Il grande valore dell’unità

Un grande Paese con tante qualità, ma anche con qualche non irrilevante difetto, che è giusto augurarsi possa essere superato nei 150 anni che abbiamo davanti, siccome non lo è stato nei 150 che abbiamo alle spalle. Gli Italiani dovranno pensare alla cosa pubblica come ad un bene proprio.

L’anno del centocinquantesimo volge al termine ed il Paese ha dato quel che ha potuto. Qualcuno ha sostanzialmente subito i festeggiamenti, qualcun altro ha assecondato un sentimento popolare che potrebbe racchiudersi nella presaga espressione di Habermas sul “patriottismo democratico”. Non più suolo o sangue, dunque, ma diritti e doveri, fissati, oggi, nella Carta fondamentale. È emersa una rinnovata relazione tra Risorgimento, Unità del Paese e Costituzione. Tra le cose, a mio avviso, interessanti, il film di Mario Martone “Noi Credevamo”. Un lavoro prezioso di ricostruzione storica, senza fanfare, né pennacchi, attraverso le vicende umane di tre giovani meridionali in un percorso che si snoda tra il 1820 ed il 1870. Notevole l’utilizzo di materiale documentario ed epistolare, scandagliato dallo sceneggiatore De Cataldo, che costituisce il tessuto dei dialoghi e del racconto. Una rivisitazione, per certi versi, inedita, sotto il segno dell’“altra storia”. Dalla “Giovane Italia” di Mazzini, con i suoi slanci utopici ed i suoi drammatici fallimenti, ai metodi cospirativi, con anticipazioni sulla storia italiana successiva. Dal senso del nobile e disinteressato sacrificio agli errori di cui si compone e con cui si impasta, nell’agire umano, anche l’ideale più alto. Dall’intreccio con le strategie europee allo scontro militare in una guerra civile senza esclusione di colpi. Dalla miscela di emancipazione sociale e riscatto nazionale, che tanto a lungo ha segnato la vicenda italiana, alla condizione di un Paese agricolo, indigente, arretrato. Dalla relazione tra un Nord ed un Sud coinvolti nello stesso destino di comunità allo scenario delle carceri borboniche, al ruolo di Cavour, della dinastia sabauda, con la piemontizzazione, come è stata definita, anche in contrasto con l’azione garibaldina.

Ecco: la storia merita un confronto non edulcorato, né agiografico. Se oggi si assiste ad un ritorno di inquietudini pre-unitarie, o a vagheggiamenti post-unitari, è anche perché il Risorgimento non è stato sufficientemente considerato nella complessità, non sempre pacificata, della sua verità storica, ma, soprattutto, attraverso dissimulazioni, traduzioni e tradimenti, come si conviene alla tradizione, secondo l’adagio per cui chi vince tende a far prevalere, non i fatti, ma la loro, per lo più tendenziosa, interpretazione. Se vogliamo donare speranza nel futuro alla prospettiva unitaria del Paese, occorre prendere congedo dalle letture parziali, riferirsi ai dati storici considerati nel loro insieme ricco, contraddittorio e molteplice, senza un’arbitraria reductio ad unum delle opinioni che essi hanno prodotto e continuano a produrre. Il “rimosso”, come si dice, riemerge. Le tesi federaliste, se non riconosciute, discusse ed approfondite, riaffiorano, ingenerando possibili fraintendimenti. Allo stesso modo, i 150 anni non possono essere trascorsi invano, né possono essere vissuti come una cappa soverchiante l’esigenza di equilibrio nella composizione di un giudizio storico sereno e maturo. L’anelito ad una concezione più flessibile della stessa prospettiva unitaria, il cammino costituzionale (dal 1° gennaio del 1948 sino alla riforma del marzo 2001) che hanno saputo affermare il valore della poliarchia, del pluralismo istituzionale, del policentrismo territoriale, vanno tenuti tutti bene a mente. Così come la crisi dello Stato-Nazione, causa ed effetto dell’Unione Europea, insieme ad un rovello che porta ad affermare, non senza suffragio di consensi ed auspici, il rilievo delle istituzioni locali come l’istanza più prossima al fare cittadinanza. Insomma, a parte alcune occasioni di rito, un momento utile a rinsaldare il senso di sé del Paese. La memoria è sempre una lettura che diamo del passato nel presente, fatta di scarti e recuperi e la sintesi non è mai oggettiva. Se si potesse trarre una morale, per quanto provvisoria, si potrebbe rileggere quella storia comprendendo il valore dell’unità ed i suoi limiti, individuando nel tessuto civile del Paese pagine splendide insieme ad involuzioni e ripiegamenti. Ribadite le ragioni del Paese, forse occorre lavorare sul fronte della sua fibra etica e civile. Un grande Paese con tante qualità, ma anche con qualche non irrilevante difetto, che è giusto augurarsi possa essere superato nei 150 anni che abbiamo davanti, siccome non lo è stato nei 150 che abbiamo alle spalle. Per esempio, la comprensione del fatto che la stessa cura rivolta alle cose proprie va rivolta anche a quelle degli altri, che la stessa sollecitudine dedicata a quelle private deve essere orientata anche verso quelle pubbliche. Quelle di tutti, il bene comune.

Marco Macciantelli
Dottore di ricerca in filosofia, autore di alcuni volumi di estetica Sindaco di San Lazzaro di Savena

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

Rispondi