Farmaci orfani

Da dieci anni vige in Europa una legge che ha cercato di incentivare lo sviluppo di farmaci per malattie rare; in tutti questi anni sono stati approvati solo 45 prodotti, mentre ne sarebbero necessari molte migliaia.

garattiniL’evangelico “gli ultimi saranno i primi” apparentemente non vale per la medicina. I dieci milioni di ammalati europei portatori di oltre 6000 malattie rare non ricevono l’attenzione che per ragioni di equità dovrebbero avere. Sono ammalati come tutti gli altri, ma hanno il torto di essere in pochi, ognuno ammalato di una delle tante malattie rare. Queste non dipendono, come molte malattie comuni, da “cattive abitudini di vita”, ma da cause quasi sempre sconosciute, anche se prevalentemente riconducibili a cause genetiche. Dovrebbero essere privilegiati, non solo per questa ragione, ma per il fatto che spesso hanno sopportato, con le loro famiglie – si tratta spesso di bambini – pellegrinaggi in giro per il mondo alla ricerca di un responso. Quand’anche quest’ultima venga fatta, alla diagnosi si accompagna una grande delusione. Infatti, alla diagnosi quasi mai corrisponde la disponibilità di una terapia. Di solito, questi pazienti non si lasciano prendere dalla disperazione, né attendono l’aiuto dello Stato: si danno da fare, costituiscono associazioni, comitati, fondazioni per far conoscere la loro malattia, difendere i loro diritti ed attingere alla loro unica speranza, quella che la ricerca fornisca un possibile rimedio terapeutico. La risposta della società è molto scarsa. Anche in medicina valgono le leggi del mercato: se non si possono ottenere profitti, non si investono risorse. Realizzare un farmaco non è un processo semplice. Bisogna, dapprima, avere una buona idea. Ma l’idea nasce dalla comprensione della malattia. Un problema non facile, perché i pazienti sono pochi anche se le attuali conquiste della genomica e della proteinomica permettono per lo meno di formulare ipotesi. Ma quando l’ipotesi è formulata – manca un gene, esiste una mutazione, un enzima non funziona o funziona troppo – bisogna sintetizzare una serie di sostanze chimiche per trovare quella che eserciti l’effetto desiderato.

Ciò non è facile, perché spesso mancano i modelli animali su cui effettuare i test e allora bisogna prima produrre il modello. Una volta avuta la prova che il prodotto è promettente, bisogna passare attraverso una serie di prove per essere sicuri che il farmaco non danneggi qualche organo, che sia ben tollerato. Bisogna poi sapere come si distribuisce nell’organismo, quanto tempo rimane in circolazione, quali metaboliti si formano; tutte nozioni importanti per affrontare la sfida del primo paziente. Ma per iniziare questa sfida, occorre inserire il principio attivo in un prodotto farmaceutico, per essere sicuri che sia stabile nel tempo, venga assorbito e che risponda alle regole della “buona pratica”. Arrivati alla clinica, e anche prima, bisogna spesso ricominciare da capo, perché il farmaco è poco attivo o mostra forme di tossicità difficili da cogliere negli animali d’esperimento. Per realizzare questo difficile percorso non basta l’entusiasmo del ricercatore, sono necessarie grandi risorse economiche. L’industria farmaceutica può occuparsene, a volte perché scopre per caso l’utilità di un prodotto studiato per altre ragioni, altre per motivi di immagine o di prestigio. Ma si tratta di casi sporadici. Da dieci anni vige in Europa una legge che ha cercato di incentivare lo sviluppo di farmaci per malattie rare; in tutti questi anni sono stati approvati solo 45 prodotti, mentre ne sarebbero necessarie molte migliaia. Un’analisi accurata di questi prodotti – come quella condotta dall’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri – mostra che non tutti possiedono una reale attività terapeutica. Molti agiscono sui parametri biochimici per cui sono stati sviluppati, ma solo pochi hanno dimostrato di influenzare il decorso della malattia, migliorando le possibilità di movimento, di relazione o qualità di vita. Si ha l’impressione che non vi sia nella ricerca di questi farmaci – si chiamano appunto farmaci orfani – il rigore che si applica allo studio dei farmaci per malattie più comuni. Spesso, i pazienti con malattie rare sono considerati pazienti di serie B, cui bisogna mettere a disposizione qualcosa indipendentemente dalla sua reale efficacia

Per contro, questi farmaci hanno prezzi esorbitanti, nell’ordine di decine di migliaia di euro per anno di trattamento. Se questa è la situazione, che cosa si può fare? Dobbiamo intanto prendere coscienza che non si può continuare in questo modo, perché gli affetti da malattie rare devono essere tutelati. È anche sicuro che non si può fare affidamento sull’industria farmaceutica, perché la sua missione è fare profitto. D’altra parte, non si può nemmeno procedere senza l’industria perché, è oggi la sola depositaria di tutto il know-how necessario per passare da un’idea ad un prodotto somministrabile ai pazienti. Allora bisogna pensare ad una nuova forma di imprenditorialità, alimentata da danaro pubblico, che raccolga la collaborazione di enti di ricerca, università, ospedali, charities e la stessa industria. Tutti insieme, uniti in un consorzio non-profit, dovrebbero ricercare farmaci per le malattie rare. Se ogni stato decidesse di realizzare almeno una di queste imprese, se si distribuisse il lavoro fra i vari stati, se l’Europa fosse in grado di coordinare l’impegno di tutti, forse si potrebbe raggiungere lo scopo di sviluppare più farmaci orfani di quanti non se ne realizzino oggi. Nessuno può ovviamente assicurare il successo dell’iniziativa, ma se non si fa ricerca è difficile fare progressi. Vogliamo provarci?

Silvio Garattini
Fondatore e direttore dell’Istituto di ricerca farmacologica ”Mario Negri” di Milano,
Componente del Consiglio Superiore di Sanità e Membro del Comitato Nazionale di Bioetica

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

Rispondi