La precisazione sull’art. 31 del Codice Deontologico degli Psicologi – Un piccolo passo avanti nella tutela del minore?

In questa lettera voglio esporre un risvolto accaduto nel corso della mia separazione, peraltro chiesta da mia moglie che, accusandomi di violenza (assolutamente inesistente), ha fatto in modo di far cessare ogni rapporto con mio figlio minorenne, coinvolgendo strutture che, con pregiudizio, giudicano l’uomo discriminandolo. Al contrario, rendere queste donne responsabili per i danni incalcolabili che producono nei nostri ragazzi, é quasi impossibile. Ho usato il “quasi”, in quanto qualcosa si sta muovendo, anche se a piccolissimi passi; la precisazione sull’art.31 del Codice Deontologico degli Psicologi, proposta da Renzo Mosanghini e Oscar Dionis nel giornale degli psicologi fvg – n.1 luglio 2004, e’ un segno concreto di tale cambiamento, in quanto è perfettamente allineato con il concetto di parità tra i genitori, universalmente accettato e posto alla base del corretto sviluppo psichico-educativo dei nostri figli. Chi lo disprezza e/o lo scavalca non è degno di appartenere alla nostra Società definita “CIVILE”.

Nell’assoluto contrasto di tale concetto esiste una categoria di genitori che per loro motivi personali, cerca la rivalsa sul coniuge alienando i figli nei confronti di quest’ultimo, forse per ottenere una soddisfazione che se prima non riusciva a trovare, difficilmente verrà trovata in futuro sulla testa, peraltro, dei propri figli. Vengono attivati, cosi, parenti, amici e strutture compiacenti, tutto con l’intento di creare un cappello di incertezza e diffidenza, attorno alla figura dell’altro genitore. Per una donna la cosa più semplice è addurre ad una condotta violenta del marito nei confronti suoi e dei figli. Queste argomentazioni, da un lato, hanno immediato appiglio su chi deve dare un giudizio quasi immediato e dall’altro sono difficilissime da scardinare e sovvertire. Tale situazione é capitata a mio figlio e a me.

Per realizzare il suo intento, infatti, mia moglie, inizialmente sotto gli auspici di un avvocato che non aveva mai minimamente accennato a nessun tipo di un mio comportamento violento, ha cambiato patrocinatore: quest’ultimo ha immediatamente “consigliato” di sottoporre nostro figlio ad una “prestazione professionale” da parte di uno psicologo. Il “professionista”, senza ovviamente avere il consenso del padre, ha sottoposto il minore ad un test e leggendo alcuni disegni, redigeva una relazione nella quale consigliava di “allontanare” il bambino dal padre perché violento alludendo, peraltro, ad una montagna di infondate e fantasiose sciocchezze che miravano solamente ad infangare la mia figura genitoriale.

Venuto a conoscenza di tale relazione, ormai in sede di separazione presentavo un esposto all’Ordine degli Psicologi affinché venga giudicato il comportamento deontologico dello Psicologo. La risposta, ovviamente negativa veniva motivata dal fatto che lo scritto non si configurava come perizia di parte, ma come consulenza con esame del minore.

Casualmente un anno dopo venivo a conoscenza di quanto riportato nel giornale degli psicologi fvg – n.1 luglio 2004 in merito all’art. 31 de codice deontologico degli psicologi italiano: “Il consenso dei genitori per gli interventi sui minori. Nel commento conclusivo degli Autori è specificato chiaramente che: “l’ effettuazione su di un minore di un trattamento psicologico presuppone senz’altro che tale decisione sia stata assunta di comune accordo fra i genitori. Lo psicologo pertanto, dovrà preventivamente acquisire il consenso di, entrambi i genitori o, comunque, non procedere mai ove sia a conoscenza del dissenso di uno dei due. In altri termini, la norma deontologica fa obbligo allo psicologo di accertare il comune accordo dei due genitori sul trattamento psicologico da prestare al minore e, nel caso di dissenso, di astenersi dall’intervenire…”. Tale specificazione dovrebbe portare a sanzioni in caso di illeciti. Questa mia personale considerazione troverà eventualmente conferma in quanto un anno dopo si è ripetuto la stessa “prestazione professionale” su mio figlio. Non può quindi essere certo giustificato il mancato riconoscimento della “Sindrome dell’alienazione parentale (PAS)” (l’esclusione sistematica dell’altro genitore) Pur non essendo un “tecnico”, da una semplice lettura sui criteri di identificazione della PAS viene spontaneo notare che la richiesta di una “prestazione professionale”, peraltro, fatta di nascosto dall’altro genitore, corrisponde perfettamente ai modelli comportamentali di chi ne soffre peraltro, nella sua forma più grave ed inquietante, definita come la “Sindrome della Madre Malevola (MMS)” e le possiamo riassumere:

(1a) – il tentativo di alienare i figli dal padre – e’ il motivo della specifica richiesta della relazione professionale;

(1b) – coinvolgere altri in azioni malevoli contro il padre – dove l'”altro” coinvolto diventa lo stesso psicologo che viene condizionato da quanto raccontato dalla parte;

(2a-2b) nel tentativo di impedire le visite padre/figli – è l’oggetto delle conclusioni della relazione/perizia richiesta). Non serve essere dei tecnici per capire che la sola richiesta di una relazione di tale tipo, fatta di nascosto dall’altro genitore, “smaschera” la reale volontà del(la) richiedente. Oltre a ciò, non serve nemmeno ricordare che gli altri criteri di identificazione, inconfutabili, della MMS sono:

(3a) – mentire ai figli e (3b) – mentire agli altri; il cercare di stabilire se una persona mente, presuppone ci sia, perlomeno, la possibilità di confutazione della controparte e l’insindacabilità professionale di poter formulare un giudizio finale.

Non risulta che uno psicologo possa intervenire in merito a tali giudizi, senza creare “diffidenza” sull’operato dello stesso e “disagio” in coloro che credono nell’utilità sociale della propria categoria. A causa di questa situazione non vedo mio figli da anni! La rabbia che questi avvenimenti scatenano mi permettono di comprendere chi commette atti inconsulti fino al suicidio.

La sofferenza di aver perso il proprio figlio in nome della democrazia e dello stato nel quale ho sempre creduto accentuano ulteriormente la mia disperazione. A mio figlio è stato tolto l’amore e la figura del padre, al padre è stata tolta la vita stessa. Spero che questa lettera possa essere pubblicata sul vostro periodico in modo che il direttore, o chi professionalmente più indicato, possa rispondere alle mie domande cariche di angoscia e dubbi nelle istituzioni.

Lettera firmata

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