A scuola di sicurezza

I futuri lavoratori dovrebbero essere educati fin dai banchi di scuola ad assumere comportamenti sicuri in ogni ambito di interazione quotidiana. I principi fondamentali in tema di salute e sicurezza dovrebbero essere trasmessi  con la stessa forza e convinzione delle altre materie

A  seguito dei numerosi incidenti sul lavoro e delle recenti morti bianche che hanno messo a lutto il mondo del lavoro italiano, risuona oggi come attualissimo il tema della salute e della sicurezza dei lavoratori sul posto di lavoro. La Medicina del Lavoro ha da sempre mantenuto viva l’attenzione su questi temi, contribuendo a ridurre sensibilmente il numero di infortuni e morti sul lavoro (negli anni Sessanta i morti erano più di tremila, mentre lo scorso anno sono stati “solo” 1302) e a ridurre anche il numero di malattie professionali. Ma non possiamo assolutamente ritenerci soddisfatti della situazione italiana. Il numero di “malati per lavoro” e di morti sul posto di lavoro è ancora inaccettabile all’interno della nostra realtà e fanno capire come, ormai, quello della sicurezza sul lavoro non sia più un problema di norme e di legislazione. Nonostante l’importanza (e l’attesa speranzosa) del nuovo Testo Unico in materia di salute e sicurezza, non possiamo aspettarci un automatico miglioramento della situazione attraverso il (sia pur necessario) aggiornamento del quadro normativo. Nel nostro Paese, infatti, manca del tutto la cultura della sicurezza e della prevenzione della salute dei lavoratori, così come siamo debolissimi in tema di comunicazione e formazione. Gli eventi tragici degli ultimi mesi confermano, se non aggravano, questa nostra preoccupazione. La promozione della cultura della sicurezza e della salute è un messaggio forte già contenuto nelle indicazioni del futuro Testo Unico. Ma è necessario insistere in questa direzione, cercando di potenziare i mezzi e gli strumenti per diffondere in modo capillare la sensibilità verso il lavoro in sicurezza. Oggi sono quanto mai necessarie iniziative a 360° per aumentare in modo sistematico e sistemico il livello di vigilanza nei posti di lavoro e per diffondere nella nostra società tutta, non solo nei singoli posti di lavoro, la cultura della prevenzione e della sicurezza, che non deve più essere chiamata in causa (spesso in modo allarmista e manipolativo da parte dei mass media) solo in occasione di singoli eventi, incidenti, infortuni. Un obiettivo prioritario dovrebbe essere la diffusione di una solida “istruzione alla sicurezza”, intesa come inderogabile corpus di conoscenze di base che precedono anche la formazione professionale. E ciò si potrebbe realizzare a partire dall’educazione scolastica e universitaria: i futuri lavoratori dovrebbero essere educati fin dai banchi di scuola ad assumere comportamenti sicuri in ogni ambito di interazione quotidiana. I principi fondamentali in tema di salute e sicurezza dovrebbero essere trasmessi con la stessa forza e convinzione delle altre materie curriculari

 Ancora, l’educazione dovrebbe continuare poi nei vari percorsi formativi universitari, che attualmente presentano fortissime e non più tollerabili lacune: si pensi al paradosso rappresentato dai corsi di laurea (ingegneria o architettura) che non prevedono, nel piano di studi, specifici contributi sugli aspetti tecnici e normativi della sicurezza.  Un passo successivo è rappresentato senza dubbio dalla formazione professionale, oggi già contemplata come obbligo di legge dalla normativa vigente. Le varie figure chiamate in causa nel sistema della gestione e prevenzione della salute e sicurezza sul lavoro (datori di lavoro, medici, RSPP, RLS, lavoratori stessi) sono obbligate, infatti, ad erogare e/o frequentare momenti di aggiornamento professionale rispetto ai rischi presentati dal processo lavorativo e dall’organizzazione del lavoro. Il problema odierno è che la formazione ancora oggi si vive prevalentemente come un obbligo formale, un adempimento di legge, quando non addirittura “una perdita di tempo”. E qui la sfida per tutti noi è quella di strutturare momenti formativi coinvolgenti, che siano vissuti con partecipazione e che attivino un circuito virtuoso di responsabilizzazione da parte dei lavoratori. La formazione, in altre parole, deve arricchirsi di contenuti validi e utili e di modalità e strumenti sempre più interattivi. Il problema della cultura della sicurezza non è però solo un problema di contenuto. È chiamata in campo anche la capacità di comunicare l’importanza e l’inderogabilità del lavoro in sicurezza. Possiamo dire che oggi sono per lo più i mezzi di comunicazione di massa a decidere come, quando e in che termini si debba parlare di sicurezza e salute sul lavoro. E non è detto che lo facciano inquadrando correttamente i termini della questione. Chi si occupa della gestione e della prevenzione della salute e sicurezza sul lavoro (medici del lavoro, responsabili del servizio prevenzione e protezione, ma anche rappresentati dei lavoratori per la sicurezza, datori di lavoro, ecc) si dovrebbe quindi esercitare e, perchè no, abituare a comunicare in modo chiaro, competente e sistematico con i lavoratori. O meglio, a confrontarsi con l’opinione pubblica, sempre nell’ottica della diffusione della cultura e della sensibilità alla sicurezza. La comunicazione non va confusa con la mera diffusione di informazione: dovrebbe prevedere infatti l’interazione con i lavoratori e lavoratrici, con gli studenti/esse, con i cittadini/e. Oltre a parlare “con”, bisognerebbe imparare ad ascoltare e a raccogliere i feedback, le osservazioni, le indicazioni di chi lavora quotidianamente nelle nostre aziende e nelle nostre amministrazioni, perché queste voci ci riportano la conoscenza diretta e insopprimibile di come effettivamente vengono svolte le attività lavorative in Italia (spesso in deroga alla legge e alle disposizioni).

Un altro punto da toccare è il costo della sicurezza e dei processi di controllo. Lavorare in sicurezza è costoso: non tutte le realtà lavorative riescono a sostenere tale onere. Non va dimenticato infatti che in Italia il tessuto produttivo è frammentato ed è costituito principalmente da piccole aziende che mal sopportano i costi delle norme in fatto di prevenzione e sicurezza. Ragionare in ottica di cultura della sicurezza significa anche valutare la possibilità di individuare dei centri pubblici (ASL, ISPESL, Università, INAIL) in grado di fornire servizi e consulenza in materia di tutela salute e della sicurezza, attraverso percorsi economico gestionali facilitati, che consentano al piccolo datore di lavoro di interfacciarsi efficacemente con il sistema pubblico della prevenzione.  In più, sempre in Italia, assistiamo ad una progressiva frammentazione dei processi produttivi (esternalizzazioni, appalti,…) e del mercato del lavoro (precari, immigrati, stagionali) che impediscono un controllo efficace delle condizioni di sicurezza e di salute di tutti i lavoratori e fanno si che esistano “sacche” di lavoratori completamente esclusi dal processo di prevenzione, protezione e gestione della salute e sicurezza sul lavoro. I medici del lavoro hanno una visione privilegiata di ciò che accade: da un lato, possono certamente confermare che negli anni le leggi hanno avuto ottimi risultati nel far diminuire drasticamente gli incidenti e le malattie professionali tradizionali (soprattutto nelle grandi aziende), dall’altro però possono anche confermare il rischio della situazione attuale rappresentato dal “lavoratore invisibile” (tema affrontato peraltro più volte anche dal Ministro Damiano). Per tutti questi motivi sarebbero davvero auspicabili interventi congiunti sulla prevenzione, sulla formazione e sull’organizzazione del lavoro, volti ad incrementare e diffondere la cultura della sicurezza e non più la tendenza all’adempimento formale (peraltro volto ad evitare le sanzioni previste dalla legge). Lo sviluppo di una cultura della sicurezza sta alla base di qualsiasi legge, a prescindere dalla quantità dei controlli che vengono effettuati. Il valore del lavoro deve tornare a essere un tema centrale nel nostro dibattito: la tutela dell’integrità psicofisica dei lavoratori deve divenire una priorità inderogabile su cui tutti abbiamo una parte di responsabilità.

prof. Andrea Magrini, dott.ssa Lucilla Livigni
Cattedra medicina del lavoro – università degli studi di roma tor vergata
www.medlav.uniroma2.it

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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