di Tiziana Mazzaglia @TMazzaglia
“Ci vediamo al 33!” Gian Paolo Serino, critico letterario, presenta il nuovo libro di Roberta Torre, Il colore è una variabile dell’infinito, Baldini & Castoldi, marzo 2014. La regista di Tano da Morire e altri film ci narra di suo nonno Pierluigi Torre, inventore della Lambretta.
La sera del 21 maggio c.m. a Milano, in corso Buenos Aires 33, presso la Libreria Feltrinelli. La dove un tempo vi era la Standa e ci si incontrava al “33”, come ricorda Gian Paolo Serino, critico letterario che presenta Roberta Torre e il suo ultimo libro, Il colore è una variabile dell’infinito, edito da Baldini & Castoldi. Ospite d’onore è Paolo Rossi, che dal 13 maggio c.m. fino a giorno 8 giugno 2014 reciterà allo spettacolo omonimo del libro, presso il Crt Teatro dell’Arte, in Viale Emilio Alemagna, 6 a Milano. La sala si popola di spettatori e Roberta parla della sua opera: « (…) Una storia raccontata, ovviamente con difficoltà, perché è una storia molto vicina e molto lontana nella stesso tempo, che ho elaborato nel corso, si può dire, di quasi tutta la mia vita. Arrivata a un certo punto ho capito che quest’uomo era veramente qualcuno, che in qualche modo meritava un ricordo. Ma non solo un ricordo storico, come ovviamente si potrebbe fare, perché di fatto hai comunque un personaggio che seppur molto nascosto, seppur dietro le quinte – perché evidentemente amava molto stare dietro le quinte; cosa assolutamente poco attuale, poco contemporanea e questo l’ho trovato molto affascinante. Pensavo proprio al fatto che viviamo in un’epoca di totale ostentazione, invece io parlo di un personaggio che ha sempre amato fare regie da dietro le quinte, regie occulte, anche la Transloceanica, Baldo, come nomi di riferimento, ma tutti questi aeroplani erano stati progettati da Pierluigi Torre. Mi è piaciuto molto questo suo non voler apparire, stare dietro le quinte, un po’ come la vicenda dell’Alchimista. Vedo Pierluigi Torre come un alchimista, ho sempre visto mio nonno come un personaggio misterioso e lo era sicuramente, non tanto ai miei occhi di ragazzina, ma proprio come una testa misteriosa: una testa che appariva scompariva, alle volte in questo ufficio, che lui aveva a casa e teneva segreto, in cui lui entrata e usciva con una nuova scoperta. Nel corso degli anni ho pensato che fosse un personaggio straordinario da raccontare e insieme a lui raccontare anche la mia storia nascosta tra le pieghe, tra le quinte di questa vicenda. La cui, se vogliamo chiamarla morale è il fatto che è bello vedere quello che non si vede, è bello vedere quello che non c’è ancora, infatti questa è una frase che viene ripetuta nello spettacolo “è bello immaginare quello che ancora non c’è”. Questo che ancora non c’è può essere il motore di un aeroplano, può essere una moto che cambia i destini di una nazione, seppur per qualche anno. Quello che ancora non c’è può essere un fiore, una rosa blu, che è come dicevo prima il lavoro di un alchimista. La rosa simbolo di tante cose, ancor più di qualcosa che non c’è, il simbolo di un’utopia. Gli ultimi anni della sua vita li passa a progettare un fiore, che è un fiore che è anche un simbolo, un segno, che dedica alla moglie. Dopo lui muore e il fiore non si riesce più a ricreare e questa è una storia, credo meravigliosa, che chiaramente passa al testimone, forse a qualcuno che ancora non è arrivato, forse a qualcuno che invece è arrivato e vuole raccontare la sua storia. Io l’ho sentita un po’ come un invito a raccontare la sua storia e insieme a lui la storia d’Italia dal ‘900 fino agli anni ’60». Ed è grazie a Roberta Torre, al suo saper cogliere e accogliere l’invito a raccontare e a narrare, che oggi possiamo leggere, vedere e assistere, quindi ad un mistero colto nell’attimo. Una sorta di utopia resa immortale attraverso l’arte antica del raccontare, che permette di fare memoria e ri-vivere. Una rosa blu che si riproduce nelle nostre menti ogni qual volta leggiamo anche solo una pagina di questo affascinante romanzo.
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