Il viaggio nell’inferno dei sorrisi ingabbiati comincia nei cameroni sporchi dell’Halpatota children home, un “detention” del sud dove un centinaio di bimbi – molti abusati – vivono “parcheggiati” in attesa che si decida a chi affidarli. E da lì, risalendo la costa, arriva ad un remand a Kottawa, vicino a Colombo, un riformatorio-lager dove 55 bambini dai 6 ai 18 anni per la sola “colpa” di aver rubato una catenina o di essere scappati di casa o addirittura dopo aver subito violenza, vivono tutto il giorno dietro le sbarre.
Massimiliano Fanni Canelles in riunione con Harendra De Silva
Non ci sono orfani dello tsunami, ma se oggi quei bambini dormono sui letti donati dall’Unicef qualche settimana fa e non più per terra, è merito dell’onda emotiva provocata dal maremoto. E, grazie a Spes, se il progetto della onlus friulana andrà in porto, presto potrebbero veder ristrutturata la loro scuola e le strutture fatiscenti in cui abitano. La “casa del sorriso” esiste anche per i piccoli singalesi, in un villaggio vicino a Galle, nel sud, dove, nel novembre 2004, la onlus Amo, che collabora con Spes, ha inaugurato “Casa Mijri” (“dolce casa”), per accogliere 18 bambine dai 6 ai 14 anni, che hanno subito violenza e che lì cercano «una medicina per dimenticare tutto», come una piccola singalese disse un giorno a Lucilla Andreanelli, italo-svizzera. Con i contributi delle Province friulane e della Regione, presto, accanto a questa struttura-gioiello, potrebbe nascere un “Women welfare center”, per aiutare una ventina di donne assieme ai loro figli. Dopo l’onda che uccide in Sri Lanka sono arrivati «gli alieni», dice Lorenzo Bacci dell’Amo. Con i soldi dell’Occidente ricco e l’ansia del “tutto e subito” di quell’altro mondo che da qui sembra lontanissimo. Basti pensare che le richieste all’Amo di adozioni a distanza, che un tempo erano al massimo 4 all’anno, sono passate di botto a 50 in un solo mese. Ma «non bastano i soldi, ci vuole gente disposta a fermarsi e gestire i progetti».
Camilla De Mori