Il ritorno della Couvade

Le fasi del concepimento e della nascita di un bambino in antichità erano intrise di magia e spiritualità mentre oggi sono conosciute dalla maggioranza della popolazione come processi biologici ben precisi. Ma realtà sociali dove sono ancora sconosciuti i legami genetici fra genitori e figli esistono ancora. Alcune popolazioni primitive del sud est asiatico come i trobandesi, non possiedono nozioni scientifiche ne evidenze tangibili del contributo paterno alla procreazione e quest’ultima mantiene tutti i connotati della vera e propria magia. In queste culture infatti spiriti, influenze lunari, fiori e amuleti possono provocare gravidanze così come astri, piogge e vento possono avere potere fecondante.

Alla stessa stregua le culture prescientifiche, non avendo consapevolezza del ruolo maschile nel concepimento, consideravano i figli appartenenti alla madre e alla comunità o clan della stessa. Il compagno della madre era un amico intimo e compagno di giochi dei figli di lei che gli spiriti avevano generato dal suo ventre. La discendenza biologica
del maschio veniva risolta nel modo piú brillante: sono i figli della sorella a costituire i legittimi eredi di sangue e lo zio materno viene quindi investito dell’autorità sui nipoti. Genitrice della patria potestas e la avunculi potestas.

Il padre quindi aveva il compito di proteggere e amare i figli della donna cui era legato, ma con essi l’uomo non
riconosceva alcun legame di consanguineità, mentre manteneva tale legame con i bambini della sorella
a cui un giorno sarebbe passato in eredità tutto ciò che egli possedeva. Sono queste le fondamenta da cui emerge la necessità maschile di assicurarsi un legame con il figlio che apparentemente non gli appartiene, legame che seppure simbolico sigilli la comunione padre-bambino. In molte culture tribali l’uomo, mentre la donna affronta il travaglio, imita le doglie e simula il parto attraverso danze rituali e in alcune società si sottopone a ferimenti volontari per emulare il dolore del parto. E’ questo il fenomeno della “couvade” (covare, nascondere). Nato il bambino, questo viene posto tra le braccia paterne per ore o addirittura giorni, mentre la donna ritorna ai lavori. Il maschio ancora non consapevole della propria paternità genetica si comporta come una madre, la imita e diventa padre facendo ciò che fa la madre, sia al momento della nascita del bambino sia successivamente, accudendolo e curandolo.

Il desiderio del padre di condividere fisicamente la gestazione ed il parto può ai giorni nostri scatenare quella
che viene indicata proprio come “sindrome della couvade”, un corredo sintomatologico caratterizzato da ansia, cefalea, nausea e agitazione che colpisce uomini che divengono padri per la prima volta e nei quali lo stress emotivo legato alla imminente paternità e alle difficoltà di gestione (anche economica) della famiglia e della compagna soggetta ad involontari sbalzi ormonali e umorali trova uno sfogo socialmente accettato. C’è chi legge e interpreta il rituale della couvade come il meccanismo che consente il passaggio dal matriarcato al patriarcato.

Negli ultimi secoli la scienza ha confortato il maschio, conferendogli il potere della fecondazione elevandolo così ai ranghi degli spiriti e degli astri che sino ad allora detenevano questo potere. La donna diventava quindi solo il contenitore che ospitava la vita depositata dal padre, quasi a dubitare che il bambino sia figlio anche della madre. E così, se la natura stabiliva che l’uomo non può portare in grembo il figlio e quindi non può averne senza una donna al fianco, la società per parificare i ruoli deliberava che alle donne fosse proibito mettere al mondo figli senza la protezione e supervisione maschile, istituzionalizzata nel matrimonio.

L’evoluzione della società in una forma esclusivamente patriarcale definiva che il figlio fosse prima di tutto del padre (di lui porta il cognome) e che i figli illegittimi (da lui non riconosciuti) dovessero mantenere (e a tutt’oggi mantengono) una connotazione negativa.Ma proprio la società patriarcale, che sembrava conferire al padre il possesso assoluto del figlio, paradossalmente è stata responsabile della frattura del padre con il figlio. Il padre, non dovendo preoccuparsi di costruire un rapporto che la cultura del momento gli dava, distoglieva l’attenzione dal figlio per cercare soddisfazione in altri ambiti, permettendo la solidificazione del rapporto madre-figlio che l’emancipazione della donna nella cultura moderna ha istituzionalizzato poi come esclusivo.

L’analisi delle origini della paternità ci ha aiutato quindi a comprendere oggi l’attuale fenomeno del “mammo”, padre che si dedica alle cure del bambino sin dalla nascita e ancor
prima accompagnando la madre al corso pre-parto. Quella che appariva una novità, l’accudire il neonato al pari della madre, è in realtà una rinascita della figura paterna, rifiorita a seconda vita dopo l’autoritarismo dettato dalla visione patriarcale. I nuovi padri rifiutano quello che è stato il tradizionale ruolo dell’uomo all’interno della famiglia, un ruolo dispotico se non tirannico di cui sono stati diretti testimoni. E al posto del dispotismo vogliono dare al figlio comprensione ed amore, per solidificare un rapporto spirituale oltre che genetico.

Cristina Sirch

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