Il dovere di proteggere, il diritto d’amare

Gli impedimenti momentanei normalmente si risolvono in affidi in ambito parentale a iniziativa degli stessi genitori. Se ci sono, invece, difficoltà conseguenti a carenze più profonde, che determinano il sostanziale abbandono del minore, entra in gioco l’affido eterofamiliare

Ogni bambino ha diritto di vivere e crescere nel miglior ambiente possibile. Un ambiente idoneo a tutelare il suo massimo interesse al sano sviluppo psico-fisico. Il che, normalmente, dovrebbe essere assicurato dai genitori, dei quali è preciso dovere creare e mantenere l’habitat fisico ed emotivo più adeguato ai figli. Possono, tuttavia, verificarsi situazioni che rendono, anche solo temporaneamente, la famiglia inidonea alla crescita dei minori, a tal punto da richiedere l’allontanamento dei figli dal nucleo familiare. Proprio per questa ragione è nato, circa un secolo fa, l’istituto dell’affido familiare che ha subito, nel corso del tempo, una profonda evoluzione, con il preciso scopo di tutelare nel modo più ampio e completo il benessere dei minori a disagio nel nucleo di appartenenza. Nel 1926 è stata istituita l’Opera Nazionale per la protezione della maternità e dell’infanzia (R.D. 178/1926) che stabiliva l’inserimento degli infradodicenni bisognosi in famiglie rurali, cercando di non separare i fratelli. Poco più tardi è arrivato l’”Ordinamento del servizio di assistenza dei fanciulli illegittimi, abbandonati o esposti all’abbandono” (R.D.L. 798/1927) che, tra le altre cose, prevedeva, da un lato, misure a tutela di bambini maggiori di tre anni, figli di madri non in grado di mantenerli e, dall’altro, l’affidamento degli adolescenti a famiglie di artigiani, per imparare un lavoro utile a provvedere ai loro bisogni economici. Nel 1934 (con R.D. n. 1265) è poi stato istituito il c.d. “affido a baliatico”, che doveva essere autorizzato da ogni Sindaco per il nutrimento dei neonati bisognosi all’interno del Comune di appartenenza. Si è quindi arrivati al panorama attuale, disciplinato dapprima nel codice civile e poi dalla legge di riforma del diritto di famiglia (n. 151/75) e dalla legge n. 184/83 (prima denominata “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori” e ora “Diritto del minore ad una famiglia”). Queste norme hanno, via via, cercato di eliminare l’istituzionalizzazione del minore, a favore dell’inserimento in un ambiente familiare, più adeguato a rispettare le esigenze affettive ed educative dei bambini.

In concreto, oggi, in considerazione del fatto che le difficoltà genitoriali possono essere profondamente diverse, diversi sono anche i tipi di affidamento previsti. Infatti, gli impedimenti momentanei normalmente si risolvono in affidi nello stesso ambito parentale, a iniziativa dei genitori; se ci sono, invece, difficoltà conseguenti a più profonde carenze dei genitori (ma non di natura economica) che determinano il sostanziale abbandono del minore, entra in gioco l’affido eterofamiliare. Dopo avere infruttuosamente messo in atto tutte le opportune misure previste a sostegno delle famiglie in difficoltà, gli assistenti sociali e il Tribunale per i Minorenni possono stabilire di ricorrere al rimedio dell’affidamento eterofamiliare, cioè nell’inserimento del minore, temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, in una famiglia diversa da quella di origine e in grado di assicurargli il mantenimento, l’educazione, l’istruzione e le relazioni affettive di cui ha bisogno. La disciplina di questo istituto si trova nella legge numero 184/83, così come modificata (“Diritto del minore a una famiglia”), che, all’articolo 2, insegna che: “Il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, nonostante gli interventi di sostegno e aiuto disposti ai sensi dell’articolo 1, è affidato ad una famiglia, preferibilmente con figli minori, o ad una persona singola, in grado di assicurargli il mantenimento, l’educazione, l’istruzione e le relazioni affettive di cui egli ha bisogno”. Gli affidatari devono garantire la conservazione e la continuità dei rapporti del minore con il suo nucleo familiare d’origine in vista del suo futuro rientro e, fino a quel momento, sono tenuti a provvedere, in vece dei genitori, alla cura, al mantenimento e all’educazione del minore, avendo l’esercizio (non la titolarità) della potestà genitoriale. In concreto, si devono, per esempio, occupare dei rapporti con la scuola e con i medici, oltre che del soddisfacimento di tutte le esigenze materiali del bambino che hanno accolto e possono godere di tutte le agevolazioni normalmente previste per i genitori quali, per esempio, l’astensione dal lavoro in caso di malattia del minore, la percezione degli assegni familiari e gli sgravi fiscali per il minore “a carico”.

In ogni caso, nell’esercizio delle loro funzioni, gli affidatari sono tenuti a rispettare le indicazioni fornite sia dal giudice che ha disposto l’affidamento, sia dai genitori biologici, purché non decaduti o sospesi dalla potestà parentale. L’affidamento – normalmente di durata non superiore ai due anni, ma prorogabile se ritenuto rispondente all’interesse del minore – viene, infine, revocato quando cessano le cause che lo avevano reso necessario o quando diviene contrario e non più rispondente all’interesse del minore. Oppure se il minore è stato definitivamente abbandonato dalla propria famiglia o il rapporto genitoriale è giudicato irrecuperabile e irreparabile, può esistere l’ipotesi dell’adozione del minore da parte degli affidatari. La legge prevede, inoltre, che solo quando non è possibile l’affidamento familiare è consentito l’inserimento del minore in una comunità di tipo familiare o (purché il minore abbia già compiuto i sei anni) in un istituto di accoglienza. A quest’ultimo proposito, è bene sapere che la legge 149/2001 ha disposto che il ricovero in istituto (in considerazione degli eventuali effetti negativi sull’equilibrio psico-affettivo del bambino) non è più possibile dal 31 dicembre 2006, dovendo disporsi solo l’affidamento ad altra famiglia oppure, in subordine, in una comunità di tipo familiare. In conclusione, l’affidamento eterofamiliare è funzionale a impedire – attraverso il contestuale recupero della famiglia d’origine, affinché sia nuovamente capace di assolvere in pieno la sua funzione e purché ciò sia davvero possibile – l’intempestiva pronuncia di adottabilità. Per tale ragione è fondamentale anche il ruolo dei Servizi Sociali, che, nel periodo dell’affidamento, si devono operare attivamente per il compiuto “risanamento” della famiglia d’origine. E, a differenza dell’adozione che a volte soddisfa l’esigenza degli adottanti di essere genitori, è un difficile gesto d’amore totale e disinteressato. Gravido di responsabilità e di rinunce personali di chi è così altruista da accettare, il più delle volte, di essere genitore “a tempo determinato”. Nel solo ed esclusivo interesse di bambini a cui dedicano non solo attenzioni materiali, ma anche e soprattutto attenzioni affettive. Nel silenzio della volontà del cuore e nell’attesa di un’inevitabile separazione. Fino a quando (e se) i genitori “veri” non saranno di nuovo in grado di esserlo.

Anna Maria Bernardini de Pace
Avvocato divorzista, giornalista e scrittrice

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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