L’eccezionale crescita del credito e del leverage nel sistema finanziario USA è durata fino all’estate 2007. Nel lungo periodo precedente di condizioni economiche e finanziarie favorevoli, si è determinato un aumento della propensione al rischio degli imprenditori e degli investitori. Il mercato delle cartolarizzazioni dei crediti si è espanso notevolmente, sviluppando un modello di intermediazione bancaria non più “originate and hold” ma “originate to distribute”. Il sistema finanziario ha così aumentato la propria dipendenza dagli standard di sottoscrizione degli originators e dal comportamento delle agenzie di rating. Nell’estate 2007, sono emerse delle turbolenze finanziarie dovute alle preoccupazioni destate dalle perdite rilevanti sui prestiti ipotecari subprime. Gli intermediari hanno dovuto ridurre la leva finanziaria e aumentare la richiesta di attività liquide. Il moltiplicatore bancario ha cominciato a funzionare in senso inverso. Il conseguente aumento delle inquietudini sul rischio di controparte ha creato forti pressioni sui mercati interbancari. I rendimenti dei titoli delle economie avanzate sono diminuiti anche per il timore di un indebolimento della crescita economica. Un problema dapprima circoscritto allo specifico settore USA si è esteso ad altri settori fino a coinvolgere l’intero sistema finanziario mondiale. Come detto, la situazione di credito facile è stata determinata da una politica di bassi tassi d’interesse del dollaro, ben inferiori ai tassi di svalutazione reale di una moneta, non legata peraltro ad alcuno specifico valore intrinseco (come lo era fino al 1973). Le turbolenze finanziarie si sono trasmesse in tutti i mercati dove opera la speculazione per poi raggiungere ogni comparto dell’economia. È apparso chiaro che, in una situazione di tale gravità, non era possibile ricorrere a ricette liberistiche, che avrebbero compromesso l’intero settore finanziario. I paesi del G7, nella loro riunione del 10 aprile scorso, hanno deciso di:
• far emergere comunque sui bilanci bancari le perdite subite, (correggendo però i principi di valutazione al fair value non applicabili in un periodo di straordinarietà come l’attuale);
• Lasciar fallire o nazionalizzare le banche più esposte;
• Fornire, a carico dello stato, la liquidità pubblica necessaria a coprire le vistose perdite sui crediti subite dalle banche e/o dare al comparto le garanzie necessarie per riprendere la normale attività finanziaria.
In ottobre i G7 hanno deciso una politica d’interventi comuni. Gli effetti inflattivi, inizialmente derivati dalle iniezioni di liquidità aggiuntiva, sono stati ridotti dalla riduzione dell’attività bancaria e dal calo della domanda, in nesso con le peggiorate aspettative economiche. La minaccia di una situazione di deflazione non appare oggi tanto irreale, in quanto la riduzione della liquidità, innescata dalle perdite, riduce in maniera più che proporzionale gli effetti del moltiplicatore bancario. La crisi finanziaria sopra illustrata ha cominciato presto ad interessare anche i mercati dei cambi e delle merci.
Dr. Ezio Romanò