Le vittime dell’AIDS

L’epidemia di HIV nasce nell’Africa Sub-Sahariana, ed in questa regione costituisce la prima causa di morte. Da questo territorio, la malattia si è diffusa in ogni area geografica della Terra.

Oggi, nel mondo ci sono 33,2 milioni di persone sieropositive. Ogni anno, quasi 80.000 persone contraggono il virus, e circa 25.000 muoiono di AIDS (Sindrome da Immunodeficienza Acquisita). Negli Stati Uniti, l’AIDS è la seconda causa di morte fra i giovani, subito dopo gli incidenti stradali. Diversamente da altre patologie, quali il cancro e le malattie cardiache, l’AIDS colpisce prevalentemente bambini e ragazzi. Questi da neoanati possono essere infettati durante la gravidanza, in occasione del parto o nel periodo dell’allattamento. Nella giovane età il contagio avviene per l’utilizzo di droghe o nei rapporti sessuali non protetti. I bambini sieropositivi di età inferiore ai 15 anni sono 2,1 milioni e ogni giorno, altri 1.500 vengono infettati. Il 90% di essi vive nell’Africa Sub-Sahariana.

La tragedia è provocata dall’impossibilità di accedere a cure adeguate. Nel 2006 soltanto il 23% delle donne incinte ha avuto accesso a profilassi antiretrovirale per prevenire la trasmissione del virus dell’HIV da madre a figlio e non più del 10% dei ragazzi sieropositivi ha potuto beneficiare della terapia adeguata. Il risultato di tutto questo è la prevalenza di decessi da AIDS in persone al di sotto dei 25 anni. Nei Paesi occidentali, dotati di elevato reddito pro-capite, si è riusciti a contenere l’epidemia grazie all’efficienza dei servizi di monitoraggio e prevenzione ma soprattutto alla possibilità di utilizzare la terapia antiretrovirale resa disponibile dai progressi della ricerca farmaceutica e dai sistemi sanitari statali.

Ultimamente, la situazione sta migliorando anche in alcuni Paesi asiatici, soprattutto Cina e India, ed anche in alcune Nazioni dell’Africa, quali Nigeria, Mozambico, Zimbabwe e Kenia. Qui la popolazione comincia ad accedere a cure e prevenzione adeguate. Per questo motivo, le statistiche sulle nuove infezioni e sui decessi da AIDS risultano, negli ultimi anni, in leggero miglioramento. Ma è necessario che anche i bambini che abitano in zone tribali e remote possano accedere ai test e ai farmaci antivirali. Bisogna inoltre formare ed educare medici, paramedici, insegnanti, volontari, funzionari pubblici e capi villaggio. Impresa molto difficile. In questi Paesi, spesso, l’HIV non viene considerato perché sussistono altre priorità sanitarie: il 25% della popolazione vive sotto la soglia di povertà e due milioni e mezzo di bambini muoiono ogni anno per denutrizione, polmonite o diarrea.

Ma negli ultimi anni, grazie ai servizi erogati dalle Organizzazioni Non Governative internazionali, in diversi Paesi in via di sviluppo si è potuto effettuare il test per l’HIV ai bambini entro i primi due mesi di vita. Nel 2008, hanno ricevuto i farmaci antiretrovirali il 45% delle donne incinte sieropositive ed il 38% de bambini sieropositivi. Come previsto dalle linee-guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), per i bambini esposti al rischio di contagio da HIV è stata impostata la terapia a base di cotrimoxazolo entro i primi due mesi di vita in una percentuale doppia rispetto agli anni passati. Le Nazioni della Terra hanno deciso che uno dei traguardi principali degli “Obiettivi di Sviluppo del Millennio” è quello di combattere l’AIDS. È quindi un impegno inderogabile quello di evitare che questa epidemia possa ulteriormente lacerare il tessuto sociale, culturale ed economico di popoli già provati, vittime dei Paesi industrializzati. Vittime del nostro benessere.

Di Massimiliano Fanni Canelles

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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