Sul mito delle radici cristiane

Gesù Cristo è un fatto storico e una persona reale, morta ammazzata dopo indicibili torture, pur potendosi agevolmente salvare con qualche parola ambigua, accomodante, politichese, paracula. È, da duemila anni, uno “scandalo”.

Non è per niente cristiano il mito delle “radici cristiane” dell’Europa. Persino nella Messa cattolica c’era un momento splendido – ma che fine ha fatto? – in cui il celebrante diceva: “Introibo ad altare dei – ad deum qui laetificat juventutem meam”. Il Dio cristiano è questo Iddio che riaccende la nostra giovinezza, la ravviva o la resuscita. Non ha niente a che fare con il passato, la memoria, la tradizione, le radici. È un Dio delle fioriture e delle fronde. Anzi, dei frutti, da cui giudicheremo la bontà dei vivi, e del grano di senape, che sembrava nulla e un giorno, all’improvviso, diventa immensa chioma di foglie, folta di grida e canti, dimora per tutti gli uccelli del cielo. Poche cose sono più certe, fra le poche comuni ai Vangeli e alle Epistole di Paolo, delle immagini e delle parole del rinnovamento, la rinascita, il soffio, il respiro, la liberazione, la vita che è ora, i morti che debbono seppellire i loro morti. E poi del lasciare casa, padre e madre, anzi, dell’”odiarli”, andare per terre straniere e oltre i mari, la fioritura di lingue straniere che si accendono nella mente come scintille d’intelligenza nuova, il non voler salvare l’anima propria ma voler, invece, perderla, perché solo chi l’avrà perduta l’avrà infine salva. Renovatio mentis, conversione, vita nuova, ri-creazione: non c’è tema più caratteristico di questa spiritualità dell’oggi, che disdegna la conservazione del patrimonio e delle eredità di affetti quanto l’indefinito rinvio del Mondo Nuovo nelle promesse messianiche. Un giorno qualunque, un mattino azzurro di settembre in una città toscana, o una sera d’inverno nella neve nella quale cammina scalzo il pellegrino russo: una svolta del cuore e sei già di là, nell’assoluto, come i tram di Majakowski svoltavano nel Socialismo.

L’assoluto, che non è affatto di là, ma è una rivoluzione che nulla rivela e tutto rileva dell’aldiqua, una trasvalutazione di tutti i valori, un vedere il mondo con gli occhi di Dio, e portarne il peso con spalle e braccia d’uomo. Hodiernum tuum, aeternitas. L’eternità è l’oggi di Dio, dunque è qui e ora. Ogni punto del mondo, ogni sua ora è “il punto pullulante dell’origine continua”, come scriveva il poeta cristiano Mario Luzi. In ogni punto del mondo e in ogni istante è in atto la creazione, e la creazione passa tramite noi, i soli capaci di novità. Noi che rompiamo i cicli eterni del cosmo e vi facciamo irrompere la storia. Noi imprenditori d’essere, nel bene e nel male. Noi che “fummo fatti perché ci fosse il nuovo”, perché ogni momento di ogni vita fosse un possibile inizio. Come potrebbe essere attaccata al mito delle radici una religione che ha nel suo cuore oscuro, e però folle di speranza, il concetto di redenzione? Nel bene e nel male, anche ogni momento di risveglio della spiritualità che possiamo dire cristiana sa di liberazione e nuova intelligenza, di rigetto del passato e delle sue catene, “l’uomo vecchio”, e ,addirittura, di annuncio di nuovo millennio. Persino nella più umile e sommessa preghiera del mattino c’è questa sorta di familiarità con la gioia creatrice, il vento che si leva, la nascita dei mondi: “tu fai cieli nuovi e terra nuova…”

Fin dall’inizio della storia che fu poi detta “cristiana”, però, due mali sono entrati nella nostra anima di poveri ossessi che nessuno ancora ha liberato: uno che gira anche senza tonaca nera, il male clericale, l’altro di mano rapace, il male del potere temporale e secolare. Sono le bestie che, nei secoli, hanno assalito e spesso distrutto le due ali dell’anima che anche un analfabeta riconoscerebbe come veramente “cristiana”: la laicità e la gratuità. Nei nostri anni confusi, abbiamo dovuto aspettare un critico caustico e angelico come Marco Travaglio per sentirci dire la sola cosa cristiana che, invano, aspettavamo da monsignori, cardinali e papi a proposito del crocefisso nelle scuole: “Gesù Cristo è un fatto storico e una persona reale, morta ammazzata dopo indicibili torture, pur potendosi agevolmente salvare con qualche parola ambigua, accomodante, politichese, paracula. È, da duemila anni, uno “scandalo” sia per chi crede alla resurrezione, sia per chi si ferma al dato storico della crocifissione. L’immagine vivente di libertà e umanità, di sofferenza e speranza, di resistenza inerme all’ingiustizia, ma, soprattutto, di laicità (“date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”) e gratuità (“Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”)”. Non può essere che opera loro l’immane confusione che ha fuso in un mostro idiota i due sentimenti che solo la loro distinzione rende giusti e compossibili: l’amor di Patria e il sogno di un Iddio. Quanto la fierezza del proprio passato, in quello che ha di buono o di grande, sia una virtù civile e politica, e un pò di senso dell’appartenenza europea, costituiscono l’ultima salvezza possibile per questo sventurato Paese, tanto è un povero e interessato vizio quello di ridurre il soffio dello Spirito all’ossessione delle radici, l’eterno alla storia di una regione del mondo e la renovatio mentis alla superstizione delle reliquie.

Roberta De Monticelli
Professore Ordinario di Filosofi a della persona (Teoretica)
Università Vita-Salute San Raffaele

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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