“Scontro” di civiltà

Se dalla religione ci spostiamo alla cultura, troviamo che la civiltà islamica condivide le stesse basi di quella europea. Anzi, ne è stata in molti aspetti la matrice.

Il Mediterraneo è sempre stato un Mare nostrum. Più nel senso di un condominio che di una proprietà esclusiva, con la sola eccezione, forse, dell’impero romano: il monopolio ebbe termine con la divisione nei due tronconi occidentale ed orientale. Questa divisione si perpetuò nei secoli, con le diverse esperienze storiche e culturali degli imperi Sacro Romano e Bizantino, e con i loro rispettivi successori. Nel Mediterraneo orientale, in particolare, l’impero ottomano fu l’erede sia dell’impero califfale arabo, sia dell’impero di Bisanzio. Agli imperi romani d’Oriente e d’Occidente si aggiunse, nella prima metà del VII secolo, l’Islàm: e i condòmini, almeno quelli principali, passarono da due a tre. Questi si riconoscevano, rispettivamente, nel Cristianesimo romano, in quello bizantino, e nella nuova religione proveniente dalla penisola araba. All’interno di ciascuno dei tre, si svilupparono, inoltre, ulteriori divisioni ed accorpamenti. Anche dal punto di vista religioso le sponde occidentali e settentrionali del Mediterraneo si differenziarono presto da quelle orientali e meridionali: ancora all’interno della comune fede cristiana si palesarono interpretazioni ed obbedienze diverse, presto conflittuali. L’ingresso sulla scena dell’Islàm finì per disegnare il quadro di un’opposizione dall’apparenza irriducibile, le cui alterne vicende hanno determinato l’atteggiamento reciproco dei nostri giorni. Non intendiamo occuparci qui delle vicissitudini politiche, anche se queste hanno certamente influenzato, e continuano a farlo, l’idea che ciascuno si fa dell’altro. È invece sulle due religioni, e sulle due civiltà che ad esse si richiamano, che conviene attirare l’attenzione. Cristianesimo ed Islàm sono due religioni a vocazione universale. Come tali, sono portate ad espandere i confini dei loro fedeli. Questi ultimi, rappresentanti ufficiali -ecclesiastici nel primo caso, dottori della legge nel secondo -, governanti e singoli individui, nella misura della loro fede, sono sempre stati convinti di possedere la chiave della salvezza eterna. Con qualche differenza. Nel caso del Cristianesimo, era diffusa la convinzione che, al di fuori di esso, non ci fosse salvezza: offrire, o anche imporre, la propria religione, costituiva, in fondo, un atto di carità. Dal canto loro, i Musulmani sono profondamente convinti che la loro comunità sia la migliore mai costituita tra gli uomini. Lo dice il Corano, per loro parola di Dio. Essi però ammettono che Cristiani ed Ebrei, ed i fedeli di alcune altre religioni, abbiano ricevuto una rivelazione autentica. La loro religione va perciò rispettata. È tuttavia naturale che considerino la propria come migliore e più giusta. Di conseguenza, sono sempre stati convinti che le comunità di fedeli di queste religioni riconosciute sarebbero vissute meglio sotto la protezione musulmana che non lasciate a loro stesse: di qui lo statuto dei Cristiani, degli Ebrei e di altre confessioni. Essi vivevano nello Stato islamico mantenendo le loro leggi e le loro istituzioni pagando una specifica tassa. I tempi moderni hanno mutato le mentalità ed alterato i rapporti di forza. La Cristianità, nella quale si riconoscevano i vari livelli della società europea medievale, non resse ai cambiamenti che portarono all’età moderna. I principi su cui si fondava cominciarono progressivamente a secolarizzarsi. Sull’altro versante, i principi tradizionali si mantennero molto più a lungo. Oggi, la religione occupa uno spazio comunque maggiore nella vita del Musulmano di quanto accada per il Cristiano. La spinta espansiva si è però fermata comunque, e da tempo. Nel frattempo, c’è stata l’occupazione coloniale, la quale ha imposto i modelli culturali europei, quasi sempre in opposizione non tanto all’Islàm, quanto alla religione in quanto tale, ed alla sua centralità nella vita quotidiana. Benché si possa affermare che presso i Musulmani lo spirito religioso sia di gran lunga più radicato nella quotidianità di quanto non lo sia da noi, anche presso queste comunità esso ha subito le conseguenze di un’acculturazione che, imposta agli inizi, si è poi affermata da sé, sulla spinta delle situazioni economiche, politiche e sociali mutate rispetto a quelle dei secoli passati. Nessuno ritiene possibile tornare indietro nel tempo, nemmeno i fondamentalisti musulmani, tacciati da una pubblicistica sbrigativa e poco informata di voler “tornare al medioevo”. Questi, anzi, considerano dovere religioso dotarsi delle più avanzate acquisizioni della tecnologia, nella misura in cui questa aiuta a rendere l’esistenza migliore sul piano materiale, e se ne avvalgono largamente per imporre ai loro correligionari la loro interpretazione dell’Islàm, ancora tutt’altro che maggioritaria. Esistono certamente tensioni, ed anche molto acute, tra le diverse sponde del Mediterraneo, come ve ne sono anche altrove. Ma nel mondo attuale, nel quale le civiltà tendono ovunque a perdere molte delle loro caratteristiche specifiche, per andare verso una certa omogeneizzazione dei bisogni e delle mentalità, gli scontri che si possono ipotizzare sono conflitti di interessi economici e politici, più che di civiltà. Gli immigrati appartenenti alla religione islamica che si sono trasferiti da noi lo hanno fatto sotto la spinta di bisogni che sono loro risultati più forti della naturale tendenza a restare nel proprio ambiente, in una società ancora abbastanza solidale e considerata, in termini religiosi, la migliore possibile. E sono, nell’assoluta maggioranza, arrivati qui per restare. Trovando lavoro qui, acquisiscono interesse al buon funzionamento di una società dalla quale traggono essi stessi vantaggio e con la quale tendono naturalmente ad identificarsi, se non viene ostacolato il libero manifestarsi della loro religione. Una certa ossessione, fomentata da preoccupazioni di purezza cultural-religiosa, non raramente manifestate da settori il cui fervore religioso è quantomeno da dimostrare, ed il grado di partecipazione a quella civiltà che si proclama voler difendere, finiscono col respingere le numerose possibilità di pacifica convivenza, punto di partenza per una compartecipazione costruttiva. Si contribuisce così a dare corpo a quei fantasmi di cui si paventa il pericolo. L’irriducibilità della civiltà musulmana con quella cristiana, che si vuol basare sulla diversità religiosa, è frutto di una percezione errata, dalla quale non sono esenti reazioni epidermiche di tipo vagamente razzista, alimentate da una diffusa ignoranza. L’Islàm, a differenza delle altre religioni del pianeta, ed insieme ad Ebraismo e Cristianesimo, è una religione monoteista, che si richiama alla fede di Abramo: crede in un Dio unico, creatore e provvidente, che premierà i buoni e castigherà i malvagi, ma la cui misericordia supera il rigore: agli uomini raccomanda di vivere in reciproco rispetto e solidarietà. Come il Cristianesimo, l’Islàm afferma che il bene fatto ad un fratello è come venisse fatto a Dio. Sul piano teologico, afferma, come il Cristianesimo, la verginità della madre di Cristo, al quale riconosce una dignità spirituale elevatissima come Profeta, ma non ne riconosce la divinità, né la morte sulla croce. Su questi temi si è sviluppata una polemica teologica plurisecolare. Se dalla religione in senso stretto ci spostiamo alla civiltà, troviamo che la civiltà islamica condivide le stesse basi culturali di quella europea. Anzi, ne è stata in molti aspetti la matrice: sono stati gli Arabi a raccogliere e conservare le acquisizioni della civiltà greca ed ellenistica nei campi della filosofia, della medicina e delle altre scienze. Tali conoscenze furono poi trasmesse all’Occidente ulteriormente arricchite dell’apporto innovativo dei dotti dell’Islàm. È questa trasmissione di conoscenze tra le sponde del Mediterraneo che ha reso possibile quella che gli storici chiamano la rivoluzione scientifica dell’Europa, avvenuta dal XII secolo fino agli albori dell’età moderna, e, soprattutto nel campo della medicina, anche più in qua. Il gap scientifico-tecnologico che si è prodotto dopo il XVI-XVII secolo, le cui complesse ragioni sarebbe troppo lungo affrontare qui, non autorizza a considerare la mentalità musulmana come incompatibile con qualsiasi progresso scientifico e tecnologico, avendo già nel passato dato prova semmai di esserne promotrice: è infatti un detto attribuito al profeta dell’Islàm ad ordinare di cercare la scienza ovunque la si possa trovare, foss’anche in Cina. Se ne può dedurre che, create le condizioni favorevoli, la compartecipazione degli immigrati di fede musulmana nella nostra società della quale già fanno parte possa essere utile anziché dannosa, avendo cura di eliminare quegli ostacoli che ne impediscono lo sviluppo. Come ovunque, ci sono anche fra di loro esponenti di posizioni estremistiche, esattamente come ci sono state, su base ideologica irriducibile, anche se di segno diverso, nella nostra storia interna recente. Ma, anche in questo caso, la sola via percorribile per neutralizzarne l’azione è quella del loro isolamento da una maggioranza che è anch’essa interessata a condividere il nostro benessere e, quindi, disposta a difenderlo.

Angelo Scarabel
Professore Ordinario di Lingua e Letteratura Araba presso
l’Università di Venezia Ca’ Foscari

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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