Bestie nere di ieri, oggi e domani

C’è la convinzione che gli immigrati abbiano una tendenza per percorsi di delinquenza e devianza. Da un lato si pensa ai clandestini, dall’altro a persone di specifica nazionalità. Oggi è la volta dei rumeni ma, sino a qualche tempo fa, a far paura erano gli albanesi

Una questione rilevante da porsi riguarda il nesso tra un fenomeno e la percezioni di esso. A determinare le modalità di questo nesso concorrono diversi fattori: da predisposizioni mentali a una certa lettura del fenomeno, a caratteristiche intrinseche del fenomeno stesso, riguardanti ad esempio la maggiore o minore visibilità di alcune sue dimensioni, al modo in cui il fenomeno stesso è visto o rappresentato da opinionisti, persone con responsabilità politiche e istituzionali e, ora in primo luogo, dagli organi di comunicazione di massa. Va infine considerato anche il contributo che gli studiosi possono dare per la conoscenza migliore del fenomeno e per contrastare i pregiudizi eventuali che si sono andati consolidando attorno ad esso. Ma in questo caso la bontà dei risultati della ricerca può valere quanto, se non meno, della sua capacità di impatto mediatico. Scendendo a un livello di generalizzazione più basso si può portare avanti questo ragionamento con riferimento all’immigrazione e alla convinzione – piuttosto diffusa nella opinione pubblica – della tendenza degli immigrati, in particolare di alcuni settori di essi, a imboccare percorsi di delinquenza o quanto meno di devianza. I settori ai quali si fa solitamente riferimento sono da una parte gli immigrati in condizione di clandestinità, dall’altra gli immigrati appartenenti a una specifica nazionalità: attualmente i rumeni. Ma – come sanno coloro che osservano il fenomeno da un po’ di tempo – una volta ‘la bestia nera’ erano gli albanesi. La ricerca in materia già da tempo ha messo in evidenza come l’allarme sulla presenza e sul ruolo degli albanesi nel nostro paese fosse tutt’altro che giustificato, sia per quel che attiene alla problematica della presunta invasione – della quale, per incidens, nessuno parla più ora – soprattutto in Puglia, sia per quanto riguarda la loro presunta tendenza alla delinquenza. Eppure gli articoli e i libri che hanno teso a dare una corretta rappresentazione del fenomeno e, conseguentemente, a smentire il pregiudizio nei confronti degli immigrati albanesi (e degli immigrati in generale) hanno avuto un impatto positivo ben minore di quello che ha avuto un libro divulgativo come quello di Gian Antonio Stella, L’orda: quando gli Albanesi eravamo noi. Si tratta di un libro centrato sulla realtà dell’emigrazione italiana storica, che sottolinea la rappresentazione negativa e la percezione distorta nei paesi di immigrazione di quella esperienza migratoria e la diffusione di atteggiamenti simili a quelli diffusi nei confronti degli immigrati albanesi in Italia con la convinzione di una loro tendenza alla devianza e alla criminalità.

 L’impatto mediatico di questo libro – e particolarmente del messaggio contenuto nel titolo – è stato positivo e ha decisamente contribuito a ridurre l’atteggiamento di prevenzione – proprio per quel che attiene alla problematica della sicurezza – di una parte dell’opinione pubblica italiana nei confronti dell’immigrazione. Purtroppo si ha l’impressione che questo evento rappresenti un’eccezione nel panorama della produzione giornalistica e televisiva in materia. In generale infatti i media tendono a presentare gli aspetti più eclatanti del fenomeno dell’immigrazione con un effetto di confusione sull’opinione pubblica. Questo riguarda l’aumento della insicurezza non solo per la sovrarappresentazione della tematica della devianza, ma anche e soprattutto della tematica dell’invasione. Si pensi ad esempio all’innumerevole serie di servizi televisivi dedicati agli sbarchi di clandestini provenienti dalle coste dell’Africa. Si tratta ogni anno di migliaia di persone, mentre la stragrande maggioranza degli immigrati – decine e centinaia di migliaia – arrivano ad esempio a Roma al piazzale della stazione Tiburtina senza che alcuna équipe televisiva stia ad attenderli. Ma – come si diceva – tra gli aspetti più sottolineati (spesso in modo eclatante) c’è appunto quello della sicurezza (anzi della insicurezza) collegato all’aumento presunto della criminalità. E a proposito di criminalità, proprio del nesso tra realtà, percezione e ruolo dei media si è parlato di recente anche a livello istituzionale, con implicazioni molto interessanti per quanto riguarda anche l’autonomia e la libertà di stampa che comunque è un bene fondamentale. Il problema che si è posto il Presidente della Commissione Affari Costituzionali della Camera, on. Luciano Violante, in una riunione con rappresentanti istituzionali a diversi livelli, riguarda la domanda sul come mai, a fronte di una riduzione del livello di criminalità nel nostro paese, aumenta la percezione di insicurezza. Evidentemente ci deve essere stata una sovrarappresentazione del fenomeno della criminalità che ha inciso sulla percezione della gente e conseguentemente sull’aumento della insicurezza. E di questo sono vittime soprattutto gli immigrati. In effetti si può essere d’accordo con chi denuncia l’esistenza di tre “S” che dominano i notiziari televisivi italiani (sesso soldi e sangue) e notare come due di queste riguardano la lettura della realtà dell’immigrazione: la prima, il sesso, le immigrate con la fissazione sulla questione della prostituzione; la seconda tutti gli uomini, in particolare gli ultimi arrivati (ed è il caso appunto dei rumeni). Con questo non si vuole affatto sostenere che il problema della sicurezza “non esiste”, solo che l’ossessivo collegamento tra la questione della sicurezza e la questione della immigrazione, oppure lo spazio dedicato con estrema enfasi a fatti di cronaca – anche gravi – dai media o dalle stesse istituzioni (senza considerazione di quanto il fenomeno sia rappresentativo della realtà della immigrazione delle persone appartenenti alla nazionalità interessata) finiscono per aver un effetto estremamente negativo sull’opinione pubblica e sull’atteggiamento nei confronti degli immigrati.

La principale questione da affrontare, riguardo il rapporto realtà-percezione, è proprio quella della rilevanza di un singolo fenomeno criminoso rispetto alla generale realtà della immigrazione. Ed è di questo ad esempio che parla Paolo Ferrero in un interessante libro intervista dal titolo “Fa più rumore l’albero che cade che la foresta che cresce”. L’albero che cade si riferisce a fatti come quello del quale fu vittima nei mesi scorsi una donna uccisa brutalmente da un disgraziato, un immigrato rumeno, poi arrestato grazie alla collaborazione di una donna anch’essa rumena. La foresta che cresce senza far rumore è invece ad esempio la presenza crescente di immigrati rumeni (membri dell’Unione Europea come noi) impegnati in una vasta gamma di lavori, contribuendo al benessere proprio e dell’Italia. Si tratta di un numero di persone considerevole ed in costante aumento, che ha portato questa nazionalità laboriosa e flessibile a collocarsi al primo posto tra gli immigrati in Italia. Ma non si può non sottolineare il carattere selettivo dell’attenzione dei media, degli opinionisti e delle stesse istituzioni. Pochi giorni dopo l’assassinio di una persona italiana da parte di un rumeno ebbe luogo un altro fatto di sangue che ha visto vittima una bimba rumena e i carnefici italiani. L’attenzione sul fatto fu minima, praticamente inesistente, se non per rare eccezioni. Il risultato è che nell’opinione pubblica italiana è cresciuto un grave senso di insicurezza legato alla presenza dei rumeni, mentre non c’è stata alcuna seria considerazione per le difficoltà di vita e l’insicurezza della quale costoro sono vittime. Dopo qualche settimana dall’episodio (e dall’allarme creato) la grande stampa e in generale i media hanno ridotto la loro insistenza sulla questione della criminalità e della devianza di quei nuovi cittadini europei, scoprendo anche le discriminazioni nei loro confronti, i loro problemi, le loro difficoltà, che ora sono accresciute dalla ossessione della sicurezza che li vede come pericolo principale. Per concludere, va ancora detto che, dove i problemi di criminalità, devianza e conseguente mancanza di sicurezza si pongono effettivamente, bisognerebbe agire su un duplice percorso: quello della repressione (rispettando le leggi dello Stato e le convenzioni internazionali) e quello della prevenzione. Perché quest’ultimo poi sia efficiente è necessario un serio impegno sul piano delle politiche sociali che eviti che tra gli immigrati (soprattutto i giovani) imbocchino percorsi di devianza. E per far ciò è assolutamente essenziale un intervento volto a favorire al massimo l’inserimento scolastico dei figli degli immigrati: inserimento che nel nostro paese è obbligatorio per tutti (compresi i figli di immigrati illegali), grazie alle convenzioni internazionali sottoscritte dall’Italia. Limitare l’accesso alla scuola di questi bambini significherebbe spingerli necessariamente nei canali della devianza e operare in prospettiva una riduzione della sicurezza e non solo di quella percepita.

Enrico Pugliese
Professore ordinario di Sociologia,
Università di Napoli “Federico II”
Direttore irpps-cnr (Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali
consiglio nazionale delle ricerche)

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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