Davanti ad un programma televisivo o ad un telegiornale un minore mette in ato processi psicologici che lo inducono a sopravalutare l’impatto. Bisogna spiegare ai ragazzi che non sempre si muore in un incidente stradale, ma che se si sopravvive si finisce spesso su una sedia a rotelle, magari alimentati da un sondino, magari senza più essere in grado di parlare, magari sbavando dalla bocca.
Nella mia doppia anima di psicologa e di giornalista, mi sento particolarmente toccata da questo tema così urgente e scottante.
Da una parte –come appartenente alla categoria dei giornalisti- riconosco e anzi sottolineo il diritto/dovere di informare e comunicare attraverso i molteplici strumenti che si hanno a disposizione (stampa, tv, websites, blogs…); dall’altra parte –come appartenente al mondo della psicologia- riconosco e sottolineo l’impegno a sostenere e supportare l’individuo, specie se minorenne, in un percorso di crescita, di evoluzione e di apertura guidata verso le complessità del mondo.
Informare e supportare sono compiti certo conciliabili, ma necessariamente orientati verso accentuazioni diverse dello stesso tema. Come giornalisti comunichiamo una notizia, comunichiamo rischi e pericoli, ma a volte capita al cronista – per leggerezza e o per la ricerca di un sensazionalismo davvero fuori luogo – di spettacolarizzare bravate a bordo di auto truccate, diligentemente postate su YouTube. è informazione, quella? O è piuttosto un’operazione (giornalisticamente inutile) che altera la percezione del rischio di un adolescente? Un minore davanti a un programma tv (o a un tg) tipicamente mette in atto processi psicologici che lo portano a sopravvalutare l’impatto di un gesto clamoroso e i sentimenti di esuberanza, di potenza e onnipotenza che accompagnano tale gesto, portandolo però anche a sottovalutarne il pericolo. Questo accade perché il fatto stesso di dare visibilità all’impresa le conferisce -pur involontariamente- importanza e fama, mettendo così molti ragazzi nelle condizioni di desiderare di essere stati i fautori del gesto. Il desiderio di emulazione e il sentimento di identificazione con l’autore dell’impresa, che viene positivamente qualificato come un ‘duro’, portano senz’altro a perdere di vista il fattore ‘pericolo’ connesso all’impresa, a tutto vantaggio del fattore ‘clamore’: e la bravata perde le sue connotazioni negative per acquisirne di positive.
Dare risalto in un tg alle imprese spericolate di un manipolo di diciottenni al volante, anche se se ne commenta negativamente il comportamento, certo non dissuade dall’emulazione il ragazzino che ha smania di trasgressività e sete di adrenalina. Semplicemente sono cose che un tg non deve fare perché, prima della notizia, viene sempre la cautela e la difesa dello spettatore, che può essere un minore o anche un adulto instabile. Come psicologi, il nostro dovere è quello di spronare l’opinione pubblica, il cittadino a pensare costruttivamente a ciò che è bene per sé e ciò che è bene per gli altri, e a metterlo in pratica. Questo significa avere rispetto per la propria vita e quella altrui, per la propria e altrui integrità fisica e psicologica. Può aver senso “cantare la filastrocca” ai ragazzi, peregrinando di scuola in scuola, dicendo loro che non si corre in auto, non si guida se si ha bevuto o se si è “fatti”? A mio avviso queste lezioncine frontali servono poco. Non si impressiona un ragazzino difficile e a rischio dicendogli: “Questo si fa, questo non si fa. Questo è buono, questo è cattivo”. Nel migliore dei casi otterremo indifferenza, nel peggiore otterremo l’effetto opposto a quello cercato, e cioè l’aumento del desiderio di andar controcorrente. Ecco allora che occorre lavorare strategicamente e di astuzia, mettendo insieme il sensazionalismo tipico del mondo giornalistico e la profondità d’intuito e di comprensione interiore che è tipica della psicologia. Come? Spiegando e soprattutto mostrando ai ragazzi cos’è il trauma cranico, chi è un traumatizzato cranico o un paralitico. Spiegando ai ragazzi che non sempre si muore in un incidente stradale, ma che se si sopravvive si finisce spesso su una sedia a rotelle, magari alimentati da un sondino, magari senza più essere in grado di parlare, magari sbavando dalla bocca, perché i muscoli del viso non si contraggono più a dovere. A occhio, la realtà mi pare questa: i ragazzini sono convinti che da un incidente stradale ce la si cavi al massimo con qualche ferita e con qualche graffio da esibire il sabato sera come trofei. Ecco, proprio su questo dobbiamo lavorare. Nella loro incosciente ingenuità, non sanno che un incidente stradale spappola il corpo e il cervello e che, se si sopravvive in quelle condizioni, quasi non si è più nemmeno esseri umani.
Se qualcosa funzionerà in questa battaglia contro gli incidenti stradali, potrà essere soltanto un’adeguata terapia d’urto.
Rossana Silvia Pecorara
PhD scienze cognitive – Psicologa clinica