I Tatari della Crimea

Angela Caporale

In queste settimane di tensione, in Crimea un terzo attore sta facendo sentire la sua voce: i Tatari, popolazione originaria della penisola, di lingua turca e religione islamica. Segni particolari? Nessun buon rapporto di vicinato

Ad accendere ulteriormente la contesa russoucraina per la penisola di Crimea ci ha pensato Mustafa Jemilev, il più noto esponente dei Tatari di Crimea, quando ha esposto i propri timori che la penisola possa diventare una nuova Cecenia. Un’affermazione minacciosa e, al contempo, spaventata, ma non del tutto inaspettata, considerato il destino di questa popolazione, a lungo sfruttata dal potente di turno. I Tatari di Crimea, detti anche Crimeani, in modo da differenziarli dalle popolazioni tatare stanziate in Russia, costituiscono una minoranza islamica di origine e lingua turca che rappresenta il 12,1% della popolazione della Regione: una percentuale ridotta in tempo di pace, ma che può diventare una voce significativa in pieno conflitto. Gli stessi Ucraini non si dimostrano particolarmente aperti nei loro confronti, spaventati dal rischio di un’“islamizzazione” della penisola e di una conseguente riduzione della loro influenza. Aprire le porte al ritorno dei Tatari nella loro “terra promessa” creerebbe, a loro avviso, uno scompenso demografico dalle ricadute negative sull’economia. Questa mostra segnali preoccupanti, con un tasso di disoccupazione che supera il 10% e lo stipendio medio inferiore ai 200 euro al mese.
Al contrario, la storia della tensione tra Tatari e Russi possiede radici profonde e legate a differenze etniche e culturali. L’idea di una pulizia etnica nei loro confronti è stata discussa sin dall’annessione della penisola all’impero degli zar nel XVI secolo, occupazione che diede inizio a quello che, nella tradizione tatara, viene definito “il secolo nero”. L’eccidio è rimasto soltanto un progetto per qualchesecolo, fino a quando Josif Stalin decise di togliervi le ragnatele e dargli nuova luce. Era il 1937: la già ridotta popolazione della penisola calò ulteriormente in seguito alle purghe staliniane. A farne le spese furono soprattutto gli intellettuali, fra i quali lo statista Veli Ibraimov e lo scienziato Berik Cobanzade. Al termine della guerra, l’epopea dei Tatari non si concluse, anzi. Il loro massacro era soltanto all’inizio. Nel 1944, infatti, Stalin diede l’ordine di deportare in Uzbekistan tutti i Tatari di Crimea (insieme ad altre popolazioni della zona quali Greci, Bulgari e Armeni), colpevoli di aver collaborato con i nazisti durante l’occupazione tedesca. Molti Tatari morirono in esilio a causa di malattie e carestie, ma il numero preciso non è disponibile. Si oscilla dal 15-25% della popolazione complessiva stimato da fonti ufficiali sovietiche al 46% ipotizzato da un gruppo di attivisti che ha cominciato ad indagare sulla tragedia a partire dagli anni ‘60. Il contro-esodo dei Tatari è iniziato nel 1967, ma, di fatto, solo dopo la dissoluzione dell’URSS e grazie alla perestrojka di Gorbaciov queste persone hanno potuto fare ritorno nella loro terra d’origine e vedere riconosciuto il loro diritto all’autodeterminazione. Oggi, la maggior parte dei Tatari vive nelle aree rurali, in alloggi poveri e spesso abusivi. Dispongono di un organo di rappresentanza ufficiale, il Mejlis, il quale non è stato, tuttavia, capace di tenere compatta l’etnia.
A Refat Chubarov, leader del Mejlis, è stata offerta la carica di vice-premier in un ipotetico esecutivo filo-moscovita della regione.
Egli, però, preferisce mantenere significativi contatti con Ankara e, allo stesso tempo, alzare la posta in gioco fomentando la tensione e prefigurando una catastrofe.
Uno scontro diretto con Putin non sembra rappresentare un obiettivo a breve termine per l’alleato turco, limitatosi a generiche rassicurazioni ed espressioni di solidarietà, come quella del Ministro degli Esteri Davutoglu: «Il futuro dei nostri parenti, i Tatari di Crimea, rappresenta la nostra priorità. La pace è essenziale per la Turchia e faremo tutto ciò che è necessario per questo scopo». Blando anche il Premier Erdog ̆an: «Ho parlato al telefono con Putin assicurandomi che protegga i diritti dei Tatari. Finora non abbiamo lasciato soli i nostri fratelli e non lo faremo in futuro». Un sostegno formale ed una forte retorica di fratellanza e solidarietà, ma nessun aiuto con creto all’orizzonte.
La tensione e i timori frutto delle purghe staliniane fanno ancora parte del patrimonio emotivo dei Tatari di Crimea, oggi il gruppo che più spaventa Mosca dopo l’annessione per referendum della penisola all’amministrazione russa. Secondo quanto dichiarato a RussiaOggi dal politologo Alexei Makarkin, “I Tatari di Crimea sono diventati uno dei principali problemi per la Russia in Crimea. Si tratta dell’unica parte significativa della popolazione della Crimea che, in generale, ha reagito negativamente all’adesione della penisola alla Russia”. Tuttavia, fino ad ora, ogni forma di scontro diretto con il Cremlino è stata evitata, anche in ragione della frammentazione politica che caratterizza i Tatari di Crimea. A fronte di una coesione etnica molto forte, infatti, dal punto di vista politico il Mejlis non è riuscito ad affermarsi come portavoce e rappresentante unico nei rapporti con gli altri attori internazionali.
Nonostante i proclami, è plausibile immaginare che il Mejlis collaborerà con il nuovo Governo della Crimea e non farà seguire atti violenti alle minacce. Secondo alcune fonti, Chubarov ha già incontrato i rappresentati del nuovo Parlamento filo-russo della Regione. Questo atteggiamento moderato, nei fatti, è stato fortemente criticato da Fazil Amazayev, leader del movimento fondamentalista islamico della Crimea Hizb ut Tahir.
Egli ha dichiarato che i Tatari sono pronti a rispondere a qualsiasi (presunto) attacco frontale da parte dei Russi o di esponenti filo russi. Sempre secondo il capo dei fondamentalisti, il fronte tataro appare compatto di fronte ad un nemico comune che ne mette a rischio la sopravvivenza. Al contempo, l’organizzazione Milliy Fırqa (“Partito del Popolo”), creata nel 2006, ha espresso per nome del suo leader Vasvi Abduraimov, appoggio al referendum di marzo, invitando anche i Tatari ad esprimersi a favore dell’annessione e dell’integrazione euroasiatica.
Come ha dichiarato a L’Espresso Aldo Ferrari, direttore del programma Russia ed Europa Orientale dell’Ispi e docente all’Università Ca’ Foscari di Venezia: “Non immagino a breve termine uno scenario stile Cecenia perché non esiste una tradizione di violenza simile tra i Tatari, ma è possibile che da Siria e Caucaso aumentino prossimamente gli arrivi di radicali islamici wahabiti. Molto dipenderà, ovviamente, dall’atteggiamento della Russia.
Se Mosca vorrà punire i Tatari per l’appoggio a Kiev, potrebbe, banalmente, far applicare le leggi contro l’abusivismo e lasciare molti di loro senza casa. Questo potrebbe far esplodere la situazione.” Gli stessi Tatari di Crimea, inoltre, sembrano preferire un approccio pragmatico all’intera situazione di crisi. I problemi sentiti in modo più urgente sono quelli economici, come la distribuzione delle terre, oppure politici, come l’esigenza di implementare e formalizzare una rappresentanza tatara al Governo, i rapporti con l’Ucraina e, infine, uno sviluppo di rapporti tra entità laiche e religiose finalizzato al miglioramento delle condizioni di vita della popolazione. Questi cambiamenti sono possibili soltanto in un contesto nel quale la violenza, l’estremismo religioso e gli echi di antiche dispute passano in secondo piano in favore di un modello di azione multi-etnico, aperto al compromesso e al pragmatismo, idoneo a porre al centro i bisogni concreti della popolazione.

Angela Caporale
Collaboratrice di SocialNews

Rispondi