L’ossessione delle classifiche e dei primati

Il doping fa vincere sicuramente allenatori e dirigenti senza scrupoli, medici criminali e case farmaceutiche. L’atleta che si dopa potrà anche diventare ricco, famoso, recordman ma è, e sarà sempre, lo sconfitto numero uno perché perderà la propria la salute, la dignità e l’autostima

Il doping viene definito e inteso comunemente come la “droga” dello sportivo. Anche se dal punto di vista farmacologico l’espressione “droga” viene riferita a qualsiasi sostanza la cui assunzione provochi modificazioni psicofisiche, in ambito sportivo la linea di demarcazione con il doping risulta molto poco definita. Purtroppo la mia esperienza mi ha insegnato che molti “addetti ai lavori” giocano su questa ambiguità mettendo a repentaglio la salute dell’atleta. Mi è capitato anche, ad essere sincera, di discutere con persone che invece considerano lo stesso allenamento sportivo una forma di doping, in quanto esso può alterare alcuni parametri psicofisici e, alla lunga, nuocere alla salute di chi lo pratica in modo eccessivo. Per me il doping nello sport è una pratica finalizzata unicamente al “barare”, contravvenendo alle regole e nuocendo alla salute fisica e psichica dell’atleta. Penso che il principale valore dello sport consista proprio nel confronto corretto e leale fra gli atleti, nel pieno rispetto delle regole. Il doping è per lo sport come un virus letale che si insinua in un corpo sano, causando la fine del concetto stesso di sport.
Quindi, nella lotta al doping, non possono esserci mezze misure, va combattuto con determinazione, fino in fondo, senza alcun compromesso. Anche se in Italia è attiva, dal 2001, una legge che rende il doping reato penale e ormai ogni cittadino è consapevole delle problematiche legate al doping, dai recenti fatti di cronaca sembra che il fenomeno non si sia ridimensionato, anzi pare che tenda ad allargarsi anche a fasce, fino a poco tempo fa, meno a rischio, come ad esempio quelle giovanili. Dobbiamo chiederci perché ciò accada. Prima di cercare una risposta vorrei soffermarmi su alcuni aspetti dello sport. Lo sport è un valido strumento educativo, formativo e di sviluppo psicofisico per l’individuo, in quanto permette di misurarci con i nostri e altrui limiti, di conoscerli e sfidarli, o semplicemente, di accettarli. L’avversario e la competizione vengono sempre dopo, prima c’è la gara con se stessi nel cercare di trovare la giusta concentrazione ed energia, la propria motivazione e sicurezza. Le regole etico morali da seguire sono semplici qualsiasi sia la disciplina scelta e si basano, soprattutto, sulla lealtà e il rispetto dell’avversario. Ogni situazione sportiva ci allena sempre alla vita, come ad esempio imparare a sapere gestire sia l’euforia della vittoria che la frustrazione della sconfitta.

Lo sport, visto in quest’ottica, non è per l’individuo un risultato, ma un percorso. La nostra società, tuttavia, ama le classifiche. Si preferisce parlare dei risultati ottenuti, enfatizzando esclusivamente il “come” si è arrivati: primo, secondo… Quando battere il record o l’avversario a tutti i costi cancella ogni ricerca di crescita e di rispetto verso se stessi e verso l’altro, allora il doping è inevitabile. Chi fa uso del doping corre più veloce, nuota più a lungo, ha la mano più ferma, solleva più peso; il doping può illuderci di vincere la gara contro i nostri limiti, lo spazio e la nostra stessa natura umana. Penso che, se la sfida fosse unicamente questa, lo Sport e l’Uomo sarebbero degli eterni sconfitti! Il doping fa vincere sicuramente allenatori scorretti, dirigenti senza scrupoli, medici criminali e ingorde case farmaceutiche. L’atleta che si dopa potrà anche diventare ricco, famoso, recordman ma è, e sarà sempre, lo sconfitto numero uno, perdendo la propria la salute, la dignità e l’autostima. Oggi si parla di performance in tanti ambiti non solo sportivi; l’“aiutino” esterno, richiesto per raggiungerle, sembra assolutamente naturale e indispensabile. Gli stessi genitori si rivolgono, spesso, al pediatra di famiglia per chiedere un “aiutino” farmacologico che permetta, ad esempio, al proprio figlio di essere più intelligente a scuola, di crescere maggiormente di statura e, magari, di essere meno vivace e più ubbidiente. Per ogni problema si cerca una soluzione in “pillola” acquistabile senza “fatica e pazienza”.

Siamo nell’era del “tutto e subito”, possibilmente senza sforzo e sacrificio, e il doping nello sport è una conseguenza, più che scontata, di questo tipo di cultura. Ma lo sport, ripeto, deve vivere nella totale trasparenza, correttezza e lealtà, altrimenti non si può più definire tale. Parliamo ora dello “sport spettacolo”. Ogni cultura ha i propri spettacoli e le proprie distrazioni e lo sport può davvero essere spettacolo, ma non certo a discapito della salute o della dignità degli atleti, i quali devono restare sempre e comunque atleti anche quando raggiungono la fama. Chi ama l’agonismo sportivo ha il diritto di vivere serenamente uno sport pulito. I diritti vanno difesi ed è un dovere di tutti, dall’atleta agli allenatori, dai medici ai dirigenti, dai genitori agli educatori, battersi per tutelare tale diritto. L’atleta deve emanciparsi e capire quanto possa essere utile anche la lotta del singolo per combattere il doping, prima di tutto cercando di formarsi culturalmente e pretendendo d’essere un soggetto e non un oggetto. Studiare e crescere devono diventare per l’atleta una priorità. Gli organismi sportivi dovrebbero stipulare delle convenzioni con il Ministero dell’Istruzione e dell’Università per permettere agli sportivi “professionisti” di diplomarsi e laurearsi pur praticando l’attività agonistica al massimo livello. Questo sarebbe un chiaro segnale, da parte delle istituzioni, di un aiuto a favore dell’atleta, che costituisce l’anello più debole del sistema sportivo.

Emanuela Pierantozzi
Medaglia d’argento a Barcellona ’92 e di bronzo a Sidney 2000,
ricercatrice presso la facoltà di scienze motorie di Bologna,
docente di judo

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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