, Diritto della UE, Diritto diplomatico e consolare

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