Paolo Poggi
“Barare, prendere una scorciatoia, trovare la soluzione più comoda… non ci sarebbe più alcuna soddisfazione, nessun valore dei risultati raggiunti e una percezione totalmente sfalsata del nostro corpo, delle nostre capacità e della comprensione del limite”
Alla fine degli anni ’80 era consuetudine ricorrere a flebo e punture di “Corteccia Rossa”. Un dopante? Un integratore? Non ho mai avuto informazioni al riguardo. Lo facevi perché ti fidavi del medico. Non sapevi di cosa si trattasse e avevi timore a chiedere perché sapevi che avresti dovuto affrontare partite, sforzo fisico e non volevi opporti ai “consigli” di chi, in teoria, ne sapeva più di te di queste cose…
Nella mia carriera sportiva, fortunatamente, anche nei campionati più importanti, quali Coppa Italia e Coppa Uefa, ho dovuto affrontare solo raramente problematiche legate al doping. Alla fine degli anni ’90, quello del doping è tornato ad essere un argomento molto discusso. Si insinuavano i primi dubbi che anche nell’Udinese si usassero sostanze dopanti perché correvamo molto di più, senza comprendere che ciò che faceva davvero la differenza nella nostra squadra era la testa, l’allenamento. Che senso può avere in uno sport di squadra l’uso di doping da parte di singoli soggetti? Non ce l’avrebbe nemmeno se fatto dall’intero team, ma ritengo sia principalmente una problematica individuale, di disagio personale, di incapacità di guardare in faccia il ‘duro lavoro’, affrontarlo, vincerlo e andare oltre se stessi solo grazie alla propria fatica. Fatica… sacrificio… Chimere per molti. Chi arriva ad alti livelli nel mondo del calcio è già un “Supereroe”. La pressione a cui si è sottoposti a livello fisico e mentale è fortissima. È uno sport, una scelta, un privilegio, ma anche profondo sacrificio, se fatto davvero con passione, serietà, professionalità, costanza.
Che senso ha utilizzare sostanze dopanti? Fare tanta fatica, onestamente e poi barare, prendere una scorciatoia, trovare la soluzione più comoda… non ci sarebbe più alcuna soddisfazione, nessun valore dei risultati raggiunti e una percezione totalmente sfalsata del nostro corpo, delle nostre capacità e della comprensione del limite. Se non si guardano in faccia i propri limiti, quelli reali, com’è possibile superarli, com’è possibile trovare un reale equilibrio ed un vero orgoglio nei risultati raggiunti? Rimarrà solo insoddisfazione, finto appagamento, senso di inadeguatezza, eccesso. Ho visto molte potenziali stelle del calcio spegnersi ancor prima di riuscire a brillare davvero, soprattutto giovani stranieri, condotti verso scelte sbagliate, spinti all’utilizzo di sostanze dopanti nella totale inconsapevolezza e poi scoperti, sospesi, allontanati. A volte si gioca con la vita delle persone, usando la loro ignoranza (nel senso di ignorare, non conoscere), approfittando della loro fiducia e fragilità, senza rendersi conto del danno che si può provocare. Mi è capitato più di una volta di essere estratto a sorte nel post partita per i controlli antidoping. La sensazione percepita è davvero spiacevole. Ti senti un sorvegliato. Il calcio vero, quello per cui un calciatore vive, deve essere sano.
Il calcio malato cessa di essere uno sport, diviene solo un mezzo per raggiungere obiettivi completamente estranei alla passione, all’emozione, alla totale dedizione. Sarebbe di fondamentale importanza inserire nei campionati dilettantistici e tra i giovanissimi una cultura della ‘buona informazione’.
La maggior parte delle volte, i messaggi trasmessi dai media riguardo al doping sfociano nella disinformazione, creano ambiguità e scarsa chiarezza. Le immagini televisive possono essere mal interpretate dai ‘non addetti ai lavori’. È necessario avere le idee chiare sullo sforzo a cui si sottopone un giocatore quando affronta una normale partita di Serie A.
Non tutte le immagini di ‘calciatori e flebo’ implicano l’uso di doping. A fine match, un calciatore pesa solitamente circa due chili in meno, persi in liquidi. Reintegrarli è necessario, soprattutto se nella stessa settimana si devono affrontare altri incontri. Liquidi e sali minerali (di solito somministrati via flebo) sono fondamentali per ristabilire la forma fisica ed evitare spiacevoli incidenti. Dopo una stagione di 50/60 partite, il corpo è molto provato, non solo a causa dello sforzo continuo, ma anche per i contatti, gli scontri, le ginocchiate, le gomitate… A questo si aggiunge il regime alimentare, lo stress psicologico ed emotivo, dato da sacrifici e rinunce propedeutiche al raggiungimento di prestazioni elevatissime.
Sono convinto dell’assoluta realizzabilità di un calcio pulito. La sinergia tra allenamento, cervello e cuore è molto più potente di qualsiasi sostanza dopante. Lo sport, il calcio, per chi lo vive in maniera autentica, diventa una vera e propria fissazione. È la passione sana, non quella malata e dopata, che ti porta a non poter mai staccare la testa da questo pensiero, ad avere un chiodo fisso che impegna ogni minuto del tuo tempo.
Mi ritengo un privilegiato per aver avuto la possibilità di raggiungere i livelli più elevati di questo sport.
Ho provato emozioni fortissime, la maggior parte date dall’entusiasmo e dal coinvolgimento dei tifosi.
Senza i tifosi il calcio non sarebbe la stessa cosa, mancherebbe la magia, il sale, il fuoco. Quando smetti di giocare, ciò che ti manca davvero non è il calcio in sé, ma tutto quello che viene prima della partita, l’adrenalina che sale, lo spogliatoio, il sottopassaggio, il rumore dei tifosi, i loro volti sorridenti e tesi che ti fanno sentire responsabile delle tue azioni. Le sostanze dopanti causano nelle persone che ne fanno uso una de-responsabilizzazione, un superonismo (che non ha nulla a che vedere con la mia idea di calciatore ‘Supereroe’ legata all’energia fisica, alla concentrazione mentale, alla forza di volontà) che trasmette messaggi deviati e crea tensione anche nel rapporto con il pubblico.
Chi gioca in Serie A e non è dotato di qualità tecniche deve possedere una fortissima motivazione ed una straordinaria capacità di concentrazione rispetto all’obiettivo da raggiungere. Non si diventa calciatori di livello per caso e non si possono mantenere prestazioni di qualità nel lungo termine se non ci sono prestanza fisica (data da madre natura e costante allenamento) e/o profonda passione per ciò che si sta facendo.
Chi si dopa non resiste a lungo, dura un soffio di vento o rischia di farsi molto male.
Nel calcio non è la singola prestazione a fare la vera differenza, ma quella della squadra, della società, del ‘pacchetto completo’, di ogni singolo individuo, calciatore, allenatore, medico, psicologo che vive con dedizione il proprio mestiere e, in team, desidera giungere al risultato.
Cogliere un qualsiasi obiettivo dopandosi toglie ogni dignità all’azione.
Come si può guardarsi allo specchio ed essere orgogliosi delle proprie mete? Bastano gloria e ricchezza per giustificare il proprio comportamento? Credo sia troppo poco vivere di questo. Lasciarsi ingannare dai ‘sogni facili’ non porta lontano. Spesso, il messaggio trasmesso dai media è una vera e propria distorsione della realtà. Ci sono sicuramente cose più complesse e dolorose nella vita che diventare calciatore, ma il sacrificio è sempre messo in secondo piano. A far scalpore sono le immagini di divertimenti estremi, lusso, business. Tutto questo c’è, è reale e i soldi usati in maniera speculativa rovinano il mondo del calcio, ma credo potrebbero pervenire messaggi ben più costruttivi dal mondo del pallone. Questi, però, non creano vero rumors. A volte bisognerebbe essere più responsabili, meno provocatori e meno leggeri. Chi ci guarda, ci vive spesso come un modello, un esempio. È una responsabilità importantissima. Quale messaggio diamo ai bambini, ai giovani? vince l’eccesso o la serietà del lavoro duro? Ma qui scendiamo nella valutazione della nostra società, non riguarda più solo il mondo del calcio. Finché nella società non cambieranno i valori e gli ideali su cui costruire un percorso di crescita e di esempio virtuoso, difficilmente il mondo del calcio cambierà. Di conseguenza, il problema doping non scomparirà, anzi.
Chi fa spettacolo ha il dovere di rendere migliore la società.
Paolo Poggi
Ex calciatore di serie A, oggi allenatore del settore giovanile dell’Udinese